CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 14763 depositata il 13 maggio 2020
Reati tributari – Utilizzo in compensazione di crediti inesistenti o non spettanti – Soglia di punibilità – Somma algebrica di tutti i crediti indebitamente compensati
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 1 ottobre 2019 il Tribunale di Torino ha respinto la richiesta di riesame presentata, tra gli altri, da V.C. nei confronti del decreto del 10 maggio 2019 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con il quale era stato disposto il sequestro preventivo, in via diretta e per equivalente, del profitto del reato di cui all’art. 10 quater d.lgs. 74/2000 contestato al richiedente.
Nel disattendere la richiesta di riesame il Tribunale ha, tra l’altro, ritenuto che tale disposizione sanzioni l’omesso versamento di tutti i debiti per i quali deve essere utilizzato, per il pagamento, il modello di versamento unitario (cosiddetto modello F24) di cui all’art. 17 d.lgs. 241/97, espressamente richiamato dalla norma incriminatrice, dunque sia debiti tributari, sia debiti di altra natura, ad esempio contributiva, richiamando un consolidato orientamento interpretativo di legittimità in tal senso e la sentenza della Corte costituzionale n. 35 del 2018, e ha pertanto ritenuto superata la soglia di rilevanza penale anche in relazione agli anni 2016 e 2017, con la conseguente configurabilità del reato contestato al ricorrente anche con riferimento agli omessi versamenti relativi a tali anni.
2. Avverso tale sentenza l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo, mediante il quale ha denunciato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 10 quater d.lgs. 74/2000, con riferimento alla affermazione del superamento della soglia di euro 50.000,00 per anno di imposta.
Ha affermato che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto superata tale soglia di rilevanza penale per gli anni 2016 e 2017, in quanto aveva considerato, al fine di determinare l’ammontare delle somme dovute per ciascun anno d’imposta, sia debiti tributari, sia tributi di altro genere (previdenziali, contributivi e per imposte locali), benché, tenendo conto della collocazione della norma incriminatrice, all’interno della nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto dettata con il d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per determinare le somme dovute e non versate avrebbe dovuto aversi riguardo solamente alle imposte sui redditi e all’imposta sul valore aggiunto, come chiarito nella sentenza n. 38042 del 2019 della Prima Sezione Penale, sviluppando principi già affermati nella sentenza 8689 del 2019 di questa stessa Terza Sezione Penale.
Considerando le compensazioni indebite relative solamente alle imposte sui redditi e alla imposta sul valore aggiunto non sarebbe stata superata la soglia di punibilità né per il 206 né per il 2017, cosicché erroneamente era stata affermata la configurabilità del reato in relazione a tali anni d’imposta.
Considerato in diritto
1. Il ricorso non è fondato.
2. L’art. 10 quater d.lgs. 74/2000, sanziona, al primo comma, con la reclusione da sei mesi a due anni “chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro”, e, al secondo comma, con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni “chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro”.
Tale disposizione, unitamente a quella di cui al 10 ter, è stata introdotta all’interno della disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, dall’art. 35, comma 7, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni, nella l. 4 agosto 2006, n. 248 recante “disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale”.
L’inserimento degli artt. 10 ter e 10 quater nel corpo della disciplina del D.Lgs. 10.3.2000, n. 74 fu dovuto a un mutamento di prospettiva rispetto alle linee portanti della riforma del 2000. Si constatò, infatti, che il settore della riscossione dei tributi (tasse, imposte e contributi) era quello maggiormente in sofferenza a causa della precarietà delle strutture e delle metodiche riscossive, cosicché la crescente rilevanza delle violazioni imperniate sull’omesso versamento dei tributi spinsero il legislatore verso una parziale riforma delle linee guida del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
Per questa ragione, come si legge nella relazione al disegno di legge n. 741 AS (di conversione in legge del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223), furono introdotte, al fine di contrastare con maggiore efficacia i fenomeni di evasione da riscossione, due nuove fattispecie delittuose, di cui una riferita al mancato versamento dell’IVA dovuta a seguito di dichiarazione, in analogia con quanto già contemplato dalla legge n. 311 del 2004 (che aveva già inserito nel corpo del d.lgs. n. 74 del 2000, l’art. 10 bis per le ipotesi di mancato versamento delle ritenute), e l’altra riferita al mancato versamento di somme complessivamente dovute, utilizzando, mediante il sistema della compensazione di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti indebiti o inesistenti.
Ne consegue che il decreto legge n. 223 del 2006 ha definito la tutela dell’interesse erariale alla riscossione dei tributi, prendendo in considerazione, oltre alla condotta di omesso versamento dell’Iva, anche comportamenti di illecito utilizzo del meccanismo di compensazione introdotto dall’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, secondo il quale “i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’Inps e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche”. L’articolo 10 quater sanziona infatti il mancato versamento delle “somme dovute”, attraverso l’utilizzazione in compensazione, ai sensi del predetto articolo 17 del decreto legislativo 241 del 1997, di “crediti non spettanti o inesistenti”.
