Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 15051 depositata il 5 aprile 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – CONTRAVVENZIONE IN MATERIA DI SICUREZZA – INOSSERVANZA DELLA NORMATIVA SULLA SICUREZZA SUL LAVORO
Fatto
1. – Il Tribunale ha condannato l’imputato alla pena dell’ammenda, per una contravvenzione alla normativa sulla sicurezza sul lavoro.
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo, con unico motivo di doglianza, di non avere avuto notizia del verbale di prescrizioni di cui all’art. 20 d.lgs. 758/1994, essendo stata la relativa comunicazione ricevuta da un socio, che non gli aveva comunicato nulla in proposito. Mancherebbe, dunque, una condizione di procedibilità dell’azione penale, non potendo essere attribuita alcuna valenza in senso contrario al fatto che le prescrizioni imposte siano state effettivamente adempiute. Né potrebbe assumere rilevanza la ricezione della raccomandata contenente l’atto di ammissione al pagamento della sanzione pecuniaria, perché consegnata a soggetto sconosciuto.
Diritto
3. – Il ricorso è inammissibile, perché basato su una doglianza formulata in modo non specifico. La difesa non contesta, infatti, che il verbale contenente le prescrizioni da adempiere sia stato regolarmente notificato all’imputato, limitandosi ad affermare che lo stesso sarebbe stato ricevuto da un socio. Afferma, poi, che la raccomandata contenente l’atto di ammissione al pagamento della sanzione pecuniaria sarebbe stata consegnata ad un soggetto estraneo alla ditta, ma non precisa le ragioni di tale ridotta estraneità. Si tratta, in ogni caso, di una prospettazione di merito già valutata dal giudice di primo grado , che la ha correttamente ritenuta non verosimile, con valutazione logica e coerente e, dunque, non sindacabile in questa sede.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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