CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 15314 depositata il 23 aprile 2021

Reati tributari – Soggetto residente in Svizzera – Accertamento di effettiva residenza in Italia – Conseguenze – Omessa presentazione dichiarazione dei redditi – Evasione oltre la soglia di punibilità – Configurazione del reato

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 16 gennaio 2020 la Corte d’appello di Milano ha respinto l’impugnazione proposta da G.C. nei confronti della sentenza del 10 dicembre 2018 del Tribunale di Varese, con la quale lo stesso C. era stato condannato alla pena di un anno e due mesi di reclusione in relazione a due contestazioni del reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 (per avere, al fine di evadere le imposte sui redditi, omesso di presentare, pur essendovi obbligato, le dichiarazioni annuali per gli anni 2013 e 2014, evadendo l’imposta sul reddito delle persone fisiche per un ammontare superiore a euro 50.000,00, perché pari a euro 175.802,00 per l’anno 2013 e a euro 181.675,00 per l’anno 2014).

2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

2.1. Con il primo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’errata applicazione dell’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000.

Ha eccepito, anzitutto, l’errata applicazione di tale disposizione con riferimento alla affermazione della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, in quanto, essendo stato residente in Svizzera negli anni 2013 e 2014, il proprio datore di lavoro in Italia aveva operato delle ritenute sulle retribuzioni corrispostegli nella misura del 30%, mediante applicazione dell’aliquota forfettaria, proprio in considerazione della residenza all’estero, in tal modo assolvendo correttamente l’obbligo tributario nei confronti della Repubblica Italiana. Ha contestato la rilevanza al riguardo del controllo eseguito dalla polizia giudiziaria nel 2016 in ordine alla propria effettiva residenza, in quanto tale controllo era avvenuto a oltre due anni di distanza rispetto all’epoca di realizzazione delle condotte contestate (cioè agli anni di imposta 2013 e 2014) e nel periodo delle vacanze pasquali, quando si era recato nella abitazione dei nonni paterni a Varese in modo del tutto occasionale e non probante ai fini della dimostrazione della residenza effettiva in Italia nei periodi di imposta incriminati, in relazione ai quali non erano stati compiuti accertamenti, neppure al fine di verificare se in tali anni egli avesse lavorato anche in Svizzera o se in quel paese avesse il suo centro di interessi prevalente. L’accertamento della residenza in Italia nei periodi d’imposta contestati era, dunque, stato compiuto sulla base di elementi presuntivi, non assimilabili a indizi gravi, precisi e concordanti, e omettendo di adeguatamente considerare i plurimi elementi sulla base dei quali era stata dimostrata l’effettività della residenza fiscale in Svizzera sin dal 2007, tra cui il certificato di domicilio rilasciato dalla Città di Lugano; l’attestazione dell’iscrizione all’AIRE dal 1/1/2007 e la titolarità di un permesso di soggiorno svizzero di tipo C (che lo rendeva assimilabile a un cittadino svizzero, fatta eccezione per l’elettorato attivo e passivo e per l’obbligo militare); la dichiarazione del locale ufficio contribuzioni del regolare pagamento delle imposte comunali dovuta al Comune di Genestresio; la dichiarazione dell’ufficio circondariale di tassazione di Mendrisio dalla quale emergeva che aveva regolarmente e integralmente versato le imposte dovute negli anni 2013/2014 quale residente in territorio elvetico e che non aveva debiti di natura tributaria in Svizzera; la pendenza della procedura amministrativa di naturalizzazione per l’ottenimento della cittadinanza svizzera; la stipula di polizze assicurative per gli anni 2013 e 2014, obbligatorie per i residenti in Svizzera, e la mancata iscrizione all’anagrafe degli assistiti dal Servizio sanitario nazionale in Italia dal 2003; il matrimonio contratto in Svizzera nel 2008 con una cittadina residente svizzera, che in quel paese aveva la propria attività lavorativa di giornalista, presso il giornale l’Illustrazione Ticinese.

