CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 12686 depositata il 21 marzo 2019
Reati fiscali – Emissione di fatture per operazioni inesistenti – Supporto USB contenente file excel con la contabilità occulta delle società utilizzatrici delle fatture relative a operazioni inesistenti – Valore di prova documentale
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 8 marzo 2016 il Tribunale di Genova aveva condannato, tra gli altri, F.B., in relazione a varie contestazioni di emissione di fatture per operazioni inesistenti, in violazione dell’art. 8 d.lgs. 74/2000 (capi C, D et E della rubrica).
La Corte d’appello di Genova, provvedendo sulle impugnazioni proposte dagli imputati nei confronti di tale sentenza, ha dichiarato non doversi procedere in relazione al reato di cui al capo c) della rubrica, in quanto estinto per prescrizione, e ha confermato la dichiarazione di responsabilità, tra gli altri, di F.B. in relazione ai residui reati di cui ai capi d) et e) della rubrica, rideterminando la relativa pena in mesi quattro di reclusione e riducendo al minimo edittale la durata delle sanzioni accessorie di cui all’art. 12 d.lgs. 74/2000.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione F.B., affidato a cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo ha denunciato la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 423, comma 2, e 604, comma 3, cod. proc. pen. e l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) et e), cod. proc. pen., con riferimento alla contestazione suppletiva effettuata nel corso dell’udienza preliminare, alla quale non aveva consentito, essendo stata eseguita in relazione e sulla base di documenti non conosciuti dall’imputato.
Ha esposto che il proprio rinvio a giudizio era stato chiesto dal pubblico ministero solamente in relazione ai reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui ai capi a), b) et c) della rubrica, ma nel corso dell’udienza preliminari, il pubblico ministero aveva contestato altre condotte di emissione di fatture relative a operazioni inesistenti, rubricate ai capi d) et e), producendo tali fatture e il relativo processo verbale di constatazione, mai in precedenza resi noti all’imputato, il cui difensore si era opposto a tale nuova contestazione; il giudice dell’udienza preliminare aveva, però, disatteso tale opposizione, disponendo il rinvio a giudizio dell’imputato in relazione a tutte le imputazioni, comprese quelle contestate per la prima volta nel corso dell’udienza preliminare; tale contestazione era stata rinnovata nel corso del giudizio di primo, denunciando la violazione dell’art. 423, comma 2, cod. proc. pen., ma anche tale contestazione era stata disattesa dal Tribunale, che aveva ritenuto che i documenti sulla base dei quali erano state formulate le nuove imputazioni fossero noti all’imputato, essendo stati inseriti nel fascicolo del dibattimento; anche il corrispondente motivo d’appello, mediante il quale era denunciata la violazione dell’art. 423, comma 2, cod. proc. pen., era stato disatteso la Corte territoriale, che aveva ritenuto sufficiente il fatto che le nuove contestazioni fossero avvenute nel quadro della vicenda che aveva generato le altre imputazioni e nel contraddittorio delle parti.
Tanto premesso, circa le modalità di effettuazione delle nuove contestazioni, ha ribadito la violazione dell’art. 423, comma 2, cod. proc. pen. e l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui era stata disattesa l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado sollevata con l’atto d’appello, non essendo stato adeguatamente considerato che i documenti posti a fondamento di tale nuova contestazione non erano conosciuti dall’imputato, cosicché anche l’affermazione circa la sua piena possibilità di difendersi risultava illogica, in quanto le fatture relative agli anni 2010 e 2011, in relazione alle quali erano state formulate le nuove contestazioni, erano state prodotte per la prima volta nel corso dell’udienza preliminare.
2.2. Con il secondo motivo ha lamentato la violazione e l’errata applicazione degli artt. 192 e 240 cod. proc. pen. e la manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) et e), cod. proc. pen., in riferimento alla attribuzione del valore di prova documentale al supporto USB contenente un file excel, nel quale era riportata la contabilità occulta delle società utilizzatrici delle fatture relative a operazioni inesistenti, giudicata rilevante al fine della ricostruzione della vicenda e della affermazione di responsabilità degli imputati, in considerazione del carattere anonimo dei dati nello stesso contenuti, non essendo stato eseguito alcun accertamento per accertare l’autore del documento contenuto in supporto, di cui non era neppure stata assicurata l’integrità dei dati nello stesso contenuti, in violazione degli artt. 244, comma 2, e 247, comma 1 bis, cod. proc. pen.
Ha, inoltre, prospettato anche la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui aveva ricondotto, in modo apodittico, le somme indicate nel foglio di calcolo contenuto nel supporto a retrocessioni di somme concernenti pagamenti eseguiti per operazioni inesistenti.
2.3. Con il terzo motivo ha lamentato la violazione e l’errata applicazione degli artt. 62, 63, 192 e 350, comma 7, cod. proc. pen. e la manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) et e), cod. proc. pen., in riferimento alla utilizzazione delle spontanee dichiarazioni autoindizianti rese dall’imputato nel corso delle indagini preliminari alla polizia giudiziaria il 27 novembre 2012, che avevano avuto importante peso probatorio nelle sentenze di condanna a carico dell’imputato.
