CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 149 depositata il 10 gennaio 2022
Reati tributari – Evasione – Fatture relative od operazioni inesistenti – Indicazione in fattura di elementi passivi fittizi
Ritenuto in fatto
1.1 sigg.ri R.B. e A.R. ricorrono, con separati atti, per l’annullamento della sentenza del 23/11/2019 della Corte di appello di Ancona che, in parziale riforma della sentenza del 12/07/2018 del GUP del Tribunale di Urbino, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato ed impugnata sia da loro che dal pubblico ministero, ha disposto la confisca diretta o per equivalente nei confronti del B. fino all’importo di euro 78.482,00, confermando nel resto la loro condanna alla pena (principale), rispettivamente, di un anno di reclusione (oltre pene accessorie), irrogata al B. per il reato di cui agli artt. 81, cpv., cod. pen., 2, d.lgs. n. 74 del 2000 (in relazione agli anni di imposta 2010 e 2011), e di otto mesi di reclusione (oltre pene accessorie), irrogata al R. per il reato di cui all’art. 8, d.lgs. n. 74 del 2000, commesso il 05/10/2011.
2. Il ricorso del R..
2.1. Con il primo motivo il R. deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 441, 442, 438, 421, 423 e 516, cod. proc. pen., per violazione del contraddittorio e del diritto di difesa e comunque la nullità della sentenza per travisamento della prova e del fatto. In alcun modo – afferma – il tema della “incoerenza economica delle sponsorizzazioni” aveva costituito, in sede di indagini, argomento di prova della inesistenza delle prestazioni fatturate alla società da lui rappresentata. La contraria affermazione della Corte di appello (secondo cui la documentazione prodotta dal PM in sede di giudizio abbreviato costituiva «rappresentazione documentale di possibili riferimenti comparativi di attinenza al “thema probandum” ed alla valutazione da rendere sulle prove già agli atti») è apodittica e frutto di travisamento: l’unico argomento di prova utilizzato dal GUP ai fini della condanna è stato proprio quello della “incoerenza economica”. Nè la Corte di appello spiega quale fosse il già esistente “thema probandum” cui intendeva riferirsi e quali fossero le prove già agli atti che avvalorassero tale conclusione apodittica ed immotivata. Ciò che non è chiara – afferma – è la base fattuale dell’oscuro ragionamento dei Giudici distrettuali. In realtà, prosegue, gli elementi di prova sui quali si fondava la pretesa erariale compendiata nelle informative di reato confluite nel fascicolo del PM ipotizzavano una sovrafatturazione dimostrata dal prelievo di contanti effettuato all’indomani del pagamento delle fatture per restituire la differenza pagata in più. In un solo caso la polizia giudiziaria aveva ipotizzato l’incoerenza economica delle prestazioni fatturate: nel caso delle fatture emesse dal B., ma si tratta di argomento non convincente e fallace, tant’è vero che la stessa PG aveva chiesto l’autorizzazione al compimento di ulteriori atti di indagine di natura bancaria.
In ogni caso, consentire, nel giudizio abbreviato, l’integrazione probatoria al momento della discussione costituisce una palese violazione del diritto al contraddittorio e del diritto di difesa, sopratutto se si tratta di documentazione prodotta dal PM ma preesistente all’udienza preliminare. Nè tale documentazione colmava una lacuna investigativa strutturale, bensì esplorava itinerari probatori estranei allo stato degli atti.
La documentazione acquisita ha comportato una contestazione, in fatto, nuova, estranea al perimetro tracciato dal capo di imputazione, con conseguente violazione degli artt. 24 e 111, Cost., essendo stato introdotto un argomento di accusa (l’incoerenza economica delle prestazioni) dal quale il ricorrente non è stato posto nelle condizioni di difendersi.
2.2. Con il secondo motivo, che riprende e sviluppa gli argomenti del primo, deduce il travisamento di prova documentale con conseguente travisamento del fatto, nonché la natura apodittica ed illogica della motivazione nella parte in cui la Corte di appello, travisando il contenuto della sentenza di primo grado, afferma che la condanna si basa anche sulla prova del cd. meccanismo restitutorio.
In ogni caso, le ragioni addotte dalla Corte territoriale a fondamento dell’ipotesi accusatoria sono illogiche ed apodittiche perché – afferma il ricorrente – l’effettività delle prestazioni (che la Corte di appello sembra contestare) non è mai stata in discussione, essendone stata contestata la sola sovrafatturazione. Peraltro, il paragone con i prezzi effettuati da altre associazioni sportive viene effettuato senza alcuna indicazione di quali esse fossero (a prescindere dall’esito favorevole di tale paragone come argomentato nel primo motivo).