Ha inoltre contestato la rilevanza degli elementi presuntivi considerati dai giudici di merito, tra cui l’iscrizione a un circolo sportivo in Italia, non essendone stata dimostrata la frequentazione, e la frequentazione da parte dei propri figli di scuole in territorio italiano, dovuta a una libera scelta della famiglia, tenendo conto del fatto che tali scuole si trovavano a poco più di 20 chilometri di distanza dalla residenza familiare.

Ha contestato anche la rilevanza dell’avvenuto pagamento dei debiti d’imposta relativi agli anni 2013 e 2014, trattandosi di circostanza priva di incidenza nel processo penale, stante l’autonomia tra questo, il procedimento amministrativo di accertamento e il processo tributario, e l’operatività delle presunzioni tributarie solamente nell’ambito dell’accertamento amministrativo.

Ha criticato l’affermazione della individuabilità in territorio italiano del proprio domicilio, derivante da una errata interpretazione dell’art. 43 cod. civ. (secondo cui la residenza è il luogo in cui la persona ha la dimora abituale) e dell’art. 2 t.u.i.r., secondo cui il domicilio è il luogo in cui le persone hanno stabilito la sede principale dei loro affari e interessi, anche morali e familiari, come chiarito dalla giurisprudenza prevalente e dalla stessa amministrazione finanziaria, secondo le quali gli affari e interessi riguardano anche la sfera personale e familiare, cosicché doveva ritenersi che il centro degli affari del ricorrente fosse in Svizzera, dove vive ininterrottamente dal 2007, ha formato la sua famiglia, con assoggettamento a imposizione illimitata e regolarità contributiva e inserimento nel servizio sanitario elvetico mediante sottoscrizione di assicurazioni obbligatorie per tutta la famiglia, non essendo necessaria la continuità o la definitività per poter ritenere abituale la dimora.

Analoghe doglianze ha sollevato con riferimento alla affermazione della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestatogli, in particolare del dolo di evasione, cui i giudici di merito sarebbero pervenuti omettendo di considerare che il ricorrente è residente in Svizzera dal 2007 (non essendone stata dimostrata la presenza in Italia negli anni 2013 e 2014 per oltre 183 giorni consecutivi) e ha in tale Stato la dimora abituale, con il proprio nucleo familiare, cosicché aveva optato per il regime d’imposta forfettario e aveva quindi versato in buona fede le imposte dovute in Italia secondo tale regime, pagando le tasse dovute in Svizzera dall’anno 2007 in avanti.

2.2. Con il secondo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., la mancata assunzione di una prova decisiva, a causa della errata valutazione delle numerose prove documentali (certificato di domicilio della Città di Lugano, certificato di iscrizione all’AIRE, permesso di soggiorno svizzero di tipo C, dichiarazione di regolare pagamento delle imposte del Comune di Genestresio, dichiarazione dell’ufficio di tassazione di Mendrisio di pagamento delle imposte dovute negli anni 2013 e 2014, documenti attestanti la pendenza della procedura di naturalizzazione in Svizzera, polizze assicurative obbligatorie per i residenti in Svizzera, attestazione della mancata iscrizione nell’elenco degli assistiti dal SSN della Regione Lombardia, il certificato relativo al matrimonio contratto in Svizzera nel 2008), dalle quali, se correttamente interpretate, emergeva che il centro degli interessi del ricorrente era in Svizzera e non in Italia, con la conseguente mancata assunzione di una prova decisiva in relazione alle risultanze documentali e alle prove testimoniali offerte dalla difesa, non essendo stati assunti in modo corretto elementi probatori qualificabili come prove decisive e non essendo stata riconosciuta la mancanza di elementi essenziali rispetto alla configurabilità, sia in astratto sia in concreto, del reato contestato, sia dal punto di vista materiale, sia quanto al relativo elemento soggettivo.

