CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 15482 depositata il 23 aprile 2021
Bancarotta fraudolenta patrimoniale – Responsabilità – Amministratore di fatto – Accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico con funzioni direttive – Necessità
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Catanzaro ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di T.V. per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale a lui ascritti quale amministratore di fatto della P.T. s.r.l., società dichiarata fallita dal Tribunale di Rossano il 5 gennaio 2011; mentre, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche riconosciute prevalenti sulla contestata aggravante, ha ridotto ad anni due di reclusione la pena principale inflitta e, in ossequio alla sentenza della Corte Costituzionale n. 222 del 2018, ha diminuito ad anni due la durata delle pene accessorie ex art. 216 legge fall.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato, tramite il difensore, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla giurisdizione del giudice italiano e, in subordine, alla competenza del Tribunale di Castrovillari.
La sede della società è stata trasferita all’estero sin dalla fine dell’anno 2007, mentre la dichiarazione di fallimento è stata presentata soltanto nell’aprile del 2009. In ogni caso le ultime unità locali operative sul territorio italiano (chiuse nel 2007) si trovavano a La Spezia e Osimo.
A sostegno delle eccezioni il ricorrente richiama alcune decisioni delle sezioni penali della Corte di cassazione circa il fatto che la sentenza di fallimento non farebbe stato nel processo penale, nonché alcune sentenze delle sezioni civili sulle regole che governano la competenza territoriale ai fini della dichiarazione di fallimento.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione circa la sua ritenuta responsabilità per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale.
Nella attribuzione all’imputato della veste di amministratore di fatto della società fallita, la Corte di appello:
– avrebbe valorizzato una procura speciale che conferiva all’imputato poteri limitati e circoscritti alla chiusura dei rapporti pregressi, senza tenere conto del contestuale rilascio di altra procura con la quale D.M. veniva investito di ogni potere gestorio;
– non avrebbe saputo indicare atti concreti di effettivo esercizio del potere conferito con la procura; si fa riferimento alla trasmissione della dichiarazione dei redditi del maggio 2007 e alla ricezione della contabilità sociale che però sono atti compiuti quando T. era ancora formalmente investito della carica di amministratore unico della società;
– non avrebbe tenuto conto che dal verbale di assemblea del 28 dicembre 2007, redatto dal notaio G.B. di Macerata, risulta che l’amministratrice in carica a quella data, A.R., succeduta nel giugno 2007 al T., dà atto di aver consegnato tutte le scritture contabili e i libri sociali al nuovo amministratore, A.A.D..
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce analoghi vizi in ordine alla sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
La doglianza era stata proposta con il secondo motivo di gravame, la cui disamina è stata pretermessa dalla Corte distrettuale.
Pertanto sono rimasti privi di risposta i profili decisivi della responsabilità del T. per le condotte distrattive: la gestione intermedia da parte di A. – D., mai investigata; la mancata prova della effettiva esistenza dei beni nel patrimonio societario, la cui sussistenza viene tratta dalle risultanze dell’ultimo bilancio disponibile, 31 dicembre 2007, vale a dire da valori finanziari-patrimoniali risalenti ad oltre quattro anni prima del fallimento.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
In tema di bancarotta fraudolenta, la dichiarazione di fallimento si pone, per tutti i casi riferibili a condotte realizzate prima della stessa dichiarazione, quale ultimo atto che perfeziona il delitto nel tempo e nel luogo in cui la sentenza è pronunciata e che radica la giurisdizione e la competenza del giudice italiano (Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi, Rv. 261943).
Le pronunce delle sezioni penali citate in ricorso non riguardano il profilo della giurisdizione e della competenza, ma la diversa questione della efficacia di giudicato della sentenza di fallimento nel processo penale; peraltro si tratta di decisioni risalenti (Sez. 5, n. 7961 del 29/04/1998, Marcimino, Rv. 211536; Sez. 5, n. 5544 del 09/04/1999, Leo, Rv. 213529; Sez. 5, n. 38230 del 22/10/2002, Palatresi, Rv. 223067; Sez. 5, n. 15803 del 15/03/2007, Decorosi, Rv. 236555) che sono state superate a partire dalla difforme decisione delle Sezioni Unite Niccoli (Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, Rv. 239398).
