CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 14738 depositata il 13 maggio 2020

Reati tributari ed altri – Sequestro preventivo finalizzato alla confisca – Definizione agevolata controversie tributarie ex art. 6, D.L. n. 119 del 2018 – Restituzione delle somme sequestrate per il pagamento della definizione tributaria – Esclusione

Ritenuto in fatto

1. II sig. M.B. ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 09/07/2019 del Tribunale di Verona che ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di restituzione delle somme sequestrate in esecuzione di decreto di sequestro preventivo del 16/01/2019 del Gip di Verona emesso per i reati di 2 e 8, d.lgs. n. 74 del 2000, 648-ter.l, 512-bis c.p.

1.1. Con il primo motivo deduce la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 597, 310 e 322-bis, cod. proc. pen. nella parte in cui il tribunale non ha motivato sui rilievi esposti nella memoria difensiva, in particolare quelli fondati sulla previsione dell’art. 12-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000 e 104-bis, disp. att. c.p.p., ritenendoli motivi aggiunti. Afferma, al riguardo, che non possono essere considerati motivi nuovi i rilievi tesi a prospettare al tribunale la possibile applicazione di norme giuridiche che porterebbero alla svincolo delle somme inizialmente richieste o comunque ad una loro parziale restituzione. Si tratta di una piana applicazione del principio: iura novit curia.

1.2. Con il secondo motivo deduce la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 104-bis, disp. att. c.p.p. e 52 e segg. d.lgs. n. 159 del 2011 nella parte in cui il tribunale disattende la tesi difensiva fecondo la quale l’Erario è terzo creditore avente diritto alla soddisfazione della propria pretesa con preferenza rispetto alle esigenze generali di confisca. Si sostiene, nello specifico, la natura nemmeno apparente bensì inesistente della motivazione. Sulla premessa in fatto che il debito verso l’erario era stato accertato in epoca anteriore alla data del sequestro sostiene, in diritto, la conseguente applicazione degli artt. 52 e segg. d.lgs. n. 159 del 2011 richiamato dall’art. 104-bis disp. att. c.p.p.. In particolare, nella scelta tra gli interessi dell’Erario, robustamente innervati dall’art. 53 Cost., e quelli di tipo preventivo/impeditivo sottesi alla confisca, occorre privilegiare senz’altro i primi tenuto conto che l’incameramento della somma (il pagamento del debito cioè) non frustrerebbe le finalità della confisca ma anzi costituirebbe un vantaggio per l’Erario stesso.

1.3. Con il terzo motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 12-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, e dell’art. 42 Cost. nella parte in cui si esclude che il pagamento del debito tributario possa essere effettuato con le somme sottoposte a sequestro. In realtà, afferma il ricorrente, la richiesta non era quella di ottenere la disponibilità del denaro da utilizzare per il pagamento del debito erariale, bensì quella di trasferire la somma direttamente dal FUG alle casse erariali mediante compilazione del modello F24 ad opera del ricorrente stesso ovvero mediante restituzione “vincolata” della somma giusta applicazione dell’art. 85 disp. att. c.p.p., ritenuta possibile dalla giurisprudenza della Corte (si cita Sez. 3, n. 18034 del 05/02/2019, Rv. 275951 – 01). Tale eventualità, l’unica che renderebbe concretamente applicabile l’art. 12-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, non è stata nemmeno presa in considerazione dal tribunale.

1.4. Con il quarto motivo deduce la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 597, 310 e 322-bis cod. proc. pen. nella parte in cui il tribunale ritiene non scrutinatile la richiesta di restituzione della somma di euro 61.590,88 (corrisposta all’erario quale prima rata della cd. definizione agevolata) considerandola domanda nuova che amplia il petitum, laddove doveva ritenersi compresa nella restituzione della somma nella sua interezza.

2. Il Procuratore generale della Corte ha depositato una memoria scritta chiedendo il rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato.

4. Il ricorrente è sottoposto a procedimento penale per i delitti di dichiarazione fraudolenta ed emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui agli artt. 2 e 8, d.lgs. n. 74 del 2000, nonché per i delitti di autoriciclaggio (art. 648 ter. 1 cod. pen.) e trasferimento fraudolento di valori (art. 512-bis cod. pen.)

4.1. Con decreto del 16/01/2019 il G.i.p. del Tribunale di Verona aveva ordinato il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, di somme di denaro, valori finanziari e beni immobili fino alla concorrenza di € 17.368.821,00, di cui € 567.328,27 corrispondenti all’imposta complessivamente evasa in conseguenza dei reati tributari provvisoriamente ascritti. Di tale specifica somma il giudice aveva disposto il sequestro ai fini della confisca di cui all’art. 12-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, ordinandolo nei confronti delle società direttamente coinvolte amministrate di fatto dal ricorrente, ovvero, in caso di impossibilità, nei confronti di quest’ultimo per un valore ad esso corrispondente.