Inoltre, la motivazione relativa alla ricostruzione del cd. “meccanismo restitutorio” è apodittica e si fonda su indizi travisati e insussistenti, essendo incerta la percentuale di restituzione (e, prima ancora, la restituzione stessa) e basata su una lettura travisata e fuorviante della documentazione bancaria. In ogni caso: a) non costituisce un’anomalia, per un’associazione sportiva dilettantistica, ma è anzi fisiologico, il prelievo di denaro contante evidentemente destinato al pagamento di magazzinieri, atleti, allenatori, e così via; b) la circostanza che ogni prelievo sia stato effettuato dopo l’accredito non prova alcunché, ed è lapalissiano, da parte dei Giudici distrettuali, affermare che si tratti del prelievo di una “quota” della somma accreditata; c) tale comportamento, anche se ripetuto negli anni, non ha alcun valore sintomatico; d) la scelte imprenditoriali della società «BBC P. S.r.l.» non hanno alcuna rilevanza probatoria nei confronti della associazione sportiva del ricorrente ed inoltre la loro analisi è frutto di travisamento e di ragionamento erroneo ed assertivo; e) che il messaggio pubblicitario sarebbe stato veicolato in modo scarno ed approssimativo costituisce dato non vero (siccome contraddetto dalle prove documentali, anche fotografiche, prodotte) e comunque irrilevante perché la Corte di appello non considera che nel caso di specie non è contestata l’inesistenza della prestazione, ma solo la sua sovrafatturazione; f) la Corte di appello non ha mai indicato le associazioni sportive che avrebbero beneficiato dei contratti di sponsorizzazione in relazione al medesimo impianto sportivo che prevedevano compensi diversi a fronte di identiche prestazioni, senza considerare, peraltro, che non tutte militavano negli stessi campionati (di qui la diversità dei compensi).
Nel periodo in considerazione, prosegue il ricorrente, i bonifici nei confronti della propria associazione erano stati effettuati da molteplici società, sicché è apodittico affermare che i prelievi fossero destinati proprio alla restituzione di somme in favore della «BBC P. S.r.l.» quando tali prelievi erano stati effettuati a ridosso proprio di tali bonifici, come documentato dalle memorie depositate in atti. L’esistenza di altri sponsor, dunque, non costituisce un dato neutro, come erroneamente affermato dalla sentenza impugnata.
Non corrisponde al vero ed è frutto di travisamento che: a) i rendiconti prodotti alla GdF il 07/11/2016 si fermavano al 2011 (la stessa GdF dà atto della consegna di prospetti contabili e rendiconti del 2012); b) “prima del 07/11/2016” il ricorrente non aveva consegnato (né menzionato) la denunzia di smarrimento della documentazione contabile, visto che il primo incontro ci fu proprio il 07/11/2016 nel corso del quale aveva consegnato la documentazione che gli era stata richiesta (ed in ogni caso egli non aveva mai consegnato tale denunzia, né “in prima”, né “in seconda battuta”).
Quanto alla valutazione delle prove a discarico volte a dimostrare l’effettività delle spese documentate e a fornire il riscontro contabile delle Uscite (compensi e rimborsi) con le dichiarazioni dei relativi beneficiari, deduce la natura apodittica della relativa motivazione ed osserva: a) la Corte di appello non specifica quali e quanti beneficiari dei compensi e rimborsi siano stati sentiti, né il relativi importi, impossibile, di conseguenza, seguire il suo ragionamento; b) per l’anno 2012 non sono stati effettuati disconoscimenti delle firme apposte sulle quietanze e sugli assegni (irrilevanti nei confronti del ricorrente i disconoscimenti relativi agli anni di imposta precedenti).
Infine, la Corte di appello non spiega quali elementi ulteriori e diversi da quelli utilizzati dal giudice tributario per annullare gli avvisi di accertamento avesse a disposizione il giudice penale per condannare il ricorrente, dovendosi ritenere che l’informativa di reato, successiva ai due avvisi di accertamento, sia stata trasmessa anche all’Agenzia delle Entrate.
2.3. Con il terzo motivo, che riprende e sviluppa sotto altro profilo, gli argomenti di quello che lo precede, deduce la violazione degli artt. 192, comma 2, e 533, comma 1, cod. proc. pen.
Il ricorrente, a tal fine, passa in rassegna gli elementi di prova utilizzati per la sua condanna onde sottolinearne l’inesistenza e, quindi, la non gravità, la non precisione, la non concordanza.
Il riferimento, in particolare, è: a) ai prospetti contabili che si fermerebbero al 2011 (in realtà riguardano anche il 2012); b) alla asserita opacità sui tempi e modi di consegna della documentazione contabile, inizialmente smarrita e poi rinvenuta prima della richiesta di esibizione da parte della GdF (smarrimento e rinvenimento sono documentati da atti con data certa; nessuna opacità, dunque); c) alla circostanza che il ricorrente non aveva alcun motivo per occultare denunce di smarrimento mai richiestegli; d) ai disconoscimenti di firma che non riguardano l’anno di imposta oggetto di contestazione in sede penale; e) alla ritenuta non effettività delle prestazioni pubblicitarie (elemento irrilevante alla luce della contestata sovrafatturazione); f) ai compensi pattuiti con le altre associazioni sportive (che costituiscono, semmai, prova a discarico nei confronti del R.); g) ai prelievi effettuati dopo i bonifici erogati anche da altre società (non solo dalla «BBC P. S.r.l.») e, comunque, alla loro (non) corrispondenza con la quota pari a 5/6 che avrebbe dovuto essere restituita agli sponsor; h) alla natura fisiologica di tali prelievi; i) alla scelta della «BBC P. S.r.l.» di investire in uno stesso anno “somme elevate” che non è sindacabile dal giudice penale e costituisce argomento non spendibile alla luce della presunzione “juris et de jure” di cui all’art. 90, comma 8, legge n. 289 del 2002, e ciò a prescindere dal fatto che la società aveva investito non più del 2,5% del fatturato annuo in spese pubblicitarie, con esponenziale e documentato aumento dei ricavi, e che il ragionamento della Corte di appello ha natura indiziaria sconfessata persino dal giudice tributario; I) alla irrilevanza dell’ambito territoriale nel quale erano state effettuate le prestazioni (effettivamente rese e non sovrafatturate) e della condivisione, da parte di associazioni sportive diverse, degli stessi impianti a fronte di compensi diversi).
