CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 14606 depositata il 14 marzo 2019

Tributi – IVA – Omesso versamento oltre la soglia di rilevanza penale – Sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente – Limiti – Esclusione delle somme corrispondenti al triplo della pensione sociale giacenti sul conto corrente del destinatario della misura allorquando sia certo che tali somme sono riconducibili ad emolumenti corrisposti nell’ambito del rapporto di lavoro o d’impiego

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 12 novembre 2018, il Tribunale di Lecco ha respinto l’appello proposto dall’odierno ricorrente avverso l’ordinanza con cui il g.i.p. dello stesso tribunale aveva rigettato l’istanza di restituzione di somme giacenti sul conto corrente bancario intestato all’indagato, sottoposte a sequestro preventivo in relazione al reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 in funzione dell’esecuzione della confisca, diretta ed eventualmente per equivalente, del profitto del reato.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell’indagato, deducendo i motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

3. Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 12-bis d.lgs. 74 del 2000, 321, comma 2 bis, cod. proc. pen., 104 disp. att. cod. proc. pen., 1 e 2 d.P.R. 180/1950, sul rilievo che le somme di cui era stata richiesta la restituzione erano riconducibili al pagamento di stipendi da parte della società datrice di lavoro. Si lamenta innanzitutto l’errore in cui è incorso il tribunale nel ritenere che l’art. 104, lett. a), disp. att. cod. proc. pen. consenta il sequestro ai sensi dell’art. 545 cod. proc. civ., valendo il rinvio operato dalla disposizione penale al codice di rito civile soltanto con riguardo alle modalità esecutive del pignoramento e non anche agli aspetti sostanziali quali i limiti previsti dalla legge. Questi sarebbero invece indicati negli artt. 1 e 2 d.P.R. 180/1950, che, vietando – tra l’altro – il sequestro delle somme riconducibili a stipendio nei limiti eccedenti il quinto, avrebbe valore di regola generale dell’intero ordinamento processuale, finalizzata alla tutela di un diritto fondamentale garantito dall’art. 2 Cost., come affermato dalla giurisprudenza di legittimità citata in ricorso. Pena un’irragionevole disparità di trattamento, detto limite opererebbe non soltanto quando il sequestro avvenga presso il datore di lavoro obbligato alla corresponsione, ma anche laddove gli stipendi siano stati versati con accredito bancario, senza che possa opporsi l’intervenuta “confusione” di esse nel patrimonio dell’interessato allorquando – come avvenuto nel caso di specie – sia stata fornita prova documentale della provenienza.

4. Con il secondo motivo si deduce la violazione delle medesime disposizioni di legge sul rilievo che, quand’anche dovesse ritenersi operante l’art. 545 cod. proc. civ., a seguito della modifica di detta disposizione disposta con I. 132/2015, gli stipendi sarebbero comunque insequestrabili limitatamente ad una somma pari al triplo della pensione sociale.

5. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. per mancanza di motivazione – apodittica e meramente apparente – con riguardo alle tematiche giuridiche poste dall’appellante ed all’analisi degli elementi di fatto devoluti con il gravame cautelare.

Considerato in diritto

1. Con riguardo ai primi due motivi – da esaminarsi congiuntamente perché connessi per quanto di seguito si dirà – il ricorso è fondato.

La giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, ha più volte riconosciuto che il sequestro preventivo funzionale alla successiva confisca per equivalente del controvalore di entità monetarie costituenti il prezzo o il profitto di reati è consentito solo nei limiti del quinto del relativo importo, al netto delle ritenute, in relazione agli emolumenti retributivi corrisposti dallo Stato e dagli altri enti indicati nell’art. 1 d.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180, testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (Sez. 2, n. 9767 del 18/11/2014, dep. 2015, Allotta, Rv. 263290; Sez. 1, n. 41905 del 23/09/2009, Cardilli, Rv. 245049; Sez. 6, n. 25168 del 16/04/2008, Puliga, Rv. 240572). Nella motivazione di tali decisioni, infatti, si precisa che gli emolumenti retributivi nella misura di quattro quinti e gli assegni di carattere alimentare per l’intero sono riconducibili all’area dei diritti inalienabili della persona tutelati dall’art. 2 Cost. E’ pacifico, poi, che detta disciplina trova applicazione anche ai dipendenti del settore privato, in cui opera l’odierno ricorrente, posto che, in tema di espropriazione forzata presso terzi, le modifiche apportate dalle I. n. 311 del 2004 e n. 80 del 2005 (di conversione del d.l. n. 35 del 2005) al d.P.R. n. 180 del 1950 hanno comportato la totale estensione al settore del lavoro privato delle disposizioni originariamente dettate per il lavoro pubblico, sicché i crediti derivanti dai rapporti di cui al n. 3 dell’art. 409 c.p.c.sono pignorabili nel limite di un quinto, previsto dall’art. 545, comma 4, c.p.c. (Sez. U civ., n. 1545 del 20/01/2017, Rv. 642004 – 02). La stessa decisione delle Sezioni Unite civili ha inoltre precisato che l’amministratore unico o il consigliere di amministrazione di una s.p.a. sono legati alla stessa da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell’immedesimazione organica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non è compreso in quelli previsti dal n. 3 dell’art. 409 c.p.c.; ne deriva che i compensi loro spettanti per le funzioni svolte in ambito societario sono pignorabili senza i limiti previsti dall’art. 545, comma 4, c.p.c. (Sez. U civ., n. 1545 del 20/01/2017, Rv. 642004).