4.2. Con successiva ordinanza del 13/05/2019, il G.i.p. aveva rigettato la richiesta di revoca parziale del sequestro mediante restituzione della somma di € 2.708.469,04 necessaria per aderire alla procedura di definizione agevolata delle controversie tributarie di cui all’art. 6, d.l. n. 119 del 2018, convertito con modificazioni dalla legge n. 136 del 2018, e poter fruire dei benefici di cui agli artt. 13-bis e 14, d.lgs. n. 74 del 2000. In particolare, il ricorrente aveva chiesto che il giudice autorizzasse direttamente il Fondo Unico Giustizia, depositario della somma, a pagare direttamente l’importo richiesto in restituzione, pena la perdita definitiva dei benefici di legge.

4.3. Avverso l’ordinanza di rigetto il ricorrente aveva proposto appello definito dal Tribunale di Verona con il provvedimento impugnato che, in estrema sintesi, così argomenta:

i) la somma chiesta in restituzione (pur nella minor misura definitivamente indicata nella memoria difensiva depositata nelle more dell’udienza; infra) è in ogni caso di gran lunga superiore al profitto dei reati tributari, con conseguente impossibilità di utilizzarla, in quanto profitto di altri reati, per definire le pendenti controversie tributarie;

ii) la definizione agevolata delle controversie tributarie disciplinata dall’art. 6, d.l. n. 119 del 2018 (cd. “pace fiscale”), non comporta il pagamento delle sanzioni e degli interessi con conseguente impossibilità di fruire dei benefici di cui agli artt. 13-bis e 14, d.lgs. n. 74 del 2000;

iii) la cd. “pace fiscale” non è assimilabile alle “speciali procedure conciliative” di cui all’art. 13-bis, d.lgs. n. 74 del 2000;

iv) le controversie tributarie che il richiedente aveva intenzione di definire non erano nemmeno tutte riconducibili alle vicende oggetto di cautela posto che il profitto sequestrato riguarda, per la parte tributaria, solo i fatti commessi dagli anni 2011 in poi, laddove le pendenze tributarie delle quali si chiedeva la definizione agevolata riguardavano annualità di imposta dal 2006 in poi;

v) il fatto che, sino a confisca irrevocabilmente disposta, le somme siano di proprietà del soggetto al quale sono state sequestrate non comporta in capo a quest’ultimo il diritto alla restituzione o a disporne come meglio ritiene;

vi) con memoria difensiva il ricorrente ha ridotto l’importo chiesto in restituzione (determinandolo in € 1.231.817,24, somma necessaria per completare il pagamento in forma rateale – 19 rate trimestrali da € 61.590,88 l’una – per la definizione agevolata delle residue pendenze tributarie) ed ha indicato un ulteriore titolo della richiesta di restituzione individuandolo nell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000;

vii) il diverso titolo della richiesta nulla toglie al fatto che le somme richieste in restituzione riguardano per la gran parte i diversi delitti di autoriciclaggio e trasferimento fraudolento di valori non trovando fondamento alcuno la richiesta di applicazione degli artt. 104-bis, disp. att. c.p.p. e 52 e segg. d.lgs. n. 159 del 2011 (che costituisce, a giudizio del tribunale, un motivo nuovo);

viii) nemmeno la subordinata richiesta di restituzione della somma corrispondente al profitto dei reati tributari può trovare accoglimento in assenza di materiale versamento all’Erario della somma stessa;

ix) la domanda di restituzione della somma di € 61.590,88, utilizzata per il pagamento della prima rata della definizione agevolata, costituisce domanda nuova ed in ogni caso la richiesta di revoca parziale del sequestro preventivo segue percorsi procedurali diversi.

5. Prima di esaminare i singoli motivi di ricorso è necessario ribadire che avverso le ordinanze emesse a norma degli artt. 322-bis e 324 cod. proc. pen., il ricorso per Cassazione è ammesso solo per violazione di legge.

5.1. Come più volte affermato da questa Corte «in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice» (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004; si vedano, nello stesso senso, Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, e Sez. U, n. 5 del 26/02/1991, Bruno, nonché Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini; Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012, Chiesi; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, Buonocore).