Il ricorrente quindi indica le prove a discarico non valutate o illegittimamente valutate dalla Corte di appello. Si tratta, in particolare: a) dei rimborsi spese effettuati nel 2012, corrispondenti ai prelievi di quell’anno, che nessuna delle persone assunte a SIT aveva disconosciuto; b) dei contratti conclusi tra «BBC P. S.r.l.» e «A.S.D. G. F. F.» negli anni precedenti al 2012, tutti per corrispettivi inferiori a quelli concordati con altre ASD.
2.4.Con il quarto motivo deduce l’omessa pronuncia sull’invocata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. e sulla assenza del dolo specifico di evasione.
3. Il ricorso del B..
3.1. Con il primo motivo il B. deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 441, 442, 438, 421 e 423 cod. proc. pen., 24 e 111, Cost. Osserva che, diversamente da quanto affermato dalla Corte di appello, la documentazione prodotta dal PM all’udienza di discussione in primo grado ha introdotto un nuovo argomento di prova della parziale inesistenza delle prestazioni fatturate (l’incoerenza economica delle prestazioni) che non aveva mai costituito tema di indagine e che è stato utilizzato dal GUP ai fini della affermazione della propria responsabilità. E’ stato, in ultima analisi, introdotto un fatto nuovo non oggetto di contestazione integrante una condotta diversa da quella descritta nel capo di imputazione.
3.2. Con il secondo motivo deduce la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione. Lamenta, in particolare, la mancanza assoluta di una motivazione adeguata circa l’irrilevanza, a fini penali, delle sentenze della CTP che avevano annullato gli avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate che avevano negato la deducibilità dei costi di sponsorizzazione, costi che, peraltro, la stessa Agenzia non aveva mai affermato fossero oggettivamente inesistenti. Resta piuttosto indimostrata la valenza persino indiziaria dei movimenti bancari indicati dalla sentenza impugnata a riprova di presunte e mai dimostrate restituzioni di somme di danaro alle associazioni sportive.
3.3. Con il terzo motivo deduce il vizio di omessa pronuncia in ordine alla invocata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. e alla eccepita mancanza di prova del dolo specifico.
3.4. Con il quarto motivo deduce l’inosservanza dell’art. 12-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, affermando che, alla luce dello sgravio fiscale ottenuto con le sentenze della CTP, la somma oggetto di confisca non poteva essere considerata profitto del reato.
3.5. Con il quinto motivo deduce la prescrizione del reato in relazione all’anno di imposta 2010.
Considerato in diritto
1. Il ricorso del R. è inammissibile; è infondato quello del B..
2. Il B. risponde del reato di cui agli artt. 81, cpv., cod. pen., 2, d.lgs. n. 74 del 2000, perché, quale legale rappresentante della società «B.B.C. P. S.r.l.», al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, nelle dichiarazioni annuali relative agli anni di imposta 2009, 2010 e 2011, aveva indicato elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture relative od operazioni in parte inesistenti emesse dalla società «W. S.r.l.» e da altre associazioni sportive dilettantistiche, tra le quali (ma per il solo periodo di imposta 2011) la «ASD G. F. F.»; il R. risponde, specularmente, del reato di cui all’art. 8, d.lgs. n. 74 del 2000, perché, quale legale rappresentante della «ASD G. F. F.», al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, aveva emesso nei confronti della società «B.B.C. P. S.r.l.» la fattura n. 11 del 05/10/2011, dell’importo di E. 24.000,00 (di cui € 4.000,00 a titolo di IVA), relativa ad operazioni in parte inesistenti.
2.1. Il Tribunale aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti del B., limitatamente all’anno di imposta 2009, perché il relativo reato era estinto per prescrizione, lo aveva assolto dal reato a lui ascritto relativamente alle fatture emesse dalla «W. S.r.l.», e lo aveva condannato per le altre annualità in relazione alle fatture emesse dalle associazioni sportive; il R. era stato giudicato colpevole del reato a lui ascritto.