2.3. Con il terzo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., un vizio della motivazione nella parte relativa alla affermazione della configurabilità del reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 ascrittogli, per la contraddittorietà e la illogicità esistenti tra il rilievo della residenza del ricorrente in Svizzera e il pagamento delle imposte dovute in tale Stato e l’affermazione della fissazione del centro principale dei suoi interessi in Italia, a Varese, e anche per l’omessa considerazione di quanto previsto, all’art. 4, dalla Convenzione tra Italia e Svizzera, che, proprio per evitare la doppia imposizione, prevede che è residente di uno stato contraente ogni persona che è assoggettata all’imposta nello stesso stato, cosicché i benefici convenzionali spettano per il solo fatto della soggezione del soggetto percettore di reddito alla potestà impositiva principale di tale stato, indipendentemente dall’effettivo pagamento dell’imposta (si richiama Cass. Civ., n. 10706 del 2019).

3. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso, evidenziando, sulla scorta dei criteri elaborati dalla giurisprudenza per individuare la residenza, la correttezza della soluzione adottata dalla Corte d’appello di Milano, che aveva optato per la prevalenza delle relazioni economiche rispetto a quelle affettive e familiari, in considerazione del fatto che il ricorrente aveva in Italia il proprio centro di interessi economico, costituito dalla attività dì amministratore delegato della MV A.M. S.p.a. e il controllo del gruppo, che aveva sede in Italia.

4. Con memoria del 4 marzo 2021 il ricorrente ha replicato a tali conclusioni, ribadendo la necessità di dare prevalenza, al fine di individuare il centro di affari e interessi del contribuente, agli interessi familiari rispetto a quelli economici, richiamando la recente sentenza n. 21695 del 2020 e rinnovando la doglianza in ordine alla mancata considerazione dei plurimi elementi indicativi della preponderanza dei propri interessi personali e familiari in Svizzera, anche in considerazione della saltuarietà della sua presenza in Italia per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Ha ribadito la rilevanza dei plurimi elementi documentali attestanti lo stabilimento in Svizzera del proprio centro di interessi sin dal 2007 e la accidentalità della propria presenza in Italia in occasione del controllo eseguito dalla Guardia di Finanza nel 2016 presso l’abitazione dei nonni paterni.

Considerato in diritto

1. Il ricorso, peraltro pressoché riproduttivo dei primi tre motivi d’appello, adeguatamente considerati e motivatamente disattesi dalla Corte d’appello di Milano, non è fondato.

2. Il primo motivo, mediante il quale è stata lamentata l’errata applicazione di disposizioni di legge sostanziale, che avrebbe determinato l’erronea affermazione della fissazione in Italia da parte del ricorrente del proprio domicilio, con la conseguente sussistenza dell’obbligo tributario nei confronti dello Stato italiano, rimasto inadempiuto, non è fondato.

Tale doglianza è, infatti, volta a censurare la correttezza delle conclusioni tratte dai giudici di merito dagli elementi disponibili per stabilire la sussistenza dell’obbligo fiscale a carico del ricorrente negli anni d’imposta 2013 e 2014 (ai quali si riferiscono le contestazioni), tra l’altro proponendo una rivalutazione sul piano del merito e della loro rilevanza degli elementi considerati concordemente dai giudici di merito, che, sulla base di una completa valutazione di tutti gli aspetti di fatto disponibili, hanno correttamente concluso per la sussistenza di tale obbligo, in considerazione della fissazione del domicilio del ricorrente in Italia in detti anni d’imposta.

La residenza fiscale italiana non è, anzitutto, stata desunta dai giudici di merito in base a indizi o a elementi presuntivi, ma in base a dati di fatto certi che corrispondono pienamente, nella loro convergenza, ai requisiti previsti dagli artt. 2, d.P.R. n. 917 del 1986 e 43 cod. civ.