5.2. Motivazione assente è quella che manca fisicamente (Sez. 5, n. 4942 del 04/08/1998, Seana; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini) o che è graficamente indecifrabile (Sez. 3, n. 19636 del 19/01/2012, Buzi); motivazione apparente, invece è solo quella che «non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui si è fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti» (Sez. 1, n. 4787 del 10/11/1993, Di Giorgio), come, per esempio, nel caso di utilizzo di timbri o moduli a stampa (Sez. 1, n. 1831 del 22/04/1994, Caldaras; Sez. 4, n. 520 del 18/02/1999, Reitano; Sez. 1, n. 43433 dell’8/11/2005, Costa; Sez. 3, n. 20843, del 28/04/2011, Saitta) o di ricorso a clausole di stile (Sez. 6, n. 7441 del 13/03/1992, Bonati; Sez. 6, n. 25361 del 24/05/2012, Piscopo) e, più in generale, quando la motivazione dissimuli la totale mancanza di un vero e proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, o sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonea a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U., n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov; nello stesso senso anche Sez. 4, n. 43480 del 30/09/2014, Giovannini, Rv. 260314, secondo cui la motivazione dell’ordinanza confermativa del decreto di sequestro probatorio è meramente apparente – quindi censurabile con il ricorso per cassazione per violazione di legge – quando le argomentazioni in ordine al “fumus” del carattere di pertinenza ovvero di corpo del reato dei beni sottoposti ^ vincolo non risultano ancorate alle peculiarità del caso concreto).

5.3. Anche l’omesso esame di punti decisivi per l’accertamento del fatto, sui quali è stata fondata l’emissione del provvedimento di sequestro, si traduce in una violazione di legge per mancanza di motivazione, censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 325, comma primo cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, Baronio, Rv. 264011; Sez. 1^ n. 48253 del 12/09/2017, Serra, n.m.; Sez. 3, n. 38026 del 19/04/2017, De Cicco, n.m.; Sez. 3, n. 38025 del 19/04/2017, Monti, n.m.).

5.4. In tal caso, però, è onere del ricorrente: a) allegare al ricorso l’elemento indiziario dirimente di cui eccepisce l’omesso esame; b) dare prova della sua effettiva esistenza tra gli atti trasmessi al tribunale del riesame o comunque della sua acquisizione nel corso dell’udienza camerale; c) spiegarne la natura decisiva alla luce sia della limitata cognizione del giudice del riesame (cui non può essere demandato un giudizio anticipato sulla responsabilità di chi chiede il riesame del provvedimento cautelare reale) sia del fatto che ai fini del sequestro preventivo sono sufficienti gli indizi del reato, non i gravi indizi di colpevolezza, con la conseguenza che il provvedimento, sopratutto quando adottato per le finalità cautelari di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., può riguardare anche beni di proprietà di terzi estranei al reato ipotizzate (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 14823 del 30/11/2016, dep. 2017, Lochi, n.m., secondo cui poiché il c.d.”effetto devolutivo” del riesame deve essere inteso nel senso che il tribunale è tenuto a valutare, indipendentemente dalla prospettazione del ricorrente, ogni aspetto relativo ai presupposti della misura cautelare (“fumus commissi delicti” e, nel sequestro preventivo,” periculum in mora”) (Sez. 3, n. 35083 del 14/04/2016, Talano, Rv. 267508), il vizio denunciabile come violazione di legge deve riguardare l’omessa motivazione su questioni decisive sottoposte al Tribunale del riesame ed evincibili dagli atti ad esso trasmessi o dalle produzioni difensive (atti, compresi quelli investigativi, la cui esistenza il ricorrente ha comunque l’onere di provare nella loro fisica collocazione tra quelli a disposizione del Tribunale e allegare al ricorso)»).

5.5. Dunque, anche l’omesso esame di una memoria difensiva può essere dedotto in sede di ricorso per cassazione ex art. 325 cod. proc. pen. purché con la memoria sia stato introdotto un tema potenzialmente decisivo ed il provvedimento impugnato sia rimasto sul punto del tutto silente (Sez. 2, n. 38834 del 07/06/2019, Rv. 277220). E in tal caso è comunque necessario che il ricorrente soddisfi gli oneri di allegazione di cui! al punto 5.4 che precede.

6. Tanto premesso, il primo motivo è inammissibile perché, a prescindere dalla verifica della sua fondatezza, in violazione del principio di autosufficienza non è allegata la memoria difensiva della quale si deduce l’omesso esame. Peraltro il motivo è contraddetto dalle deduzioni oggetto del secondo ove si afferma con chiarezza che il tribunale ha preso posizione (ed ha effettivamente preso posizione) sulle questioni dedotte con la memoria difensiva, così da privare di interesse la coltivazione del ricorso limitatamente a questo punto.

7. Il secondo motivo è infondato.

7.1. La tesi della scindibilità delle posizioni creditorie, sì da ritenere lo Stato terzo creditore rispetto a se stesso non è francamente sostenibile e di certo dei suoi interessi non può farsi portatore il ricorrente che non è legittimato a farli valere.