2.2. Il Giudice di primo grado, dopo aver premesso che «lo schema che frequentemente si propone nella prassi giudiziaria è quello della stipula di un contratto, dell’emissione della relativa fattura, del pagamento dell’importo recato dalla medesima con strumenti tracciabili di pagamento, dell’effettiva prestazione di un’attività di sponsorizzazione, del prelievo, da parte dell’emittente della fattura, di somme in contanti non necessariamente corrispondenti ad un’esatta percentuale dell’importo recato dalla fattura e non necessariamente nei giorni immediatamente successivi alla ricezione del pagamento», aveva aggiunto che il caso in esame ricalca esattamente i termini della questione illustrata in generale: «vi sono infatti, come evidenziato dalla difese, i contratti di sponsorizzazione, documentazione inerente un’effettiva attività di sponsorizzazione, pagamenti tracciati e prelievi non corrispondenti ad un’esatta percentuale dell’importo della fattura e non necessariamente nei giorni immediatamente successivi alla ricezione del pagamento». A tali dati, che isolatamente considerati sono stati ritenuti inidonei a fornire prova dell’effettiva esistenza integrale dell’operazione, il Tribunale ne aveva aggiunto altri: «[la] sproporzione tra gli importi complessivamente investiti in sponsorizzazioni ed il reddito IRES nei periodi corrispondenti, segnalando in particolare che per l’anno 2010 pur a fronte di reddito IRES negativo per € 99.055,00 la BBC P. ha investito nel settore pubblicitario una somma maggiore; [la] dimensione estremamente locale e di scarsissima visibilità e notorietà delle controparti del contratto di sponsorizzazione; [il] costo, non solo in proporzione, inferiore di altre forme di pubblicità in ambito sportivo perché, ad esempio, come documentato dal pubblico ministero per l’anno 2015 (quindi anche i epoca successiva ai fatti oggetto di imputazione e con costi con ogni probabilità più alti di quelli degli anni precedenti) per tutto il torneo di calcio di Coppa Italia (17 partite) ben 40 passaggi radiofonici di dieci secondi ciascuno in apertura e chiusura del primo e del secondo tempo avrebbero avuto un costo di € 48.000,00, mentre la BCC P. per il solo semestre luglio-dicembre 2011 avrebbe corrisposto alla A.S.D. G. F. F. C 24.200,00 (€ 20.000,00 imponibile ed € 4.200,00 iva) per l’apposizione di due cartelloni pubblicitari; (l’)incoerenza dei contratti stipulati che, oltre ad avere oggetti generici, recano importi notevolmente differenti da un anno all’altro (cfr. in particolare i contratti stipulati dagli odierni imputati nelle rispettive qualità)». Tali elementi, affermava il primo Giudice, disvelano la natura di operazione finalizzata, anche se parzialmente, all’evasione d’imposta dei contratti di sponsorizzazione: «infatti, pur nel pieno rispetto dell’autonomia negoziale e delle scelte imprenditoriali, i concreti investimenti pubblicitari risultanti dalle fatture si palesano completamente estranei a principi di elementare coerenza economica nella gestione d’impresa perché, in estrema sintesi, clamorosamente sproporzionati rispetto al valore reale del servizio in concreto ottenuto come contropartita. Tanto non può che dare prova – concludeva il primo Giudice – della reale finalità dell’operazione finalizzata ad evadere le imposte dietro il pagamento di somme solo in minima parte destinate al supporto economico dell’attività sportiva dilettantistica o giovanile e con il correlato minimo effetto pubblicitario. Si ritiene, quindi, che sussistano elementi più che sufficienti ai fini dell’affermazione della responsabilità penale di entrambi gli imputati».
2.3. Nel ribadire la condanna, la Corte di appello ha in primo luogo stigmatizzato l’assunto difensivo secondo il quale il giudizio di colpevolezza si fonda esclusivamente su valutazioni di incoerenza economica dei contratti di sponsorizzazione, da ritenersi nell’ottica difensiva contrastati da elementi di segno contrario e dalla mancanza di prova delle restituzioni. In realtà, spiega la Corte territoriale, l’argomento della “incoerenza economica” si salda, nel ragionamento del Tribunale, con quello del cd. “meccanismo restitutorio”: «le considerazioni del giudice – afferma la Corte – sulla sproporzione delle sponsorizzazioni e del loro obbiettivo rispetto agli investimenti impegnati (“incoerenza economica”) si collegano agli esiti della indagine della guardia di finanza, mediante rinvio al loro contenuto che si dà per conosciuto dalle parti, riportati nella informativa e negli allegati, materiale al quale le difese di riferiscono». La sentenza, quindi, dà conto delle somme complessivamente investite in pubblicità dalla «B.B.C. P. S.r.l.» negli anni 2010-2011 (€ 201.000,00 nel 2010; € 91.620,00 nel 2011) e delle associazioni interessate: «la S.S.D. L. B. Pesaro, associazione dilettantistica del gioco dei Bridge in forza di contratto avente ad oggetto prestazioni di pubblicità nell’ambito delle attività svolte, con corrispettivo per ciascuna annualità di 40.000 €, la ASD Polisportiva V. SET VOLLEY A. con contratto avente ad oggetto prestazioni di pubblicità tramite audio e cartellonistica presso l’impianto polivalente durante tutta l’attività del 2010 a livello regionale e provinciale a fronte di corrispettivo di 5000 € Iva esclusa, anche in questo caso replicato per il 2011 per lo stesso importo, la A. S. D Atletico G. C. con contratto per il 2010 avente ad oggetto prestazioni di pubblicità tramite fonia e cartellonistica presso le aree sportive utilizzate dalla associazione nel periodo 1 luglio 2010 30 giugno 2011 a fronte di corrispettivo di 50.000 € Iva esclusa, la ASD Scuola Calcio C. con contratto per il 2010 avente ad oggetto prestazioni di pubblicità tramite audio e cartellonistica posizionata presso gli impianti sportivi utilizzati dall’associazione periodo 1 luglio 2009 -30 giugno 2010 per 22.500 € Iva esclusa per il 2011 stesso oggetto per il periodo 1 luglio 2010 -30 giugno 2011 € 22.500 Iva esclusa, la ASD G. F. F. per il 2010 con contratto avente ad oggetto prestazioni di pubblicità tramite cartellonistica posizionata presso gli impianti sportivi utilizzati dall’associazione durante l’attività per il periodo 1 luglio 31/12/2011 corrispettivo 20.000 € Iva esclusa, per il 2011 contratto tramite cartellonistica posizionata presso gli impianti sportivi dal 1 luglio al 31/12/2011 corrispettivo di 20.000 € iva esclusa».
