Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 14657 depositata il 30 marzo 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – RESPONSABILITA’ DEL DIRIGENTE – CORRIDOIO DI PASSAGGIO INGOMBRO DI MATERIALE E CADUTA
FATTO
1. La Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Firenze con cui K.S.F. è stata condannata, oltre al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, alla pena della multa di euro 750,00 per il delitto di cui agli artt. 590, secondo e terzo comma, cod.pen., per avere, quale dirigente del punto vendita “La Rinascente” di Firenze, con violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro, consentito che il corridoio di passaggio per il motocarichi, luogo di utilizzo comune fuori dalla disponibilità dei datori di lavoro proprietari dei singoli box vendita, peraltro, adibito a uscita di sicurezza, fosse ingombrato da materiale che, ostacolando il transito, determinava la caduta di I.M., da cui conseguivano lesioni personali consistenti in contusione epatica e frattura IX, X e XI costole destre, con malattia guarita in 125 giorni (18 settembre 2010).
2. Avverso tale sentenza ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, K.S.F., denunciando l’inosservanza e erronea applicazione degli artt. 178, primo comma, lett. c, 180, 185, cod.proc.pen., essendo stata rigettata l’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio, nonostante l’indeterminatezza del capo di imputazione, per mancata individuazione della norma cautelare, asseritamente violata, risultando non pertinente all’art. 61 del d.lgs. 81/2008; l’inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 590, secondo e terzo comma, cod.pen., 61 e 64 del d.lgs. n. 81 del 2008, 604, 530, 533, 546, primo comma, lett. e) cod.proc.pen., e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine all’affermata responsabilità penale dell’imputata, mancando la motivazione relativamente alla credibilità della parte civile ed ad una serie di profili indicati a p.13 e 14 dell’atto di appello (tentativo di dipingere l’imputata come insensibile alle problematiche dei lavoratori, asserite lamentele sulle condizioni del magazzino, conseguenze psicologiche dell’infortunio) e risultando la motivazione contraddittoria relativamente all’inattendibilità di alcuni testi della difesa per ragioni di subordinazione rispetto all’imputata (rapporti caratterizzanti anche i testi della parte civile, valutati credibili), alle consegne avvenute il giorno dell’infortunio, alle condizioni del luogo di lavoro il giorno dell’infortunio, alla durata della malattia, alla quantificazione della pena ed in particolare al diniego delle attenuanti generiche, alla quantificazione del danno.
DIRITTO
1.I primi due motivi di ricorso non meritano accoglimento, atteso che, come precisato dalla Suprema Corte (Sez. 3, n. 5469 del 05/12/2013 ud., dep. 04/02/2014, rv. 258920), in tema di contestazione dell’accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all’indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia precisato in modo puntuale, conformemente a quanto avvenuto nel caso di specie, la mancata individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità, salvo che non si traduca in una compressione dell’esercizio del diritto di difesa (nello stesso senso, tra le tante, Sez. 3, n. 22434 del 19/02/2013 ud., dep. 24/05/2013, rv. 255772, secondo cui, ai fini della contestazione dell’accusa, ciò che rileva è la compiuta descrizione del fatto e non anche l’indicazione degli articoli di legge che si assumono violati). Non può ravvisarsi, pertanto, alcuna violazione di legge nel rigetto dell’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio da parte dei giudici di merito, che hanno, inoltre, evidenziato come dalla descrizione del fatto emergesse chiaramente la disposizione violata e, cioè, l’art. 64 del d.lgs. 81/2008, ai sensi del quale il datore di lavoro ha l’obbligo di fare in modo che le vie di circolazione interne o all’aperto che conducono a uscite di emergenza e le uscite di emergenza siano sgombre allo scopo di consentirne l’utilizzazione in ogni evenienza, e che il riferimento all’art. 61 integrasse un mero refuso materiale, da cui non è derivato alcun pregiudizio al diritto di difesa dell’imputata, essendo stato ampiamente trattato il profilo di colpa contestato.
2. Tutti gli altri motivi non superano il vaglio di ammissibilità, in quanto non denunciano né violazioni di legge, né mancanze, illogicità e contraddittorietà della motivazione effettive o, comunque, rilevanti, su aspetti che risultano decisivi ai fini dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputata, ma si traducono in una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella accertata dai giudici di merito.
In proposito va ricordato che nel giudizio di legittimità non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante) su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 Ud., dep. 31/03/2015, Rv. 262965). Del resto, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 ud., dep. 27/11/2015, rv. 265482).
Più precisamente la ricorrente lamenta carenze o contraddittorietà motivazionali insussistenti o, comunque, irrilevanti – sul mancato reperimento da parte della Asl di lamentele sulle condizioni del magazzino, lamentele che la Corte ha desunto dalle prove testimoniali e che ben potevano essere state verbali e non scritte; sulla valutazione di inattendibilità del teste B., che non è stata fondata solo su una sua eventuale ed imprecisa ragione di corresponsabilità, ma su una molteplicità di inesattezze o circostanze poco verosimili riferite dalla stessa (v. p. 9 della sentenza); sulle consegne avvenute la data dell’infortunio (sui cui sembra addirittura dedotto un travisamento della prova, che, peraltro, risulterebbe inammissibile, trattandosi di doppia conforme, in assenza delle condizioni necessarie), le quali sono state ricostruite dalla Corte in base al complessivo quadro indiziario, fondato anche sulla coincidenza del giorno dell’Infortunio con il sabato, presumibilmente quello di maggiore vendita e, quindi, maggiori consegne; sulle condizioni del luogo dell’infortunio nella data del 18 settembre 2010, desunta dai giudici di merito in base al complessivo quadro indiziario emerso, che non viene aggredito dal ricorrente nella sua unitarietà, ma in modo frammentario ed incompleto.
Parimenti le censure relative alla durata della malattia ed alla quantificazione del danno presuppongono una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dai giudici di merito, che hanno ritenuto condivisibili le valutazioni dell’Inail, escludendo gli errori asseriti dalla difesa dell’imputata, nelle relative certificazioni e conseguentemente valutata corretta la quantificazione del danno in base agli ordinari criteri civili. Solo per completezza va evidenziato che la Corte di Appello ha limitato la mancata contestazione dell’imputata all’applicazione dei criteri civili di liquidazione del danno e non alla durata della malattia.
Relativamente al diniego delle attenuanti generiche, la difesa della ricorrente non solo propone nuovamente una diversa ricostruzione dei fatti relativamente allo stato dei luoghi, ma non ha indicato alcun elemento positivo che avrebbe potuto giustificare la concessione delle attenuanti generiche (v. sul punto Sez. 4, n. 5875 del 2015, rv. 262249, secondo cui il giudice di appello non è tenuto a motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche sia quando nei motivi di impugnazione si ripropongano, ai fini del riconoscimento, gli stessi elementi già sottoposti alla attenzione del giudice di primo grado e da quest’ultimo disattesi sia quando si insista per quel riconoscimento senza addurre alcuna particolare ragione).
3. In conclusione, il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e ad rimborso delle spese di giudizio in favore della parte civile I.M. , liquidate in 2.500,00 euro, oltre accessori di legge.
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