7.2. Questi sostiene che il debito verso l’erario è stato accertato in epoca precedente all’epoca di adozione del sequestro sicché l’eventuale confisca non potrebbe operare in danno di terzi ai sensi dell’art. 52 d.lgs. n. 159 del 2011 richiamato dall’art. 104-bis, comma 1 quater, disp. att. c.p.p. La norma in questione, interpretata in modo sistematico, impone, secondo il ricorrente, di privilegiare gli interessi erariali rispetto a quelli di tipo preventivo e impeditivo connessi alla confisca che ha titolo in fatti diversi. Ne consegue, secondo questa impostazione, che l’intera somma chiesta in restituzione può essere utilizzata per éstinguere tutti i debiti tributari pendenti anche se è superiore al profitto dei reati tributari ed è riferibile a fatti diversi.

7.3. Fermo quanto meglio si dirà in sede di esame del terzo motivo, la deduzione difensiva non fondamento per le seguenti ragioni: a) l’art. 104-bis, comma 1 quater, disp. att. c.p.p., si applica ai soli casi di sequestro e confisca in casi particolari previsti dall’art. 240-bis cod. pen. o dalle altre disposizioni di legge che a questo articolo rinviano nonché agli altri casi di sequestro e confisca di beni adottati nei procedimenti relativi a delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.; b) nel caso in esame il sequestro è stato adottato al fine di consentire la confisca del profitto ai sensi dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, norma che non rinvia all’art. 240-bis ed è applicabile in procedimenti per delitti non contemplati dall’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.; c) il terzo titolare di diritti di credito anteriori al sequestro di cui all’art. 52, d.lgs. n. 159 del 2011, è persona fisicamente e giuridicamente distinta dallo Stato, prova rie sia che, come esattamente sostenuto anche dal PG nella sua memoria, in caso di confisca dei beni, aziende o partecipazioni societarie sequestrati, i crediti erariali si estinguono per confusione ai sensi dell’art. 1253 cod. civ. (art. 50 d.lgs. n. 159 del 2011); d) infine il ricorrente, come detto, non è legittimato a fare valere gli interessi dell’Erario.

8. Anche il terzo motivo è infondato.

8.1. Il ricorrente dà per scontata la possibilità per il giudice di ordinare al F.U.G. il trasferimento della somma in sequestro «alle Casse erariali, previa compilazione degli F24 da parte del soggetto titolare delle somme». Sostiene che, in ogni caso, il tribunale della libertà avrebbe potuto restituirgli tale somma vincolandone la destinazione al pagamento della rata calcolata per la cd. “pace fiscale”.

8.2.Il primo argomento è del tutto destituito di fondamento.

8.3. E’ necessario, a tal fine, esaminare la normativa che, in generale, disciplina la gestione e le modalità di impiego delle somme sequestrate nell’ambito dei procedimenti penali.

8.4. L’art. 11, D.M. 30 settembre 1989, n. 344 (Regolamento per l’esecuzione del codice di procedura penale) disponeva che fino all’entrata in vigore del decreto ministeriale previsto dall’art. 82, comma 3, disp. att. c.p.p., il denaro sequestrato, salvo diversa determinazione dell’autorità giudiziaria, doveva essere depositato nell’ufficio postale secondo le norme che disciplinano i depositi giudiziari. L’art. 3, R.D. 10 marzo 1910, n. 149 – Approvazione del regolamento sul servizio dei depositi giudiziari – disponeva a tal fine che l’autorità giudiziaria ordinasse il deposito nell’ufficio postale delle somme sequestrate nei procedimenti penali quando non risultasse necessario conservarle nelle identiche specie. L’ufficio postale rilasciava gratuitamente un libretto di risparmio infruttifero (art. 12).

8.5. L’art. 153, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ha successivamente disposto che le somme e i valori in sequestro e le somme ricavate dalla vendita dei beni sequestrati siano depositate presso i «concessionari», intendendosi per tali quelli incaricati ai sensi dell’articolo 4, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 237 (art. 3, lett. z, d.P.R. n. 115, cit.): concessionario del servizio di riscossione dei tributi, istituti di credito e P.I. Spa.

8.6. Con D.M. 6 giugno 2002, è stato riconosciuto un tasso di interesse pari all’1,50 per cento lordo in ragione di anno sui depositi giudiziari (art. 11).

8.7. L’art. 61, comma 23, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dispone che tali somme affluiscano ad un fondo unico, denominato “Fondo unico giustizia” dall’art. 2 d.l. 16 settembre 2008, convertito con modificazioni dalla legge 13 novembre 2008, n. 112, e successive modiche, gestito da Equitalia Giustizia S.p.a..

