Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 13751 depositata il 23 marzo 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – COORDINATORE PER LA SICUREZZA – RISARCIMENTO DEL DANNO – INOSSERVANZA DELLE MISURE DI SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO
FATTO
1. Con sentenza del 22 dicembre 2016 la Quarta sezione di questa Corte rigettava il ricorso di P.D.P. avverso la sentenza del 9 febbraio 2016 della Corte di Appello di Milano, che aveva confermato la condanna dello stesso ricorrente per il reato di cui agli artt. 113, 589, commi 1 e 2 cod. pen., siccome pronunciata dal Tribunale di Busto Arsizio con sentenza del 23 febbraio 2015. Il P.D.P. era stato altresì condannato al risarcimento del danno in favore delle parti civili, nonché al pagamento di provvisionale ed alla rifusione delle spese processuali delle medesime parti.
2. Avverso la predetta decisione è stato proposto, a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen., ricorso straordinario con due articolati motivi di censura.
2.1. Col primo motivo il ricorrente ha rilevato che, proposti dieci motivi di ricorso per cassazione, correttamente sintetizzati nella narrativa della sentenza, tre pagine della decisione erano state dedicate all’esame del primo motivo, mentre in due pagine erano stati trattati gli ulteriori nove motivi di censura.
Richiamati infatti, in tema di infortuni sul lavoro, figura e compiti del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, non erano stati esaminati i motivi di impugnazione che ponevano a raffronto la norma astratta con la condotta tenuta in specie dallo stesso P.D.P.. Tutto ciò in relazione alla condotta alternativa lecita (terzo motivo), alla condotta abnorme del lavoratore in relazione a POS e PSC (quinto e sesto motivo), alla recente apertura del foro sul tetto (settimo motivo), all’elemento soggettivo (ottavo motivo), alla deposizione del teste V. (nono motivo), all’attenuante del risarcimento del danno ed alle relative responsabilità (decimo motivo).
2.2. Col secondo motivo il ricorrente ha lamentato l’avvenuta considerazione come pacifici di elementi fattuali che invece dovevano ritenersi quantomeno controversi, nonché l’omessa motivazione al riguardo, tanto in relazione all’apertura del foro sul tetto, quanto alla pretesa sospensione dei lavori per carenza di personale, ai rapporti tra Piano di sicurezza e coordinamento e Piano operativo di sicurezza, al contestato profilo di colpa in relazione ad una possibile condotta alternativa lecita.
Siffatte questioni, secondo il ricorrente, non erano state trattate, per cui si rientrava nell’errore di fatto e la Corte doveva fornire risposta alle questioni così sollevate dalla parte nel ricorso ordinario.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’Inammissibilità del ricorso.
DIRITTO
4. Il ricorso è infondato.
4.1. In linea generale, va ricordato che è costante l’insegnamento secondo cui è inammissibile il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto avverso la sentenza di Cassazione per l’omesso esame di determinate deduzioni contenute in uno specifico motivo del ricorso per cassazione, laddove il giudice di legittimità non abbia pretermesso l’esame del motivo di impugnazione ma ne abbia fatto oggetto di trattazione; sicché le ridette deduzioni, sebbene la Corte non ne abbia dato esplicitamente conto, debbano reputarsi tacitamente valutate e disattese (Sez. 1, n. 17847 del 11/01/2017, B., Rv. 269868).
Del pari, non è deducibile ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. la mancata disamina di doglianze non decisive, o che debbono essere considerate implicitamente disattese, in quanto incompatibili con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche, che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima. Pertanto è onere del ricorrente dimostrare che la doglianza era invece decisiva, per cui il suo omesso esame è conseguenza di un sicuro errore di percezione (Sez. 5, n. 20520 del 20/03/2007, P., Rv. 236731).
Al riguardo, tra l’altro, è stato così precisato che l’errore di fatto che può dare luogo all’annullamento della sentenza di questa Corte è solo quello costituito da sviste o errori di percezione nei quali sia incorsa la Corte di cassazione nella lettura degli atti del giudizio di legittimità, ed è connotato dall’influenza esercitata sulla decisione (in tal senso “viziata”) dalla inesatta percezione di risultanze processuali, il cui svisamento conduce ad una sentenza diversa da quella che sarebbe adottata senza l’errore di fatto e la cui ingiustizia o invalidità costituiscono effetto di detto errore.
Di conseguenza:
– va escluso ogni errore valutativo o di giudizio;
– l’errore di fatto censurabile, secondo il dettato dell’art. 625-bis cit., deve consistere in una inesatta percezione di risultanze direttamente ricavabili da atti relativi al giudizio di Cassazione e, per usare la terminologia dell’art. 395 cod. proc. civ., n. 4, nel supporre “la esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa” ovvero nel supporre “l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita”, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso “se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare”; – esso (l’errore di fatto) deve inoltre rivestire “inderogabile carattere decisivo”, deve cioè necessariamente tradursi, per legittimare il ricorso straordinario, “nell’erronea supposizione di un fatto realmente influente sull’esito del processo, con conseguente incidenza effettiva sul contenuto del provvedimento col quale si è concluso il giudizio di legittimità”.