2.4.La sentenza, quindi, indica i convergenti elementi di prova dai quali desumere la sovrafatturazione delle prestazioni pattuite: a) in primo luogo, la documentazione sommaria e scarna delle prestazioni ricevute (limitata, per la società Bridge, a locandine di manifestazioni sportive alle quali la società sportiva aveva partecipato, prive del logo della BBC P. Srl, alle foto di due manuali di Bridge recanti il logo della BBC P. Srl, estranei all’oggetto del contratto di sponsorizzazione; per la ASD Polisportiva V. Set Volley A. la documentazione esibita era risultata ugualmente vaga, limitata a fotografie di atleti in divisa non riconducibili alla società in questione ed a fotografie degli impianti sportivi non contestualizzate nel tempo; per le società sportive dilettantistiche di calcio ASD Atletico G.C., ASD Scuola Calcio C. ed ASD G. F. F. la documentazione prodotta era limitata a fotografie di atleti a bordo campo, striscione o cartelloni pubblicitario con il logo della società non contestualizzate, alcune recanti l’indicazione del campionato 2008-2009, le altre senza riferimenti temporali, senza prova della pubblicità fonica; per lo stesso anno – annota la Corte di appello – per due di queste società era stato pattuito un compenso sproporzionatamente differente, in un caso 50.000 euro, in un altro di 20.000 euro a parità di prestazioni per cartellonistica svolte nei medesimi impianti sportivi); b) in secondo luogo, il meccanismo restitutorio, che si ripeteva invariabilmente ogni anno secondo uno schema collaudato ricostruito per ciascuna società: «in tempi di poco successivi ai bonifici di pagamento [in favore della società Bridge] delle singole fatture per le sponsorizzazioni, (…) di 40.000 € ciascuna per ogni anno, si registrano prelievi dal conto sul quale il denaro è confluito di 500 € ciascuno nello stesso giorno, e la emissione di un assegno bancario avente beneficiario il rappresentante legale dell’associazione il quale lo stesso giorno provvedeva a negoziarlo in contanti allo stesso istituto di credito, schema che si riproduce pressoché simile con variabili di importo per tutti bonifici delle fatture in questione; la ricostruzione di prelievi in rapporto ai singoli bonifici evidenzia valori correlati alla restituzione parziale dell’importo ed al trattenimento dell’importo Iva e di una percentuale, in questo caso di 1/4 (per le fatture esaminate con riguardo a tutte le associazioni secondo la medesima tipologia di ricostruzione la somma trattenuta oscilla 1/4 ed 1/6) (…) [quanto alla ASD Polisportiva A.], si evidenzia il prelievo in contanti successivo di pochi giorni il bonifico, per la fattura numero 2 del 2011 di 6000 € corrispondente alla somma prossima al trattenimento di 1/4 oltre Iva, in assenza peraltro di compensi e/o rimborsi spese che risultassero erogati agli atleti (…) [quanto alla Atletico G. C., la Corte territoriale dà conto] della emissione, in date di poco successive [ali bonifici, di assegni negoziati per cassa dal rappresentante legale (meccanismo equivalente al prelievo di contante per la contestualità della monetizzazione); per la G. F. F. (…) ugualmente l’emissione di assegni bancari pochi giorni dopo il bonifico, negoziati dal legale rappresentante R. A. ed ugualmente sette giorni dopo altro bonifico, per importi corrispondenti a quota parte della somma bonificata e al trattenimento della quota per Iva e di 1/6 dell’importo±] analoga sequenza riguarda la fattura 11 del 5 ottobre 2011 alla quale seguono i bonifici del 3 febbraio 2012 e del 27 giugno 2012 il primo di 4200 € il secondo di 20.000 € e la emissione di assegni bancari del Presidente negoziati per cassa per importi che, nel caso quelli prossimi al secondo bonifico di euro 20.000,00 ripropongono la suddivisione in restituzione e trattenimento di quota dì 1/6 e quota dell’Iva rispetto all’importo complessivo bonificato. Per la Scuola Calcio C. (pagine 196 -222) ugualmente si ripropone lo schema bonifico ed entro pochi giorni assegno negoziato per cassa corrispondente all’importo di 1/5 al trattenimento di 1/5 dell’Iva al 50% e così per le successive erogazioni con bonifico». In una visione di sintesi, la Corte di appello annota che al meccanismo restitutorio (così come ricostruito e attuato nei due anni di imposta e che comportava prelievi in contanti di notevole importo) si associavano le scarne prestazioni pubblicitarie che rendevano economicamente incoerenti i cospicui investimenti effettuati dalla società del B.: «Le censure difensive alla prova d’accusa – chiosa sul punto la Corte di appello – nulla obiettano, ad eccezione dell’operazione interessata dal capo 8, alla ricostruzione delle movimentazioni finanziarie ed all’esposizione degli indicatori di sovrafatturazione con retrocessione parziale ampiamente trattati negli esiti di indagine della Guardia di Finanza confluiti nel fascicolo in base al quale è stata avanzata la richiesta di rito abbreviato»