8.8. Tali somme vengono trasferite da Equitalia Giustizia S.p.a. su uno o più conti correnti intrattenuti con gli operatori finanziari che garantiscono un tasso d’interesse attivo allineato alle migliori condizioni di mercato, nonché un adeguato livello di solidità e di affidabilità ed idonei livelli di servizio (art. 2, comma 6-bis, d.l. n. 143 del 2008, inserito dall’art. 2, comma 21, d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, e ulteriormente modificato dall’art. 5, comma 8, d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 2012, n. 44).

8.9.Le risorse intestate al “Fondo unico giustizia”, anche frutto di utili della loro gestione finanziaria, fino ad una percentuale non superiore al 30% (elevabile fino al 50%) relativamente alle sole risorse oggetto di sequestro penale (o amministrativo), pur disponibili “per massa” possono essere assegnate, per quote, al Ministero dell’interno, al Ministero della giustizia, all’entrata del bilancio dello Stato (art. 2, comma 7, d.l. n. 143 del 2008, cit.).

8.10. Il D.M. (Ministero dell’economia e delle finanze) 30/07/2009, che regolamenta il “Fondo unico giustizia”, prevede che fino al momento del versamento all’entrata del bilancio dello Stato, ai fini della successiva riassegnazione delle somme di cui al comma 7 dell’articolo 2, d.l. n. 143 del 2008, Equitalia Giustizia gestisce le risorse avendo riguardo alle esigenze di liquidità del Fondo unico giustizia e garantendo la pronta disponibilità delle somme di denaro necessarie per eseguire le restituzioni e i prelevamenti previsti dal regolamento stesso. A tal fine, Equitalia Giustizia: a) relativamente alle risorse sequestrate che alla data della intestazione risultano in forma di denaro, registra la misura del tasso d’interesse attivo riconosciuto dagli operatori postali, bancari e finanziari, e dagli operatori assicurativi alla data dell’intestazione, nonché ogni variazione del predetto tasso che fosse successivamente comunicata dai suddetti operatori; b) intrattiene un apposito conto corrente, intestato Fondo unico giustizia, con l’operatore che riconosce il più elevato tasso di interesse attivo, in ogni caso superiore alla media dei tassi di interesse attivi applicati dalle maggiori banche sui conti correnti dei loro clienti, di cui alla pubblicazione Bankitalia-depositi overnight presso l’Eurosistema; c) trasferisce sul conto corrente le somme sequestrate in forma di danaro esclusivamente se il relativo tasso di interesse attivo risulti superiore a quello praticato sulle medesime risorse e soltanto per il tempo durante il quale il predetto tasso risulti effettivamente superiore; d) investe le somme sequestrate per massa e non per singolo provvedimento esclusivamente in titoli emessi e garantiti dallo Stato italiano e soltanto se, all’atto dell’investimento e nel corso della relativa gestione, l’investimento garantisce la sua pronta liquidazione, nonché una remunerazione complessivamente maggiore di quella conseguente all’applicazione dei tassi di interesse attivo di cui alle medesime lettere (art. 6, D.M. 30/07/2009).

8.11. Per le somme oggetto di restituzione suscettibili di produrre interessi, per le quali l’avente titolo alla restituzione non intratteneva rapporti con Operatori postali, bancari, finanziari o assicurativi anteriormente al provvedimento di sequestro ovvero per le quali interviene la revoca della Confisca, è riconosciuto all’avente titolo un interesse pari alla media dei tassi di interesse attivi applicati, nel periodo intercorrente tra la data di intestazione delle risorse e quella della loro restituzione, dalle maggiori banche sui conti correnti dei loro clienti, di cui alle apposite pubblicazioni ufficiali di riferimento Bankitalia-depositi overnight presso l’Eurosistema, al netto delle spese di conservazione e di amministrazione sostenute da Equitalia Giustizia, nonché delle commissioni, dei bolli e delle spese relative al rapporto con gli Operatori (art. 2, comma 3, D.M. 30/07/2009).

8.12. Quel che in conclusione appare chiaro, dalla pur sommaria esposizione sin qui fatta, è che con il sequestro penale le somme di danaro vengono materialmente e giuridicamente sottratte alla disponibilità del titolare cui viene riconosciuto il solo diritto (di credito) a ottenere, in caso di provvedimento di restituzione, il “tantundem eiusdem generis”, maggiorato dei relativi interessi (almeno a partire dal giugno 2002) o comunque dei vantaggi riconosciuti dal D.M. 30 luglio 2009, cit., secondo lo schema civilistico tipico del deposito irregolare di cui all’art. 1782, cod. civ. in conseguenza del quale il danaro passa in proprietà del depositario (artt. 1782, comma 2, 1813 e 1814, cod. civ.).