Secondo la costante giurisprudenza delle sezioni civili di questa Corte, ai sensi del combinato disposto dell’art. 2 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e dell’art. 43 cod. civ., deve considerarsi soggetto passivo d’imposta il cittadino italiano che, pur risiedendo all’estero ed essendosi iscritto all’anagrafe dei residenti all’estero (A.I.R.E.), stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali (Sez. 5, n. 678 del 16/01/2015, Rv. 634019; Sez. 5, n. 29576 del 29/12/2011, Rv. 620991; Sez. 5, n. 24246 del 18/11/2011, Rv. 620260; Sez. 5, n. 12259 del 19/05/2010, Rv. 613394; Sez. 5, n. 13803 del 07/11/2001, Rv. 550073).

In tema d’imposte sui redditi, il citato art. 2, comma 2, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 richiede, per la configurabilità della residenza fiscale nello Stato, tre presupposti, indicati in via alternativa, il primo, formale, rappresentato dall’iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, e gli altri due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi del codice civile; ne consegue che l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali, non risultando determinante, a tal fine, il carattere soggettivo ed elettivo della “scelta” dell’interessato, rilevante solo quanto alla libertà dell’effettuazione della stessa, ma non ai fini della verifica del risultato di quella scelta, dovendosi contemperare la volontà individuale con le esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi, per cui il centro principale degli interessi vitali del soggetto va individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi (Cass. Civ., Sez. 5, n. 14434 del 15/06/2010, Rv. 613668; conf. Cass. Civ., Sez. 5, n. 14434 del 15/06/2010, Rv. 613669; v. anche, in motivazione e implicitamente, Cass. Civ., Sez. 5, n. 21695 del 17/01/2020, non massimata e citata dal ricorrente nella memoria).

Ora, nel caso in esame la Corte d’appello di Milano non si è affatto discostata da questi consolidati principi, dando atto, anzitutto, di aver considerato (come già aveva fatto il Tribunale di Varese) i plurimi elementi documentali allegati dal ricorrente a sostegno della fissazione della sua residenza in Svizzera (tra cui la cancellazione sin dal 2007 dall’elenco anagrafico dei cittadini residenti in Italia e l’iscrizione a quella degli italiani residenti all’estero, A.I.R.E., la residenza in un comune sito in territorio svizzero e la corresponsione delle imposte dovute in Svizzera), le varie circostanze di fatto addotte a sostegno della affermazione della concentrazione in Svizzera del centro degli interessi affettivi e relazionali del ricorrente (tra cui l’aver contratto matrimonio con una cittadina svizzera; l’essere assistito, unitamente ai propri familiari, dal servizio sanitario svizzero; la frequenza di scuole in territorio italiano da parte dei propri figli solo per consentire loro lo studio della lingua inglese; la assoluta occasionalità della propria presenza in Italia in occasione della verifica fiscale eseguita nel 2016, essendosi recati nella abitazioni dei nonni per le festività di Pasqua), nonché quanto emerso dalle deposizioni dei testi della difesa (circa la presenza del ricorrente a Mendrisio dal 2007 al 2014 e la residenza nel 2014 della famiglia del ricorrente a Breganzona). Tali elementi non sono, però, stati ritenuti sufficienti per ritenere che il ricorrente avesse, negli anni oggetto delle contestazioni (e cioè il 2013 e il 2014), la residenza fiscale in Svizzera, in considerazione della prevalenza dei rilevanti interessi economici dello stesso in Italia e anche di ulteriori aspetti attinenti alla vita affettiva e relazionale.

I giudici di merito hanno, infatti, sottolineato i rilevanti redditi percepiti dal ricorrente negli anni in questione quale amministratore delegato della nota società MV Agusta Motor S.p.a. (pari a euro 1.429.669,88 nel 2013 e a euro 1.454.661,00 nel 2014), nonché la sua veste di socio unico di tale società (che ha domicilio fiscale in Varese) e di legale rappresentante di altre società collegate (MV A.F.C., GC H. e MV A.M.H., di cui è socio unico e attraverso la quale detiene il controllo del gruppo, assai noto in Italia e nel mondo nell’ambito della produzione e della vendita di motociclette sportive); nonché, quanto agli aspetti della vita personale, la disponibilità esclusiva di una abitazione in Varese (di proprietà della B. S.r.l. ma di fatto in uso alla famiglia C.), la proprietà di alcuni immobili in provincia di Varese, la titolarità della tessera del Servizio sanitario nazionale italiano, la frequenza da parte dei figli minori di scuole in Italia, l’iscrizione a circoli sportivi in Italia.