2.5.Quanto alla posizione del R. (capo B), la Corte di appello disattende le deduzioni difensive in base ai seguenti argomenti: a) l’irrilevanza della esistenza di altri sponsor dell’associazione sportiva, considerato un dato neutro; b) la non corrispondenza delle spese in contanti sostenute nel 2012, così come risultanti dalle quietanze degli atleti, con la somma del denaro incassato in quell’anno (i rendiconti prodotti alla GdF, afferma la Corte di appello, si fermano al 2011); c) i “margini di opacità” dei tempi e modi di ostensione della documentazione contabile alla GdF posto che il R. «risulta aver proposto nel 2012 denuncia di smarrimento di tutta la documentazione dell’associazione compresi i rendiconti ed i prospetti dei rimborsi spese collaboratori e atleti, l’ha depositata in seconda battuta alla Guardia di Finanza il 7 novembre 2016 senza dichiarare in prima audizione la circostanza della denuncia e senza mai comunicare alle autorità di polizia l’avvenuto rinvenimento (dichiarato in assemblea ordinaria per quanto riguarda le schede di rimborso spese atleti e dirigenti nell’assemblea del 4 agosto 2016)»; d) i beneficiari dei compensi del 2010, 2011 e 2012, sono numerosi e i pochissimi escussi in relazione all’anno 2012 hanno confermato la ricezione degli importi annotati, mentre per le altre annualità «le audizioni hanno riscontrato il disconoscimento in taluni casi dell’entità degli importi che figuravano come rimborsi spese e la paternità della firma apposta su alcuni assegni di cui apparentemente risultavano beneficiari i soggetti, complessivamente non emergendo un quadro di regolarità documentale in grado di sovrapporre alla ricostruzione delle operazioni anomale la effettività di spesa per importi pari a quelli dei bonifici erogati in virtù dei contratti di sponsorizzazione».
2.6.La Corte di appello ha infine ritenuto l’irrilevanza, a fini penali, dell’annullamento degli avvisi di accertamento operato dal giudice tributario. R.
3.Tanto premesso, il ricorso del R. è inammissibile perché proposto personalmente.
3.1.L’art. 1, comma 63, legge 23 giugno 2017, n. 103, ha privato l’imputato della facoltà di proporre personalmente ricorso per cassazione, avendo eliminato dal primo comma dell’art. 613 cod. proc. pen. l’inciso iniziale: «Salvo che la parte non vi provveda personalmente». Sono irrilevanti sia l’autenticazione, ad opera di un legale, della sottoscrizione del ricorso, sia la sottoscrizione del difensore “per accettazione” del mandato difensivo e della delega al deposito dell’atto, la quale non attribuisce al difensore la titolarità dell’atto stesso (Sez. 3, n. 11126 del 25/01/2021, Rv. 281475 – 01; Sez. 6, n. 54681 del 03/12/2018, Rv. 274636 – 01).
4. Il ricorso del B. è infondato.
4.1.Entrambi i ricorrenti avevano chiesto ed ottenuto l’ammissione al giudizio abbreviato condizionato alla produzione di documenti e all’escussione di un testimone; il pubblico ministero non aveva chiesto la prova contraria. Dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che all’udienza del 18/01/2018 si era proceduto all’escussione del testimone e che a quella del 12/04/2018, fissata per la discussione, il pubblico ministero aveva prodotto documentazione (la scheda tecnica di un furgone “Fiat Scudo”, la scheda tecnica pallet di tipo “EPAL/ EUR”, Modelli Unico della BBC P., il listino dei prezzi “Rai Pubblicità – Calcio A.”) che i difensori avevano contestato in relazione esclusivamente al primo e all’ultimo dei documenti (la scheda tecnica del furgone “Fiat Scudo” e il listino dei prezzi “Rai Pubblicità – Calcio A.”). Il Giudice aveva proceduto alla acquisizione della documentazione, ex art. 441, comma 5, cod. proc. pen., «per l’ipotesi che ai suddetti documenti si attribuisca valore di prova documentale». Dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che della documentazione prodotta dal PM il Giudice ha fatto concreto uso solo di quella relativa ai prezzi praticati dalla RAI per la pubblicità collegata agli incontri di calcio di Coppa Italia per l’anno 2015 (supra, § 2.2).