La formulazione letterale della norma e la ratio dell’incriminazione consentono alla fattispecie delittuosa di atteggiarsi come strumento di tutela concernente tutte le tipologie di tributi erariali e locali cui si riferisce l’articolo 17 del decreto legislativo 241 del 1997.
Pertanto, il delitto di indebita compensazione appresta tutela all’interesse al versamento di determinati tributi, pregiudicato dalla violazione della procedura di compensazione e, quindi, anticipa il momento di rilevanza penale alla mera violazione di detta procedura.
Sul punto la dottrina non ha mancato di rilevare come la logica cui si ispira la fattispecie incriminatrice appaia profondamente diversa da quella caratterizzante l’impianto sistematico del decreto legislativo 74 del 2000, accostandosi, invece, a quella del previgente assetto penai-tributario, nel quale la tutela era diretta in via immediata, alle mere funzioni.
L’articolo 10 quater, originariamente, non contemplava differenze tra indebite compensazioni effettuate mediante crediti non spettanti o attraverso crediti inesistenti, stabilendo che “la disposizione di cui all’art. 10 bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti o inesistenti”. La soglia di punibilità, non espressamente contemplata dalla norma incriminatrice, era stabilita con riferimento a quella prevista dall’art. 10 bis del medesimo d.lgs. 74/2000, secondo cui, nel testo all’epoca vigente, “è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta”. Il nuovo testo dell’art. 10 quater citato è stato, poi, introdotto, dall’art. 9 d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
Il nuovo testo della disposizione, oltre a differenziare, sul piano sanzionatorio, le compensazioni eseguite mediante crediti non spettanti da quelle realizzate attraverso l’utilizzo di crediti inesistenti (punite più severamente), ha introdotto una soglia di rilevanza penale espressa, pari, per entrambe le ipotesi, a cinquantamila euro annui. Questa deve, ad avviso del Collegio, ritenersi riferita all’ammontare dei crediti non spettanti utilizzati per le compensazioni indebite, con la conseguenza che, per accertare il superamento della soglia, occorre procedere alla somma algebrica degli importi dei crediti inesistenti o non spettanti portati in compensazione.
3. Va, infatti, sottolineato che, come evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 35 del 6 dicembre 2017 (depositata il 21 febbraio 2018), il delitto di indebita compensazione presenta un evidente tratto differenziale rispetto agli altri delitti in materia di omesso versamento delle imposte. Mentre nelle ipotesi di cui agli artt. 10 bis e 10 ter del d.lgs. 74/2000 la condotta incriminata risulta priva di connotati di insidiosità, in quanto l’omesso versamento delle somme dovute è prontamente riscontrabile dall’amministrazione finanziaria mediante la consultazione dei documenti fiscalmente rilevanti, lo stesso non può dirsi per l’ipotesi disciplinata dall’art. 10 quater. In tale fattispecie la condotta esprime una componente decettiva o di frode ossia un quid pluris che vale a differenziare il reato di cui all’art. 10 quater dalle fattispecie di mero omesso versamento cosicché il disvalore di azione consiste nella redazione di un «documento ideologicamente falso», mediante l’abusivo utilizzo dell’istituto della compensazione in materia tributaria disciplinato dall’art. 17 del d.lgs. 241/1997. Con questo istituto – che, per sua natura, implica un elevato grado di affidamento nella correttezza del protagonista del versamento – si consente al contribuente di effettuare tramite la compilazione di un apposito modello, denominato “Modello F24”, il versamento unitario «delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali» e, contestualmente, di compensare le somme a debito con quelle a credito relative a tali imposte. L’eventuale indebita compensazione non è, però, immediatamente percepibile dall’amministrazione finanziaria, perché emerge soltanto qualora gli organi accertatori appurino l’insussistenza o la non spettanza del credito portato in compensazione, circostanza che rende la condotta descritta dall’art. 10 quater del d.lgs. 74/2000 dotata di particolare potenzialità decettiva. In essa, dunque, l’elemento caratterizzante, oltre che indice di maggior disvalore della condotta, è costituito dall’abusivo utilizzo della possibilità di compensare le somme dovute per imposte sui redditi o sul valore aggiunto con le somme a credito per le medesime imposte e, ai sensi del citato art. 17 del d.lgs. 241/1997, anche con i contributi dovuti all’INPS e con le altre somme dovute allo Stato, alle regioni e agli enti previdenziali.