In ogni caso, poi, quanto all’omissione dell’esame di uno o più motivi di ricorso per cassazione, essa, quando pure in astratto sussista, si risolve, di per sé, in un difetto di motivazione, che, sempre in astratto, non significa né affermazione né negazione di alcuna realtà processuale, ma semplicemente mancata risposta a una censura. La lacuna motivazionale può essere ricondotta nell’errore di fatto quando, sempre restando ai limiti prima segnati, risulti dipesa “da una vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di ordine meramente percettivo, che abbia causato l’erronea supposizione dell’inesistenza della censura”, ovverosia quando l’omesso esplicito esame lasci presupporre la mancata lettura del motivo di ricorso e da tale mancata lettura discenda, secondo “un rapporto di derivazione causale necessaria”, una decisione che può ritenersi incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata a seguito della considerazione del motivo, peraltro ricordando che il disposto dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, (“nella sentenza della Corte di Cassazione i motivi di ricorso sono enunziati nei limiti strettamente indispensabili per la motivazione”) non consente di presupporre che ogni argomento prospettato a sostegno delle censure non riprodotto in ricorso sia stato non letto anziché implicitamente ritenuto non rilevante o rigettato. Sicché non solo non è in nessun caso deducibile ai sensi dell’art. 625-bis cit. la mancanza di espressa disamina di doglianze che non siano decisive o che debbano considerarsi implicitamente disattese perché incompatibili con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima, ma è appunto onere del ricorrente dimostrare che la doglianza non riprodotta era, contro la regola dell’art. 173 disp. att. cit., decisiva e che il suo omesso esame dipende da sicuro errore di percezione (cfr., complessivamente in motivazione, Sez. 5, n. 20520 cit.).
4.2. In specie, non sussiste alcun vizio siccome denunciato.
4.2.1. Vero è, infatti, che il provvedimento impugnato ha dato conto dei motivi di ricorso, li ha ritenuti (all’infuori del primo, riguardante la notifica del decreto di citazione a giudizio) attinenti al ruolo del ricorrente quale coordinatore per la sicurezza del cantiere in fase di progettazione e di esecuzione, ne ha trattato (in parte anche in relazione alla posizione dell’altro ricorrente L., cfr. pag. 16 della sentenza di questa Quarta Sezione, stante la sovrapponibilità n quantomeno parziale degli argomenti) ribadendo la complessiva correttezza del giudizio di merito tanto nella parte in cui era stata valutata la responsabilità dell’imputato, anche in rapporto al piano operativo per la sicurezza predisposto dalla società operante nel cantiere, quanto nell’analisi della condotta del lavoratore deceduto nell’occasione, quanto infine nella valutazione della deposizione testimoniale del delegato dei lavoratori alla sicurezza.
L’omessa motivazione in ordine ad uno o più motivi di ricorso per cassazione non dà luogo ad errore di fatto rilevante a norma dell’art. 625-bis, allorché il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso, ovvero qualora l’omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assorbite dall’esame di altro motivo preso in considerazione, o, ancora, quando l’omesso esame del motivo non risulti decisivo, in quanto da esso non discenda, secondo un rapporto di derivazione causale necessaria, una decisione incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata se il motivo fosse stato considerato; in tale ultima ipotesi, è onere del ricorrente dimostrare che la doglianza non riprodotta era, contro la regola di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., decisiva e che il suo omesso esame è conseguenza di un sicuro errore di percezione (Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, M., Rv. 268982). Al contrario, in realtà il ricorrente ha inteso solamente chiedere un nuovo esame del ricorso per cassazione, omettendo qualsivoglia allegazione sulla decisività dei motivi che, in tesi, sarebbero stati trascurati (appunto trascurati, se del caso, e non omessi per svista).
In definitiva quindi non si evince alcun errore di fatto nei termini già ricordati, laddove infine non vi è stata alcuna errata percezione di fatti, da ritenersi invece contestati e non pacifici. Quanto infatti ad es. alla “datazione” del foro, la stessa Corte territoriale aveva invero comunque sottolineato l’irrilevanza della questione (cfr. pag. 11 della sentenza della Corte meneghina) mentre, in relazione all’invocata attenuante del danno risarcito, tanto la Corte di Appello quanto il provvedimento impugnato avevano in via assorbente osservato, da un lato, che il risarcimento doveva avvenire prima della conclusione del procedimento di primo grado e, dall’altro, che alcuna documentazione era stata comunque depositata al riguardo (tant’è che in proposito il ricorrente appare avere provveduto, al di là di ogni termine, solamente in sede di legittimità).
5. Non vi è quindi spazio per l’accoglimento dell’impugnazione siccome proposta.
5.1. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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