CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 12740 depositata il 22 aprile 2020
Procedure concorsuali – Bancarotta fraudolenta impropria, per distrazione e da cagionamento del fallimento, e bancarotta semplice documentale – Responsabilità dell’amministratore della società – Omessa tenute di ogni tipo di scrittura contabile riferibile al triennio anteriore al fallimento – Consistente ammontare del passivo fallimentare
Ritenuto in fatto
1. M.A. ricorre, con tre motivi, per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Milano del 6 febbraio 2019, in parziale riforma, quanto alla durata delle pene accessorie fallimentari, della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale della stessa città del 7 marzo 2018, che l’aveva riconosciuto responsabile dei delitti di bancarotta fraudolenta impropria, per distrazione e da cagionamento del fallimento della P. Srl., società di cui era amministratore, e di bancarotta semplice documentale.
1.1. Con il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 223, comma 2, L.F. e deduce l’insussistenza dell’elemento oggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta impropria da cagionamento del fallimento per effetto di operazioni dolose, in quanto i fatti di omesso versamento di imposte e/o contribuiti previdenziali, menzionati al capo a) d’imputazione, non sarebbero tali da incidere direttamente sulla consistenza patrimoniale dell’impresa, esponendo, piuttosto, quest’ultima all’eventuale insorgenza di un obbligo sanzionatorio nei confronti dell’Erario; non risulterebbe, del resto, altrimenti comprovato né un utilizzo delle risorse patrimoniali destinate all’adempimento delle obbligazioni verso l’Erario per fini diversi da quelli aziendali, né che il mancato assolvimento del debito erariale fosse stato la causa del dissesto, posto che la società già vi versava a far data dal 2007.
1.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 131-bis cod.pen., per l’illegittimità del diniego di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto in relazione al delitto di cui al capo C): rileva, in particolare, che erroneamente la Corte territoriale aveva tenuto conto, ai fini dell’esclusione dell’applicazione dell’istituto menzionato, sia della mancata tenuta di tutte le scritture contabili anteriormente al triennio precedente la dichiarazione di fallimento – periodo, quest’ultimo, in cui l’omessa tenuta delle scritture contabili era stata determinata dall’inoperatività dell’azienda -, sia dell’ingente ammontare del passivo fallimentare, avendo, in tal modo, trasmutato la natura della fattispecie incriminatrice, che è di pericolo e non di danno.
1.2. Con il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 133 e 163 cod.pen. e il vizio di motivazione in punto di diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena, giustificato dalla subita condanna dell’imputato per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali, invero inesistente.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
1. Il motivo che vede sulla sussistenza dell’elemento oggettivo del delitto di bancarotta impropria da cagionamento del fallimento della P. Srl. per effetto di operazioni dolose è manifestamente infondato.
Premesso che l’arresto citato a sostegno delle deduzioni difensive sul punto, segnatamente la sentenza Sez. 5, n. 34836 del 30/05/2017, Gironi, Rv. 270784, si riferisce a tutt’altra fattispecie rispetto a quella contesta al ricorrente, posto che la relativa massima è così enunciata: «La condotta di omesso versamento di contributi previdenziali, non incidendo direttamente sulla consistenza patrimoniale dell’impresa, non configura il reato di bancarotta fraudolenta per dissipazione, che si realizza in presenza di operazioni incoerenti con le esigenze dell’impresa, tali da ridurne il patrimonio», va rammentato che la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere: che: «In tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, L.F. possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’Erario e degli enti previdenziali» (Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, De Mattia e altri, Rv. 273337; Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016 – dep. 28/03/2017, Bottiglieri, Rv. 270046); che: «Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta impropria prevista dall’art. 223, secondo comma, n. 2, R.D. 16 maggio 1942, n. 267, non interrompono il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento, costituito dal fallimento della società, né la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente del dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 cod. pen., né il fatto che l’operazione dolosa in questione abbia cagionato anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto, poiché la nozione di fallimento, collegata al fatto storico della sentenza che lo dichiara, è ben distinta da quella di dissesto, la quale ha natura economica ed implica un fenomeno in sé reversibile» (Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu e altro, Rv. 262189; Sez. 5, n. 8413 del 16/10/2013 – dep. 21/02/2014, Besurga, Rv. 259051; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa di Risparmio di Rieti Spa. ed altri, Rv. 247316). Principi, questi, di cui la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione.
2. Il motivo con il quale si dissente dalle ragioni del diniego di applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod.pen., in riferimento al delitto di bancarotta semplice documentale, è inammissibile.
Invero, la Corte di merito ha negato al ricorrente la concessione della causa di non punibilità ex art 131-bis cod.pen. all’esito di un giudizio complesso, che ha tenuto conto, in ossequio alle indicazioni del diritto vivente (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590), delle modalità della condotta stessa, del grado di colpevolezza da queste desumibile e dell’entità del danno o del pericolo da essa discendente. Ha, infatti, valutato come elementi ostativi al riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto: l’omessa consegna di ogni tipo di scrittura contabile riferibile, quantomeno, all’intero triennio anteriore al fallimento; il consistente ammontare del passivo fallimentare, pari ad Euro 2.966.000,00; e la particolare intensità del dolo che aveva animato la condotta del soggetto agente, il quale, pur se consapevole dell’ingente esposizione debitoria della P. Srl., aveva omesso la regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili ancorché vi fosse tenuto fino alla cancellazione della società dal registro delle imprese.
Ne viene che le deduzioni difensive sul punto sono, in parte, aspecifiche, perché prive di correlazione con i rilievi motivazionali riportati, e, in parte, non consentite, perché, pur se sviluppate sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, ripropongono argomenti di merito non scrutinabili in questa sede.
3. Il motivo che contesta il diniego della sospensione condizionale della pena è inammissibile per aspecificità e per manifesta infondatezza.
In disparte il rilievo che l’aggiornato certificato del casellario giudiziale presente in atti dà conto della condanna subita dal M. per il delitto di omesso versamento dei contributi previdenziali, assume, invero, rilievo decisivo la valutazione compiuta dalla Corte territoriale in ordine all’assenza di dati, desumibili dalla personalità dell’imputato, pienamente confortanti in ordine alla possibilità di fondare una prognosi favorevole in merito alla sua futura astensione dall’illecito. La concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena è, infatti, sempre subordinata alla presunzione di un possibile ravvedimento del reo e il giudizio negativo espresso dal giudice di merito circa la ricaduta nel reato da parte di questi non è sindacabile in sede di legittimità (Sez. 5, n. 2531 del 20/12/1977 – dep. 06/03/1978, Filafero, Rv. 138200). Nondimeno, vige in materia, il condivisibile principio di diritto secondo cui il giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell’art. 133 cod.pen., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti (Sez. 5, n. 57704 del 14/09/2017, P., Rv. 272087; Sez. 2, n. 19298 del 15/04/2015, Di Domenico, Rv. 263534).
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.
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