8.13. Ne consegue che:

8.13.1. delle somme sequestrate, una volta confluite nella massa, il “depositario” può farne l’uso che ritiene, esercitando le facoltà e le prerogative tipiche del proprietario;

8.13.2.la natura pubblicistica della “causa/titolo” del deposito (il sequestro penale) giustifica limitazioni all’uso del “tantundem” o comunque ne comporta usi vincolati anche al fine di garantire al “depositante” il soddisfacimento del diritto alla (eventuale) restituzione;

8.13.3.in ogni caso, il riconoscimento di tale diritto esclude la natura irreversibile del trasferimento della proprietà del denaro sequestrato a favore del “depositario”.

8.14. La normativa sin qui esaminata disciplina l’uso delle somme sequestrate presupponendone, come detto, la proprietà da parte dell’ente pubblico “depositario/gestore” acquisita in virtù di un titolo (il sequestro penale) che rende solo eventuale ma non esclude l’obbligo della restituzione.

8.15.In genere, come visto, tali somme vengono versate, per massa e per percentuali variabili normalmente non inferiori al 30%, all’entrata “bilancio dello Stato” secondo criteri statistici e di rotatività e investite, sempre per massa e non per singolo provvedimento, in rapporti di conto corrente che garantiscano interessi superiori alla media o in titoli di Stato.

8.16. La natura pubblicistica della gestione del denaro sequestrato esclude che il giudice (o il pubblico ministero) possano disporne con provvedimenti oltretutto atipici o per finalità non previste dalla legge imponendo addirittura un “facere” ad un ente pubblico al di fuori dei casi previsti, nessuno dei quali contempla la possibilità di ordinare «il trasferimento [delle somme sequestrate] alle Casse erariali». Le “casse erariali” semplicemente non esistono; esiste il bilancio dello Stato al quale, come visto, le somme sequestrate possono essere indistintamente assegnate, pro-quota, per un ammontare variabile tra il 30 ed il 50 dell’ammontare complessivo delle somme sequestrate.

8.17. La possibilità, dunque, di ordinare il sostanziale pagamento dei debiti del contribuente mediante il trasferimento delle somme sequestrate ai fini della loro confisca alle “Casse erariali” è frutto di suggestione che tale resta e che renderebbe il provvedimento del giudice abnorme perché emesso in totale carenza di potere.

8.18. L’unica cosa che l’autorità giudiziaria può ordinare è la restituzione pura e semplice, in tutto o in parte, della somma di denaro sequestrata, non altro.

8.19.Le considerazioni che precedono portano, inoltrerà ritenere non applicabile la disposizione di cui all’art. 85, disp. att. c.p.p., alle somme di denaro in sequestro. La norma, come noto, disciplina la restituzione subordinata alla esecuzione, entro un termine prefissato, di specifiche prescrizioni, il cui adempimento deve essere garantito con l’imposizione di una cauzione. Come esattamente sostenuto anche in dottrina, la compiuta ottemperanza delle prescrizioni costituisce condizione risolutiva del vincolo processuale sicché il bene, solo materialmente traslato al privato, fino al suo avverarsi non è nella disponibilità giuridica di quest’ultimo, ma solo nella sua disponibilità materiale (cfr., al riguardo, Sez. 3, n. 56 dell’11/01/2000, Rv. 216211, infra).

8.20. Si sono già illustrate le ragioni per le quali lo Stato diviene proprietario delle somme di danaro sequestrate (anche) nell’ambito di procedimenti penali, residuando a favore della persona che ha subito il sequestro il diritto alla restituzione del tantundem se e quando se ne verifichino le condizioni (che, nel caso di specie, sono costituite dal pagamento della somma corrispondente al profitto dei reati specificamente contestati; su ciò infra).

8.21. Ne consegue che il denaro non può essere restituito «previa esecuzione di specifiche prescrizioni» se tali prescrizioni consistono, come nel caso di specie e secondo le intenzioni del ricorrente, nel suo impiego e cioè nella sua piena disponibilità di fatto e di diritto. Ciò sull’evidente rilievo che l’utilizzo del denaro per effettuare dei pagamenti presuppone l’effettiva restituzione del denaro stesso prima ancora dell’avverarsi della condizione (il pagamento, cioè).

8.22. Ne consegue che l’art. 85, disp. att. c.p.p., non si applica alle somme di denaro la cui restituzione è subordinata al suo utilizzo.