2.4. Con il quarto motivo ha lamentato la violazione e l’errata applicazione degli artt. 62 bis cod. pen. e 8 d.lgs. 74/2000 e la manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) et e), cod. proc. pen., con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, giustificato in modo illogico con la mancanza di dichiarazioni dell’imputato (peraltro considerate per addivenire alla affermazione di responsabilità dell’imputato) e con il mancato assolvimento dell’obbligo tributario.
2.5. Con il quinto motivo ha denunciato la violazione degli artt. 132 e 133 cod. pen, 125, comma 3, cod. proc. pen. e l’insufficienza della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) et e), cod. proc. pen., nella parte relativa alla misura della pena, non essendo stata indicata la pena considerata quale base di computo, né gli aumenti per la continuazione, ma solo la pena finale, senza alcuna illustrazione delle ragioni che avevano indotto la Corte d’appello a rideterminare la pena nella misura complessiva di quattro mesi di reclusione.
1. Il ricorso, peraltro riproduttivo dell’atto d’appello, è inammissibile.
2. Il primo motivo, mediante il quale sono state lamentate la violazione di norme processuali e l’insufficienza della motivazione, con riferimento alla nuova contestazione effettuata nel corso dell’udienza preliminare in assenza del consenso dell’imputato, è manifestamente infondato.
Il ricorrente ha al riguardo denunciato la violazione e l’errata applicazione del secondo comma dell’art. 423 cod. proc. pen., che richiede l’autorizzazione del giudice e il consenso dell’imputato perché il pubblico ministero possa procedere a nuova contestazione nel corso dell’udienza preliminare (“Se risulta a carico dell’imputato un fatto nuovo non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, per il quale si debba procedere di ufficio, il giudice ne autorizza la contestazione se il pubblico ministero ne fa richiesta e vi è il consenso dell’imputato”). Tale previsione, di cui è stata lamentata la violazione, non essendo stato consentito alla nuova contestazione, riguarda, però, la contestazione di fatti del tutto nuovi e privi di qualsiasi collegamento con quelli già contestati e per i quali già si proceda nei confronti dell’imputato: ciò si desume dal primo comma della medesima disposizione, che consente la modificazione dell’imputazione e la contestazione, nel corso dell’udienza preliminare, di fatti connessi, senza la necessità del consenso dell’imputato, al quale, se assente, va solamente data comunicazione, presso il difensore, della modificazione della imputazione o della nuova contestazione (“Se nel corso dell’udienza il fatto risulta diverso da come è descritto nell’imputazione ovvero emerge un reato connesso a norma dell’articolo 12 comma 1 lettera b), o una circostanza aggravante, il pubblico ministero modifica l’imputazione e la contesta all’imputato presente. Se l’imputato non è presente, la modificazione della imputazione è comunicata al difensore, che rappresenta l’imputato ai fini della contestazione”).
La sussistenza, come nel caso in esame, di un rapporto di connessione, costituendo le nuove contestazioni sviluppo e prosecuzione della iniziale attività delittuosa, avvinte a quest’ultima da un medesimo disegno criminoso, consentiva, dunque, la contestazione nel corso dell’udienza preliminare, anche in assenza del consenso dell’imputato e anche se i fatti e i relativi elementi di prova erano già conosciuti da parte del pubblico ministero (Sez. 1, n. 13349 del 17/05/2012, dep. 21/03/2013, D., Rv. 255049 – 01; Sez. 3, n. 1506 del 04/12/1997, dep. 09/02/1998, Pasqualetti, Rv. 209791 – 01), non essendo richiesto, come per le nuove contestazioni eseguite nel dibattimento, che il reato connesso emerga nel corso dell’istruzione, secondo quanto stabilito dall’art. 517 cod. proc. pen., essendo sufficiente il rapporto di connessione.
3. Il secondo motivo, relativo alla indebita utilizzazione del supporto USB contenente un file di calcolo in formato excel, trattandosi di documento anonimo, è anch’esso manifestamente infondato.
Non è, infatti, da ritenersi anonimo il documento privo di sottoscrizione di cui l’autorità inquirente sia in grado di identificare l’autore e la provenienza, sulla base di logiche e pertinenti considerazioni (Sez. 6, n. 52926 del 04/11/2016, Chiricosta Rv. 268967 – 01; conf. Sez. 1, n. 39259 del 13/10/2010, Amir e altri, Rv. 248831 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 461 del 06/11/2000, Perrucci, Rv. 217817 – 01), posto che ciò che consente di qualificare come anonimo un documento non è la mancanza di sottoscrizione, bensì l’impossibilità di individuarne l’autore, posto che il legislatore non ha fatto riferimento alla forma scritta, ma alla nozione di anonimo (cioè alla oscurità dell’autore), cosicché un documento, anche se non sottoscritto, può non essere considerato anonimo, se vi siano elementi per individuarne l’autore.
