CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 153 depositata il 10 gennaio 2022
Reati tributari – Omesso versamento di ritenute certificate – Prescrizione del reato
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 9 dicembre 2020, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del 16 ottobre 2019, con la quale il Tribunale di Monza, all’esito di rito abbreviato, aveva condannato M.B.S. alla pena di mesi 6 di reclusione, in quanto ritenuta colpevole del reato di cui all’art. 10 bis del d.lgs. n. 74 del 2000, a lei contestato perché, quale legale rappresentante della società “Assistenza C. coop. Onlus”, ometteva di versare le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti di imposta per l’anno d’imposta 2011, per l’ammontare di 159.315 euro; in Desio il 20 settembre 2012.
Veniva altresì confermata la statuizione con cui il Tribunale aveva ordinato la confisca diretta del denaro nella disponibilità dell’”Assistenza C. coop. Onlus” fino alla concorrenza del profitto del reato, pari a 159.315 euro, nonché, in caso di impossibilità totale o parziale, la confisca per equivalente di denaro o altri beni nella disponibilità dell’imputata, sino alla concorrenza di tale somma.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello lombarda, la S., tramite i suoi difensori, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Con il primo motivo, la difesa contesta la mancata applicazione della disciplina della continuazione tra i fatti di causa e quelli oggetto della sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Monza il 20 aprile 2017, ponendosi la valutazione operata al riguardo della Corte di appello in insanabile contraddizione con quanto argomentato a proposito del diniego della richiesta di prevalenza delle attenuanti generiche, essendosi sul punto affermato a carico dell’imputata vi erano due sentenze irrevocabili per reati della medesima natura di quello oggetto del presente procedimento, non essendo stato spiegato il motivo per cui i reati della stessa indole incidono negativamente sul bilanciamento delle circostanze, ma non sono utili ai fini del riconoscimento della continuazione.
Con il secondo motivo, viene censurato il difetto di motivazione della sentenza impugnata rispetto al primo motivo di appello, nella parte in cui era stato eccepito che l’imputata non era stata messa in grado di comprendere che la commercialista infedele non aveva provveduto a sanare la posizione debitoria.
In particolare, con l’atto di appello, erano state invocate la scriminante di dolo della ricorrente, per essere la stessa stata ingannata dalla commercialista circa l’assolvimento della obbligazione tributaria, ma la Corte di appello si è soffermata solo sui primi due aspetti, tralasciando di trattare il terzo, e ciò nonostante che la condotta truffaldina della commercialista, dottoressa R., sia stata accertata con sentenza emessa dal Tribunale di Como nel 2016.
Con il terzo motivo, infine, la difesa si duole della mancata declaratoria d’ufficio di estinzione del reato per prescrizione, osservando che la predetta causa estintiva del reato era maturata il 20 marzo 2020, dunque prima della decisione della Corte di appello, intervenuta il 9 dicembre 2020, non potendosi tenere conto della recidiva, peraltro nel caso di specie erroneamente contestata, poiché la condotta per cui si è proceduto è stata posta in essere anni prima della emissione delle sentenze indicate nel certificato del casellario giudiziale.
In ogni caso, quand’anche, come nella vicenda in esame, si opti per il giudizio di equivalenza tra la recidiva e le attenuanti generiche, deve escludersi l’incidenza della recidiva ai fini del computo della prescrizione, al pari del caso in cui non sia applicata la recidiva o la stessa sia considerata subvalente.
3. Con memoria del 28 settembre 2021, gli avvocati A. e G.P., difensori dell’imputata, hanno insistito nell’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
In accoglimento del terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, essendo il reato per cui si procede estinto per prescrizione, già al momento dell’emissione della decisione della Corte di appello.
1. Prima di soffermarsi sulla questione dell’estinzione del reato, deve tuttavia precisarsi, in via preliminare e in risposta al secondo motivo di ricorso, che le censure in punto di responsabilità non sono meritevoli di accoglimento.
Ed invero le due conformi sentenze di merito hanno compiutamente ricostruito i fatti di causa, escludendo ragionevolmente che l’omesso versamento delle ritenute fiscali fosse inesigibile o giustificato da fattori esterni: in particolare, quanto al presunto condizionamento della condotta truffaldina della commercialista A.R., la Corte territoriale, in modo pertinente, ha osservato che le truffe per le quali la R. è stata condannata in via definitiva dal Tribunale di Como sono collocate tra il 20 luglio e l’ottobre 2011, periodo in cui la S. avrebbe già dovuto accantonare gli importi relativi all’anno di imposta 2011, a ciò aggiungendosi il rilievo secondo cui, quando ha conosciuto la R., la S. stava già pagando le rate di precedenti debiti contratti con l’Erario.