8.23. A tali considerazioni altre se ne aggiungono.

8.24. Si è discusso in giurisprudenza della possibilità di applicare l’art. 85, disp. att. c.p.p., inserito nel capo VI delle norme di attuazione recante «Disposizioni relative alle prove», al sequestro preventivo. In senso contrario si era espressa Sez. 2, n. 5606 del 20/01/2009, Rv. 243284, secondo cui non si applica al sequestro preventivo la disposizione che disciplina, in riferimento al sequestro probatorio, le modalità di restituzione della cosa previo pagamento di una cauzione a garanzia. In senso favorevole si era però espressa Sez. 3, n. 56 dell’11/01/2000, Rv. 216211, secondo cui la disposizione dell’art. 85 disp. att. cod. proc. pen., che prevede la possibilità di restituzione di cose sequestrate previa esecuzione di specifiche prescrizioni, è applicabile, stante il rinvio contenuto nell’art. 104 delle stesse disp. att., al sequestro preventivo. Essa consente esclusivamente di ottemperare alle prescrizioni impartite, mentre diviene pienamente operativa, nel senso che il sequestro può considerarsi definitivamente cessato, solo quando le dette prescrizioni siano state puntualmente eseguite. Più recentemente il principio è stato ribadito da Sez. 3, n. 40399 del 27/06/2019, Rv. 276936, sul rilievo, appunto, che l’art. 85 è richiamato dall’art. 104 disp. att. c.p.p..

8.25.Sennonché, l’art. 104 disp. att. c.p.p. è stato integralmente sostituito dall’art. 2, comma 9, lett. a), legge 15 luglio 2009, che ha interamente ed autonomamente disciplinato l’esecuzione del sequestro preventivo senza alcun richiamo alle disposizioni relative al sequestro probatorio. La stessa legge aveva inserito l’art. 104-bis (amministrazione dei beni sottoposti a sequestro probatorio), poi sottoposto ad ulteriori modifiche ad opera della legge 17 ottobre 2017, n. 161 (art. 30, comma 2, lett. a e b) e della legge Io marzo 2018, n. 21 (art. 6, comma 3, lett. a, nn. 1 e 2), che disciplina la amministrazione dei beni sottoposti a sequestro preventivo e a sequestro e confisca in casi particolari ad esclusione dei beni destinati ad affluire al Fondo Unico Giustizia, per i quali vige, come visto, il regime di gestione già ampiamente illustrato.

8.26. Ne consegue che l’art. 85 disp. att. c.p.p,, in quanto non più richiamato dall’art. 104, e in considerazione della autonoma e articolata disciplina delle modalità esecutive del sequestro preventivo, non è applicabile al sequestro preventivo.

9. E’ infondato anche l’ultimo motivo.

9.1. Il ricorrente, come già visto, ha presentato domanda di definizione agevolata delle controversie tributarie ai sensi dell’art. 6, commi 6 e 8, d.l. n. 119 del 2018 (cd. “pace fiscale”), provvedendo a pagare anche la prima rata pari ad € 61.590,88.

9.2. Il meccanismo previsto dall’art. 12-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000 presuppone (e dà per scontata) la possibilità, per il contribuente che si sia impegnato nei confronti dell’erario al pagamento del debito, di pagare il dovuto «anche in presenza di sequestro».

9.3. Quanto all’impegno al pagamento del debito, la Corte ha reiteratamente affermato il principio secondo il quale l’art. 12-bis cit. si riferisce alle assunzioni d’impegno nei termini riconosciuti e ammessi dalla legislazione tributaria di settore (accertamento con adesione, conciliazione giudiziale, transazione fiscale, attivazione di procedure di rateizzazione automatica o a domanda) (Sez. 3, n. 28225 del 09/02/2016, Rv. 267334; Sez. 3, n. 5728 del 14/01/2016, Rv. 266037). La definizione agevolata delle controversie tributarie, poiché si perfeziona con la presentazione della domanda e il tempestivo pagamento della prima rata, costituisce certamente impegno produttivo degli effetti previsti dalla norma. E’ necessario tuttavia che: a) le controversie oggetto di richiesta di definizione non riguardino, nemmeno in parte, le risorse o le somme di cui al comma 5, lett. a e b, dell’art. 6, d.l. n. 119 del 2018; b) la controversia oggetto di definizione (e dunque l’atto impugnato che ne è oggetto; comma 8 dell’art. 6) riguardi in tutto o in parte gli stessi fatti produttivi del profitto confiscabile.

9.4. La Corte ha comunque spiegato che il comma secondo dell’art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, nel disporre che la confisca diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prodotto del reato “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro” e che “nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta”, non preclude l’adozione del sequestro preventivo ad essa confisca finalizzato, relativa mente agli importi non ancora corrisposti. Ciò sul rilievo che la funzione del vincolo cautelare è quella di garantire che l’adottata misura ablativa, inefficace con riguardo alla parte coperta dall’impegno, esplichi i propri effetti qualora il versamento “promesso” non si verifichi (così Sez. 3, n. 5728 del 14/01/2016, Orsetto, Rv. 266038; Sez. 3, n. 42087 del 12/07/2016, Vitale, Rv. 268081; Sez. 3, n. 42470 del 13/07/2016, Orsi, Rv. 268384).