Nel caso in esame la Corte d’appello ha dato atto che il supporto USB, nella cui memoria era stato salvato il foglio di calcolo in formato excel, contenente la contabilità occulta delle società nei cui confronti erano state emesse le fatture relative a operazioni inesistenti, con l’indicazione delle somme restituite a tali società, era stato rinvenuto, a seguito di perquisizione, nella borsa di A.S., segretaria delle società riconducibili a G. e S.P., cioè la P. & F. S.r.l. e la A.P. S.r.l., nei cui confronti erano state emesse dette fatture da parte della associazione sportiva di cui il ricorrente era legale rappresentane (relative a sponsorizzazioni sportive), in tal modo individuandone l’autore, cioè la suddetta segretaria, che custodiva il supporto contenente il documento, con accertamento in fatto che non è manifestamente illogico e non è stato censurato dal ricorrente, che si è limitato sul punto a sottolineare il dato, non decisivo, della mancanza di sottoscrizione, con la conseguente manifesta infondatezza della censura dallo stesso sollevata al riguardo.
4. Il terzo motivo, mediante il quale è stato lamentato il divieto di utilizzazione delle dichiarazioni rese dall’indagato alla polizia giudiziaria, è inammissibile, per difetto della necessaria specificità estrinseca.
Il ricorrente, nel denunciare l’inutilizzabilità di un atto processuale, costituito nella specie dalle proprie spontanee dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria, avrebbe dovuto, per soddisfare il requisito di specificità del motivo di ricorso, indicare anche l’incidenza di tale elemento di prova nella struttura argomentativa del provvedimento impugnato, e, in particolare, la sua decisività, per l’insufficienza delle altre risultanze a fondare l’affermazione di responsabilità, cosicché la mancanza di una tale deduzione, essendosi l’imputato limitato ad affermare, genericamente, che tali dichiarazioni spontanee avevano avuto “importante peso probatorio”, senza altro aggiungere, determina l’inammissibilità della censura a causa della sua genericità.
Costituisce, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui “Nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta prova di resistenza, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento” (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 20/02/2017, La Gumina e altro, Rv. 269218 – 01; conf. Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, De Matteis, Rv. 270303 – 01; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 23/01/2015, Calabrese, Rv. 262011 – 01; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Barilari, Rv. 259452 – 01; Sez. 4, n. 48515 del 17/09/2013, Alberti, Rv. 258093 – 01).
Ne consegue, in definitiva, l’inammissibilità della censura, a causa della mancanza della necessaria specificità estrinseca, ossia della idoneità della doglianza a sovvertire la portata giustificativa della motivazione della sentenza impugnata.
5. Il quarto motivo, relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato, in quanto, benché i riferimenti alla mancanza di dichiarazioni da parte dell’imputato e all’omesso assolvimento da parte sua di oneri tributari siano generici, tuttavia, dal complesso della motivazione della sentenza impugnata, in particolare dalla descrizione delle condotte (estrinsecatesi in un articolato e complesso sistema volto alla emissione di fatture per sponsorizzazioni sportive relative a operazioni, in realtà, inesistenti, che consentivano alle società destinatarie di tali fatture di indicarle come voci di costo nelle proprie dichiarazioni tributarie, protrattosi dal 2007 al 2011), si ricavano gli elementi giudicati assorbenti, tra quelli di cui all’art. 133 cod. pen., nella valutazione negativa della personalità dell’imputato, e che hanno condotto alla esclusione di dette circostanze, con la conseguente manifesta infondatezza della, peraltro generica, censura del ricorrente, che ha omesso di confrontarsi con il complesso della motivazione della sentenza impugnata.
6. Anche il quinto motivo, mediante il quale è stata denunciata l’insufficienza della motivazione in ordine alla misura della pena, non essendo stati indicati i criteri di determinazione della pena base e dell’aumento per la continuazione, è manifestamente infondato.
Anche a questo proposito, dal complesso della motivazione e, in particolare, dalla descrizione delle condotte e del sistema fraudolento organizzato dagli imputati, al fine di consentire stabilmente a terzi la deduzione di costi inesistenti, protrattosi per anni, si desume la valutazione della gravità dei fatti sulla base della quale sono state determinate sia la pena base, sia l’aumento per la continuazione, tra l’altro in misura uguale, in considerazione della assoluta identità del numero di fatture e dei relativi importi emessi dalla associazione sportiva di cui l’imputato era legale rappresentante nel 2010 e nel 2011.
Si tratta di motivazione adeguata, essendo stati indicati, sia pure implicitamente e in altra parte della motivazione, gli aspetti ritenuti preponderanti nella valutazione delle condotte e della loro gravità e considerati assorbenti nella determinazione della pena base e dell’aumento per la continuazione, tra l’altro correttamente determinati in misura identica in considerazione della coincidenza del numero delle fatture e delle somme oggetto delle stesse, con valutazione che non è sindacabile sul piano del merito nel giudizio di legittimità.
7. Il ricorso in esame deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, a cagione della manifesta infondatezza del primo, secondo, quarto e quinto motivo e della genericità del terzo.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l’apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7-13 giugno 2000, n, 186), l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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