Sulla base di questi elementi i giudici di merito hanno, quindi, concordemente, ritenuto che il centro principale degli affari e interessi economici del ricorrente fosse, negli anni in questione, in Italia, non rilevando la sola cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente, la disponibilità di una abitazione a Breganzona, l’iscrizione a una palestra a Mendrisio e gli altri elementi sintomatici di una vita, almeno parzialmente, condotta in Svizzera con la famiglia, attribuendo prevalenza alla fissazione nello Stato (a Varese) del centro principale degli affari e interessi economici, cioè del domicilio, tenendo conto degli elementi indicativi di una vita relazionale e familiare almeno parzialmente condotta in Italia (costituiti dalla effettiva disponibilità di una abitazione a Varese, della iscrizione a circoli sportivi a Varese, della frequentazione della Scuola Europea a Varese da parte dei figli).

Si tratta di conclusione corretta, in quanto, qualora, come nel caso in esame, il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, oltre che almeno di una parte delle proprie relazioni personali e affettive, va data prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente, in modo riconoscibile dai terzi (così Cass. Civ., Sez. 5, Sentenza n. 24246 del 18/11/2011, Rv. 620260, che ha ritenuto non correttamente motivata la sentenza impugnata, che aveva escluso la residenza in Italia di un cittadino iscritto all’anagrafe dei residenti in Svizzera e che, pur avendo in quello Stato una casa ed un piccolo negozio, aveva, invece, in Italia oltre trenta appartamenti e numerose attività imprenditoriali; nel medesimo senso v. anche Cass. Civ., Sez. 5, Ordinanza n. 32992 del 20/12/2018, Rv. 651993, secondo cui “Ai fini dell’individuazione della residenza fiscale del contribuente deve farsi riferimento al centro degli affari e degli interessi vitali dello stesso, dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi è esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi, non rivestendo ruolo prioritario, invece, le relazioni affettive e familiari, le quali rilevano solo unitamente ad altri criteri attestanti univocamente il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento“).

Tale conclusione non è contraddetta dalla Convenzione tra l’Italia e la Svizzera per evitare le doppie imposizioni (ratificata e resa esecutiva con la legge 23 dicembre 1978, n. 943) in quanto, ai sensi dell’art. 4 del testo dell’accordo, il concetto di residenza fiscale può ben ricollegarsi, ove non sia possibile l’utilizzazione di diversi criteri, al centro degli interessi vitali, ossia al luogo con il quale il soggetto ha più stretto collegamento sotto il profilo degli interessi personali e patrimoniali.

Di tali rilievi, che non sono manifestamente illogici e sono coerenti con il dato normativo e gli accordi convenzionali, come costantemente interpretati dalla giurisprudenza di legittimità, il ricorrente ha proposto una censura che è fondata su una diversa considerazione degli elementi di fatto da valutare, volta a privilegiare il dato della fissazione della dimora in territorio svizzero e altri aspetti attinenti alla sfera personale (tra cui il matrimonio contratto in Svizzera nel 2008, la stipula di assicurazioni sanitarie, la dimora abituale in tale Stato), che, però, come notato, non sono stati obliterati dai giudici di merito, ma giudicati, sulla base di una completa disamina di tutti gli elementi disponibili, recessivi, in considerazione della rilevanza degli interessi patrimoniali e lavorativi del ricorrente in Italia e della esistenza di relazioni personali, familiari e affettive anche in tale Stato, con la conseguente corretta e logica attribuzione della prevalenza, nella indagine volta a determinare la residenza fiscale negli anni in questione, agli interessi patrimoniali e lavorativi.