4.2.La documentazione utilizzata dal primo Giudice riguardava la sola posizione del B., secondo il quale in tal modo sono stati introdotti elementi nuovi rispetto all’ipotesi accusatoria, integranti una condotta in fatto diversa da quella oggetto di imputazione, e non il R..
4.3.In ogni caso, secondo il consolidato insegnamento della Corte di cassazione, il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) sussiste sia nell’ipotesi di inesistenza oggettiva dell’operazione (ossia quando la stessa non sia mai stata posta in essere nella realtà), sia nell’ipotesi di inesistenza relativa (ossia quando l’operazione vi è stata, ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura) sia, infine, nell’ipotesi di sovrafatturazione “qualitativa” (ossia quando la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti), in quanto oggetto della repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale (Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, Rv. 278378 – 01; Sez. 3., n. 6935 del 23/11/2017, Rv. 272814 – 01; Sez. 3, n. 28352 del 21/05/2013, Rv. 256675 – 01; Sez. 3, n. 1996 del 25/10/2007, Rv. 238547, che ne ha tratto spunto per affermare che il reato non è configurabile nell’ipotesi di “non congruità” dell’operazione realmente effettuata e pagata).
4.4.Nel caso di specie, il Tribunale aveva chiaramente delineato il perimetro dell’accusa fissandolo nell’ambito dell’utilizzo (ed emissione) di fatture recanti corrispettivi superiori a quelli effettivamente pattuiti; la descrizione del fenomeno restitutorio (o della retrocessione) è espressamente effettuata a tal fine ed ha impegnato tanto il Giudice di primo grado che la Corte di appello nella indicazione degli elementi di prova a sostegno di tale ipotesi. Elementi effettivamente esistenti (contratti di sponsorizzazione, emissione di fatture, successivi prelievi di contante da parte del B.) la cui insufficienza è stata integrata da un ulteriore argomento di prova: la incoerenza economica della prestazione effettivamente eseguita rispetto al prezzo pattuito e pagato. Ciò che insomma i Giudici di merito hanno inteso affermare è che il prezzo effettivamente pagato corrisponde, al netto delle restituzioni, al valore della prestazione effettivamente eseguita, a riprova della dissociazione tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale.
4.5.In questo senso, il fatto, così come descritto dalla rubrica e ritenuto dai giudici di merito, è sempre stato uguale a se stesso, senza alcuna deviazione dal solco tracciato dal pubblico ministero; né può avere rilevanza, in sede penale, la (eventualmente diversa) “causa petendi” della pretesa erariale azionata mediante l’avviso di accertamento: dell’azione penale è titolare il PM ., non l’Agenzia delle Entrate.
4.6. Costituisce insegnamento ormai consolidato della Corte di legittimità quello secondo in quale, in tema di giudizio abbreviato, l’integrazione probatoria disposta dal giudice ai sensi dell’art. 441, comma quinto, cod. proc. pen., può riguardare anche la ricostruzione storica del fatto e la sua attribuibilità all’imputato, atteso che gli unici limiti a cui è soggetto l’esercizio del relativo potere sono costituiti dalla necessità ai fini della decisione degli elementi di prova di cui viene ordinata l’assunzione e dal divieto di esplorare itinerari probatori estranei allo stato degli atti formato dalle parti (Sez. 6, n. 17360 del 13/04/2021, Rv. 280968 – 01; Sez. 4, n. 34702 del 20/05/2015, Rv. 264407 – 01; Sez. 5, n. 10096 del 09/01/2015, Rv. 263456 – 01; Sez. 5, n. 49568 del 18/06/2014, Rv. 261338 – 01; Sez. 3. n. 20237 del 07/02/2014, Rv. 259644 – 01).
4.7. Va in ogni caso escluso, per le ragioni sopra indicate, che il giudice penale, nel valutare la fondatezza dell’accusa, debba confrontarsi con le ragioni dell’annullamento dell’avviso di accertamento operato dal giudice tributario. Va piuttosto rilevato che l’annullamento delle cartelle è stato motivato con l’applicazione della presunzione assoluta di deducibilità delle spese di sponsorizzazione sostenute a favore di associazioni sportive dilettantistiche introdotta dall’art. 90, comma 8, legge n. 292 del 2002. Secondo il costante insegnamento delle sezioni civili di questa Corte di legittimità, «le spese di sponsorizzazione di cui all’art. 90, comma 8, della legge n. 289 del 2002, sono assistite da una “presunzione legale assoluta” circa la loro natura pubblicitaria, e non di rappresentanza a condizione che: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale, senza che rilevino, pertanto, requisiti ulteriori» (Cass. civ. Sez. VI – 5 Ord., 09/07/2018, n. 17973; Cass. civ. Sez. VI – 5 Ord., 19/06/2018, n. 16113; Cass. civ. Sez. VI – 5 Ord., 18/09/2017, n. 21578; Cass. civ. Sez. VI – 5 Ord., 07/06/2017, n. 14232). La presunzione, dunque, riguarda la natura pubblicitaria della spesa e la sua inerenza, non di certo la sua corrispondenza a vero.