2. Sotto altro angolo visuale, deve osservarsi che è bensì vero che questa Corte ha affermato il principio secondo cui il divieto, stabilito dall’art. 545 cod. proc. civ., di pignoramento delle somme percepite a titolo di credito pensionistico – o ad esso assimilato – in misura eccedente un quinto del loro importo non opera quando le somme siano già state corrisposte all’avente diritto e si trovino confuse con il suo patrimonio mobiliare (Sez. 3, n. 44912 del 07/04/2016, Bernasconi, Rv. 268771; Sez. 3, n. 12902 del 20/11/2015, dep. 2016, Merli, Rv. 266761). Come si evince dalla motivazione della prima delle citate decisioni – che proprio per questo esclude l’applicabilità della nuova disposizione di cui subito si dirà – il principio, tuttavia, vale soltanto laddove non sia possibile individuare le somme provenienti dalla corresponsione di ratei pensionistici o stipendiali perché corrisposte da epoca imprecisata, sì che le stesse si sono irrimediabilmente confuse con il restante patrimonio. A fortiori, ovviamente, il principio non vale allorquando tali somme, dopo essere state incassate, sono state spese, pur se il patrimonio si sia successivamente incrementato in termini corrispondenti a fronte di successivi introiti che trovino origine in altra causa.

Anche in sede penale, per contro, deve farsi applicazione del disposto di cui all’art. 545, sesto comma, cod. proc. civ. – introdotto dall’art. 13, comma 1, lett. I), d.l. 27 giugno 2015, n. 83, conv., con modiff., dalla l. 6 agosto 2015, n. 132 – secondo cui «le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge». La giurisprudenza civile di questa Corte, di fatti, ha precisato che la nuova disposizione – efficace soltanto per procedure successive all’entrata in vigore della legge di riforma – ha derogato al previgente regime dei beni fungibili secondo le regole del deposito irregolare, in virtù del quale le somme versate perdono la loro identità di crediti pensionistici e, pertanto, non sono sottoposte ai limiti di pignorabilità dipendenti dalle cause che diedero origine agli accrediti, con conseguente applicazione del principio generale di cui all’art. 2740 c.c. (Sez. L, n. 26042 del 17/10/2018, 651193).

Detta disciplina, reputa il Collegio, ha all’evidenza inteso risolvere il problema qui discusso in termini generali, peraltro dimostrando – contrariamente a quanto si sostiene in ricorso – che l’art. 545 cod. proc. pen. non riguarda un piano diverso da quello su cui si muove il d.P.R. 180 del 1950. Benché la disposizione, considerata la sedes materiae in cui è stata inserita, si riferisca al solo pignoramento – la cui disciplina è peraltro richiamata dall’art. 104, lett. a), disp. att. cod. proc. pen. quanto all’esecuzione del sequestro preventivo – la stessa è espressione di un principio generale che mira appunto a garantire i diritti fondamentali tutelati dall’art. 2 Cost., sicché deve certamente farsene applicazione con riguardo al sequestro penale, in particolare quello preventivo che qui viene in rilievo, non essendo ragionevole ritenere che in questo campo debba continuare a valere l’opposto principio interpretativo secondo cui, una volta versati sul conto corrente del creditore (ciò che di regola accade per stipendi e pensioni), gli emolumenti si confondano nel patrimonio sì da perdere la natura alimentare che, nei ragionevoli limiti indicati nella nuova norma, è loro propria. Per contro, a fronte della chiara scelta legislativa che, non può nemmeno ritenersi – come invece opina il ricorrente – che in ambito penale operi il diverso principio secondo cui, pur dopo l’ingresso delle somme nel patrimonio, continuerebbe a valere la regola dell’insequestrabilità oltre la misura del quinto.

3. L’ordinanza impugnata, citando risalente giurisprudenza civile, non ha tenuto conto dell’innovazione apportata all’art. 545 cod. proc. civ. e deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo esame formulandosi il seguente principio di diritto: il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente non può essere eseguito su somme corrispondenti al triplo della pensione sociale giacenti sul conto corrente del destinatario della misura allorquando sia certo che tali somme sono riconducibili ad emolumenti corrisposti nell’ambito del rapporto di lavoro o d’impiego.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Lecco.