9.5. La persistente natura obbligatoria (e sanzionatoria) della confisca per equivalente comporta che, ai fini della adozione del sequestro preventivo, il giudice è tenuto ad accertare esclusivamente la astratta confiscabilità del bene, esulando dal suo orizzonte decisorio la volontà del contribuente di estinguere il debito (ed il fatto che lo stia pagando) o i riflessi che il sequestro potrebbe avere sull’economia d’impresa o, ancora, il pericolo che nelle more il bene possa disperdersi o la positiva prognosi di adempimento, non essendo il giudice dotato al riguardo di alcuna discrezionalità; la natura e la finalità del provvedimento da adottare non gliela attribuiscono (Sez. 3, n. 18034 del 05/02/2019, Rv. 275951, secondo cui la previsione di cui all’art. 12-bis, comma 2, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, secondo la quale la confisca, diretta o per equivalente, non opera per la parte del profitto o del prezzo del reato che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro, va intesa nel senso che, per la parte coperta da tale impegno, la confisca può comunque essere adottata nonostante l’accordo rateale intervenuto, ma non è eseguibile, producendo i suoi effetti solo al verificarsi del mancato pagamento del debito).

9.6. Quanto alla possibile “riduzione” del sequestro in misura corrispondente alle rate già corrisposte, non v’è dubbio che, come reiteratamente affermato dalla Corte, in termini generali il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non può essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione, e ciò in virtù degli invocati principi di gradualità e proporzionalità delle misure cautelari (che non rilevano in questo caso), bensì perché, altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa (Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Aumenta, Rv. 263409; Sez. 3, n. 6635 del 08/01/2014, Cavatorta, Rv. 258903).

9.7. Tuttavia il Tribunale fa buon governo dell’insegnamento secondo il quale la revoca parziale del sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, nel caso di intervenuta rateizzazione del debito tributario, deve essere richiesta dall’interessato al PM, previa dimostrazione del “quantum” corrisposto per i ratei di imposta al netto di interessi e sanzioni, mentre non può essere domandata, in difetto di tali indicazioni, al Tribunale del riesame o dell’appello cautelare, essendo tale organo Sprovvisto di potere istruttori e, quindi, salvi i casi di immediata soluzione sulla base degli atti, non in condizione di dirimere le questioni contabili derivanti dal pagamento parziale (Sez. 3, n. 33602 del 24/04/2015, Pastore, Rv. 265043).

9.8. Nel caso di specie, infatti, oggetto di definizione agevolata sono varie annualità di imposta, ulteriori e diverse da quelle oggetto di imputazione provvisoria. Si è detto, infatti, che la somma sequestrata a titolo di profitto confiscabile per equivalente (€ 567.328,29) è relativa alle sole annualità non prescritte, laddove la definizione agevolata riguarda anche altre annualità (l’importo complessivo della definizione, infatti, è pari ad € 1.231.817,24). La richiesta di restituzione dell’importo corrispondente alla prima rata già versata non era mai stata fatta al PM e nemmeno al GIP al quale il ricorrente aveva chiesto la restituzione tout court dell’importo di € 2.708.496,04 al fine di aderire alla procedura di definizione anticipata. In sede di appello cautelare avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta, il Brunello aveva chiesto, tra l’altro, il dissequestro della somma di € 61.590,00 per poter presentare domanda di definizione agevolata e «”in via continuativa” il dissequestro “della stessa somma ogni tre mesi”». Con memoria difensiva depositata nelle more dell’udienza di discussione dell’appello, il ricorrente aveva documentato il pagamento della prima rata.

9.9. Così precisato l’oggetto della domanda, correttamente il tribunale ha definito “nuova” quella di restituzione della somma già versata posto che la ‘causa petendi’ della richiesta proposta con l’appello (restituzione al fine di pagare) è ben diversa da quella (restituzione della somma già pagata) che lo stesso ricorrente afferma di aver proposto «nelle more della fissazione dell’udienza di appello». La infondatezza della “causa petendi” della domanda oggetto di devoluzione in appello (richiesta di restituzione al fine di pagare) è stata ampiamente illustrata in sede di esame del terzo motivo di ricorso; la richiesta di restituzione delle somme già pagate, invece, si fonda su accertamenti di fatto sulla validità e ampiezza dell’impegno assunto con la domanda di definizione agevolata che non potevano essere per la prima volta sollecitati in sède di appello cautelare avverso un provvedimento del GIP adottato per tutt’altre ragioni ed in epoca antecedente alla stessa definizione agevolata. In Ogni caso, la decisione del tribunale di non poter aderire alla richiesta di restituzione perché non in grado di stabilire se e quanta parte della somma versata fosse riconducibile ai residui fatti-reato per i quali si procede nei confronti del ricorrente non è sindacabile in questa sede e di certo non mediante le inammissibili allegazioni fattuali contenute nel ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.