4.8. Il processo penale è impermeabile alle presunzioni tributarie avvalendosi di mezzi di accertamento del fatto e di criteri di giudizio ben più penetranti e del tutto autonomi (cfr., al riguardo, Sez. 5, n. 41796 del 17/06/2016, Rv. 268041 – 01). Le sentenze pronunciate in procedimenti civili possono essere utilizzate come prova limitatamente alla esistenza della decisione e alle vicende processuali in esse rappresentate, ma non ai fini della valutazione delle prove e della ricostruzione dei fatti oggetto di accertamento in quei procedimenti (Sez. 5, n. 15 del 21/11/2019, dep. 2020, Rv. 278389 – 03; Sez. 5, n. 41796, cit.). S’è già detto, del resto, della irrilevanza della causa petendi della pretesa tributaria rispetto all’oggetto dell’azione penale descritto nel capo di imputazione.
4.9.Se è vero che i giudici di merito non danno conto della effettiva restituzione delle somme alle associazioni e società che avevano emesso le fatture è altrettanto vero che il ricorrente si confronta con gli ulteriori elementi indiziari indicati dai giudici distrettuali per dimostrare la non piena corrispondenza a vero delle prestazioni fatturate.
4.10. Il terzo motivo è infondato.
4.11.E’ vero che la Corte di appello non motiva sulla richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. e tuttavia osta alla sua applicazione l’entità dell’imposta evasa (4.000,00 euro), niente affatto esigua.
4.12. La questione relativa alla sussistenza del dolo specifico del reato era stata devoluta con motivi aggiunti e, tuttavia, era del tutto estranea al tema introdotto con i motivi principali con i quali erano state dedotte l’illegittimità della acquisizione della documentazione prodotta dal PM in sede di discussione e l’insussistenza del reato sotto il duplice profilo della effettività delle prestazioni pattuite e pagate e della mancanza di prova della restituzione parziale delle somme erogate a titolo di corrispettivo.
4.13. I “motivi nuovi” a sostegno dell’impugnazione, previsti tanto nella disposizione di ordine generale contenuta nell’art. 585, quarto comma, cod. proc. pen., quanto nelle norme concernenti il ricorso per cassazione in materia cautelare (art. 311, quarto comma, cod. proc. pen.) ed il procedimento in camera di consiglio nel giudizio di legittimità (art. 611, primo comma, cod. proc. pen.), devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame ai sensi dell’art. 581, lett. a), cod. proc. pen. (Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, Bono, Rv. 210259 – 01; Sez. 6, n. 5447 del 06/10/2020, dep. 2021, Rv. 280783 – 01; Sez. 6, n. 36206 del 30/09/2020, Rv. 280294 – 01, che ha precisato che sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali si intenda allargare l’ambito del “petitum”, introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l’impugnazione; Sez. 2, n. 17693 del 17/01/2018, Rv. 272821 – 01, secondo cui costituisce motivo nuovo non ammissibile la doglianza riguardante l’elemento oggettivo del reato se, con il ricorso originario, ne sia stata contestata la sola sussistenza dell’elemento soggettivo; Sez. 2, n. 1417 dell’11/10/2012, dep. 2013, Rv. 254301 – 01).
4.14.Ne consegue che la Corte di appello non era tenuta a motivare sulla questione relativa alla sussistenza del dolo specifico, siccome riguardante un punto della sentenza di primo grado non oggetto di motivo principale.
4.15. Il quarto motivo è manifestamente infondato alla luce delle considerazioni già esposte in sede di esame dei primi due motivi circa l’autonomia del giudizio penale rispetto a quello tributario, posto che il dedotto “sgravio” costituisce conseguenza dell’annullamento degli avvisi si accertamento deliberato in sede giurisdizionale.
4.16.L’ultimo motivo è manifestamente infondato.
4.17. Ai sensi dell’art. 17, comma 1-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, aggiunto dall’art. 2, comma 36-vicies semel lett. 1), d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, i termini di prescrizione per i delitti previsti dagli artt. da 2 a 10 del medesimo decreto sono stati elevati di un terzo per i fatti successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione (17/09/2011). Poiché il reato di cui all’art. 8, d.lgs. n. 74, cit., era all’epoca punito con pena edittale massima di sei anni di reclusione, tenuto conto dell’aumento di un terzo (che eleva da sei a otto anni il termine di cui all’art. 157, comma primo, cod. pen) e dell’ulteriore aumento di un quarto per effetto degli eventi interruttori di cui all’art. 161 cod. pen. (pari a due anni), la prescrizione matura il 05/10/2021, posto che il reato relativo all’anno di imposta 2010 è stato consumato il 05/10/2011.
5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso del R. consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso proposto da A. R. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Rigetta ricorso proposto da R. B. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.