Ne consegue che la soglia di rilevanza penale, come modificata dal d.lgs. 158/2015, non va riferita alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto non versate per effetto della indebita compensazione, bensì all’ammontare dei crediti non spettanti o inesistenti indebitamente utilizzati in compensazione: ciò si ricava, ad avviso del Collegio, dalla ratio e dallo scopo della fattispecie, volta a tutelare l’interesse erariale alla riscossione dei tributi sanzionando le condotte di indebito utilizzo di crediti non spettanti o inesistenti, nell’ambito delle quali, quindi, il disvalore della condotta è individuato nella dimensione della compensazione indebita, alla quale è pertanto correlata la soglia di punibilità.
4. Tale ricostruzione non si pone in contrasto con l’orientamento di questa stessa Sezione, secondo cui è configurabile il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, di cui all’art. 10 quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, sia nel caso di compensazione “verticale”, cioè riguardante crediti e debiti afferenti alla medesima imposta, sia in caso di compensazione “orizzontale”, ossia concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa (Sez. 3 , n. 8689 del 30/10/2018, dep. 28/02/2019, Della Torre, Rv. 275015, nella quale, in motivazione, è stato precisato che la struttura “asimmetrica” del reato, in virtù della quale è incriminata l’artificiosa diminuzione dell’entità dell’imposta da versare, qualunque tributo o contributo sia opposto in compensazione, è del tutto compatibile con la ratio del d.lgs. n. 74 del 2000, che è diretto a sanzionare le violazioni, sia in materia di Iva, sia in tema di imposte sui redditi; conf. Sez. 3, n. 5934 del 12/09/2018, dep. 07/02/2019, Giannino, Rv. 275833; Sez. 3, n. 42462 del 11/11/2010, Ragosta, Rv. 248754), in quanto ciò che è stato costantemente affermato, e che il Collegio condivide e ribadisce, è che il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10 quater richiede, sotto il profilo oggettivo, che il mancato versamento dei tributi risulti formalmente “giustificato” da una illegittima compensazione, ex art. 17 d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, operata tra le somme spettanti all’erario e i crediti vantati dal contribuente, in realtà non spettanti o inesistenti (Sez. 3, n. 15236 del 16/01/2015, Chiarolla, Rv. 263051).
E’, pertanto, l’art. 17 d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241 che – espressamente richiamato in tutta la sua estensione, senza distinzione tra tipologie di tributi ivi indicati – costituisce la chiave ermeneutica per definire l’ambito di operatività della fattispecie incriminatrice ex art. 10 quater.
Non appare perciò pertinente il rilievo secondo cui, attesa la collocazione della fattispecie incriminatrice all’interno del decreto legislativo n. 74 del 2000 che disciplina i reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, il reato in questione sarebbe configurabile solo in presenza di una compensazione indebita di imposte dirette e Iva.
Tantomeno occorre che la soglia di punibilità sia necessariamente riferita alle predette imposte, tutelando la norma incriminatrice l’interesse erariale alla riscossione dei tributi mediante indebita compensazione di debiti e crediti indicati nell’art. 17, D.Lgs. 9.7.1997, n. 241.
Il fatto poi che l’art. 13, comma 1, faccia riferimento al debito tributario, tout court, indicando espressamente l’art. 10 quater, sembrerebbe argomento diretto a convalidare e non a indebolire la tesi secondo cui, per la configurazione del delitto in questione, conformemente alla ratio dell’incriminazione, i tributi di riferimento non sono soltanto le imposte dirette o l’Iva, ma tutti i tributi , tra quelli indicati nell’art. 17, D.Lgs. 9.7.1997, n. 241.
Per le suesposte ragioni, non può essere condiviso l’indirizzo ermeneutico (Sez. I, n. 38042 del 10/05/2019, Santoro e altri, non mass.) indicato dal ricorrente. Neppure è ravvisabile la necessità di rimettere la questione alle Sezioni Unite posto che la rimessione facoltativa di una questione di diritto alle Sezioni Unite, prevista dall’art. 618, comma 1, cod. proc. pen., richiede la ravvisabilità di un contrasto sufficientemente consolidato, sì che risulti superata la soglia dell’ordinario svolgimento di una riflessione giurisprudenziale in progressivo affinamento per essere sedimentate posizioni delle quali non è prevedibile l’ulteriore evoluzione (Sez. 4, n. 39766 del 23/05/2019, Cappadona, Rv. 277559 – 02).
5. Poiché, nel caso in esame, le somme indebitamente compensate sono certamente superiori, sia nel 2016 sia nel 2017, alla soglia di rilevanza penale di euro 50.000,00 annui, come risulta anche dai prospetti allegati al ricorso, sussistono gli indizi del reato contestato al ricorrente, le cui doglianze devono, pertanto, sulla scorta delle considerazioni che precedono, essere ritenute infondate.
Ne conseguono il rigetto del ricorso e l’onere delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), d.p.c.m. 8 marzo 2020
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