Peraltro, il fatto che l’imputata, indotta in errore dalla commercialista che le aveva prospettato, come si evince della pronuncia del Tribunale lariano, di farle conseguire risparmi fiscali e finanziamenti, le abbia consegnato somme di rilevante entità, vale a smentire anche l’asserita assenza di liquidità dell’impresa, essendo inoltre pacifico che l’imputata non aveva effettuato versamenti all’Agenzia delle Entrate anche prima di essere stata truffata dalla R.
Il giudizio di colpevolezza della ricorrente, in quanto sorretto da considerazioni non illogiche e anzi coerenti con le fonti dimostrative disponibili, resiste dunque alle censure difensive, che prospettano sostanzialmente una lettura alternativa del materiale probatorio, operazione questa non consentita in sede di legittimità.
2. Tanto premesso, deve tuttavia rilevarsi che, al momento della deliberazione della sentenza impugnata, il reato de quo era prescritto.
Ed invero la data della condotta illecita è stata indicata nell’imputazione nel 20 settembre 2012, per cui, non applicandosi al reato ex art. 10 bis del d.lgs. n. 74 del 2000 il regime speciale di cui all’art. 17 comma 1 bis del medesimo decreto, la prescrizione massima maturata nel termine di 7 anni e 6 mesi.
Dunque, la prescrizione massima risulta intervenuta il 20 marzo 2020, termine cui vanno aggiunti i 90 giorni per la sospensione connessa alla disciplina emergenziale di cui all’art. 83 del decreto legge n. 18 del 2020, con la conseguenza che il termine finale risulta maturato il 23 agosto 2020, ovvero prima del 9 dicembre 2020, data in cui è stata emessa la sentenza impugnata.
Né può tenersi conto della recidiva specifica e infraquinquiennale ai fini del computo della prescrizione, posto che, come emerge dalla lettura del certificato penale della S., la recidiva è stata erroneamente contestata; le due sentenze di patteggiamento annoverate nel certificato del casellario giudiziale della ricorrente, infatti, risalgono rispettivamente al 2014 e al 2017, ovvero a epoca successiva all’anno (2012) in cui è stata realizzata la condotta illecita, essendo pacifico che la contestazione della recidiva presuppone che, prima del reato o per cui si procede, l’imputato abbia riportato una condanna definitiva per un delitto.
È dunque evidente che, ai fini dell’operatività degli effetti della recidiva, non può tenersi conto delle eventuali condanne intervenute (e passate in giudicato) in epoca successiva al compimento del reato oggetto di giudizio in corso.
3. Ne consegue che la sentenza deve essere annullata senza rinvio, per essere il reato contestato estinto per prescrizione, risultando assorbente l’accoglimento del terzo motivo rispetto alle censure articolate nel primo motivo.
4. Deve solo precisarsi, quanto alla statuizione sulla confisca, che la stessa deve essere confermata quanto alla disposizione sulla sola confisca diretta.
Sul punto deve infatti richiamarsi l’affermazione di questa Corte (Sez. 3, n. 20793 del 18/03/2021, Rv. 281342), secondo cui l’art. 578 bis cod. proc. pen., che ha disciplinato la possibilità di mantenere la confisca con la sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato, nel caso in cui sia accertata la responsabilità dell’imputato, è applicabile anche alla confisca tributaria ex art. 12 bis del d.lgs. n. 74 del 2000, ma, ove questa sia stata disposta per equivalente, non può essere mantenuta in relazione a fatti anteriori all’entrata in vigore del citato art. 578 bis cod. proc. pen., atteso il suo carattere affittivo, mentre invece la conferma della confisca diretta del profitto del reato, che si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito, trova il suo fondamento nell’art. 240 comma 2 n. 1 cod. pen. (così Sez. Un., n. 31617 del 26/06/2015, Rv. 264435, ricorrente Lucci).
Dunque, la confisca diretta, a differenza della confisca per equivalente, disposta in via subordinata rispetto alla posizione della ricorrente, non può ritenersi caducata dall’odierna a declaratoria del reato per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.