Quanto alla finalità di evasione che connota il reato di cui al citato art. 5, i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo cui, in tema di omessa dichiarazione ex art. 5 d.lgs. 74/2000, la prova del dolo specifico può essere desunta dall’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta (Sez. 3, n. 18936 del 19/01/2016, V., Rv. 267022). In particolare, è stato correttamente osservato dalla Corte d’appello, nel ravvisare il fine di evasione, che “gli elementi relativi alla vita familiare, personale, sociale e culturale di C. Giovanni sono ripartiti tra l’Italia e la Svizzera in misura quantomeno equivalente, sicché vi è un unico motivo che giustifichi il trasferimento della residenza dall’Italia alla Svizzera a parità delle altre condizioni di vita: la finalità di evasione fiscale”.

Ne consegue, in definitiva, l’infondatezza del primo motivo di ricorso, per essere correttamente e con motivazione immune da vizi logici, stata affermata la residenza fiscale in Italia del ricorrente negli anni 2013 e 2014 e la sussistenza del dolo di evasione.

3. Il secondo motivo, mediante il quale è stata lamentata la mancata assunzione di prove decisive, è manifestamente infondato.

La mancata assunzione di una prova decisiva è configurabile quando sia dimostrata l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello, tali da determinare un esito diverso del giudizio (cfr. Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, PR., Rv. 261799; conf. Sez. 2, n. 48630 del 15/09/2015, Pircher, Rv. 265323; Sez. 2, n. 40855 del 19/04/2017, Gianpà e altri, Rv. 271163; Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Impellizzeri, Rv. 273577).

Tale prospettazione è stata completamente omessa dal ricorrente, che, in realtà, non ha affatto lamentato la mancata assunzione (o riassunzione) di prove caratterizzate da detti connotati, ma ha censurato la valutazione delle prove documentali offerte, ribadendo la doglianza formulata con il primo motivo di ricorso, in ordine alla errata valutazione dei plurimi elementi documentali dai quale emergerebbe la fissazione della sua residenza in Svizzera sin dal 2007 (con la conseguente insussistenza di uno dei presupposti del reato contestato), che, evidentemente, è del tutto estranea alla ricordata nozione di mancata assunzione di una prova decisiva, che presuppone una omissione, mentre nel caso in esame ci si duole di una valutazione ritenuta errata.

4. Il terzo motivo, mediante il quale è stata censurata l’affermazione della fissazione della residenza in Italia da parte del ricorrente negli anni 2013 e 2014 nella prospettiva del vizio di motivazione, è, anch’esso, manifestamente infondato, in quanto con tale motivo di ricorso non sono state evidenziate proposizioni tra loro inconciliabili o errate applicazioni delle regole della logica, delle massime di comune esperienza e dei criteri legali, tali da rendere la motivazione illogica o irrazionale (cfr. Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999, Guglielmi, Rv. 214567; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, Elia, Rv. 229369), ma è stata nuovamente censurata sul piano del merito, cioè della lettura e della valutazione degli elementi a disposizione, l’affermazione della residenza in Italia del ricorrente negli anni d’imposta 2013 e 2014 oggetto delle contestazioni, criticando anche sotto tale profilo la valutazione degli elementi di prova disponibili compiuta dai giudici di merito.

Si tratta, anche a questo proposito, di censura che non attiene al controllo della logicità della motivazione (che deve essere esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, allo scopo di stabilire se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti e se nell’interpretazione degli elementi a loro disposizione abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre), bensì all’apprezzamento e alla valutazione delle prove, che sono estranei al sindacato di legittimità, nel quale è esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).

5. Il ricorso in esame deve, in conclusione, essere rigettato, stante l’infondatezza del primo motivo e l’inammissibilità del secondo e del terzo motivo.

Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.