Le sentenze delle sezioni civili, richiamate in ricorso, dettano le regole per l’individuazione del giudice civile competente, senza ricadute sulla regola di competenza penale come sopra individuata.
3. Il secondo motivo è fondato.
3.1. L’evoluzione della vicenda societaria e l’avvicendamento delle persone viene ricostruita dalla sentenza di primo grado (pag. 6).
La società è sorta nel 1999 con la denominazione V.I. s.r.l. e aveva ad oggetto sociale la costruzione, la commercializzazione e manutenzione di imbarcazioni e di accessori per la pesca e il diporto.
Nell’anno 2007 la società trasferiva la sede prima da una città all’altra in territorio italiano poi in Costa D’Avorio. Il 17 settembre 2007 mutava denominazione in “P.T. s.r.l.”.
L’odierno ricorrente ha rivestito la carica di amministratore unico della società fino al giorno 8 giugno 2007, quando è stato sostituito da A.R.. Quest’ultima, unitamente a D.M., ha acquisito anche la proprietà di tutte le quote sociali. Il 28 dicembre 2007 viene nominato amministratore unico il cittadino ivoriano A.A.D., residente a Ivrea, al quale A. e D. cedono contestualmente le quote. In pari data A.A.D. conferisce due procure speciali: una in favore dell’odierno ricorrente e una in favore di D.M.
La sentenza di primo grado ha riconosciuto che A.A.D., originario coimputato di T.V., era un mero prestanome e lo ha condannato soltanto per il reato di bancarotta fraudolenta documentale; mentre lo ha mandato assolto dalla bancarotta fraudolenta patrimoniale “per non aver commesso il fatto”.
T.V. è stato condannato quale amministratore di fatto della società fallita.
3.2. In sede di appello, con il secondo e il terzo motivo, T.V. aveva contestato la qualifica di amministratore di fatto, assumendo che gli elementi valorizzati dal Tribunale ai fini della attribuzione di tale qualità non fossero univoci né significativi:
– la procura speciale rilasciata in suo favore da A.A.D. aveva un contenuto limitato e circoscritto alla chiusura dei rapporti pendenti; al contrario di quella rilasciata a D. (integralmente trascritta) che conferiva a quest’ultimo ogni potere gestorio;
– gli atti gestori indicati dal Tribunale (sottoscrizione alla data del 31 marzo 2007 del bilancio al 31 dicembre 2006, trasmissione alla Agenzia delle entrate delle dichiarazioni relative alle imposte 2007, ricezione della contabilità societaria da parte del commercialista) si collocano tutti prima della dismissione della carica, avvenuta nel giugno del 2007.
3.3. A questo motivo di appello la Corte distrettuale risponde (cfr. pag. 4): che l’imputato ha ricevuto una procura speciale con la quale l’amministratore di diritto lo incaricava di «gestire e chiudere i rapporti bancari e commerciali, con elenco specifico dei poteri attribuiti» (poteri non indicati in sentenza); che l’imputato ha esercitato poteri gestori perché ha trasmesso all’agenzia delle Entrate le dichiarazioni 2007 ai fini delle imposte e ha ricevuto le scritture contabili dalla società deputata alla tenuta della contabilità.
Una siffatta motivazione è apparente poiché si limita a ribadire due dati di fatto, senza valutarne la pertinenza e concludenza rispetto al thema probandum.
3.4. La denuncia di vizio motivazionale coglie, quindi, nel segno.
4. Anche il terzo motivo è fondato.
4.1. Con il secondo motivo di appello, la difesa dell’imputato aveva mosso specifiche censure alla sentenza di primo grado laddove riteneva dimostrata – sulla scorta di elementi poco affidabili, confutati dalle deposizione dei testimoni a discarico – la distrazione di materiale per un valore di 311.699,00 euro; rimanenze di magazzino per un valore di 398.720 euro; n. 207 partecipazioni nella E. spa del valore di euro 292.043,00.
In particolare l’appellante evidenziava: che quei valori erano meri dati contabili desunti dal bilancio al 31 dicembre 2006; che la spiegazione delle “poste attive” e della destinazione dei beni era stata fornita dai testimoni della difesa; che il Tribunale era incorso in un errore evidente nell’assegnare alle 207 quote il valore di euro 292.043,00 quando il dottor V. aveva chiarito che quell’importo si riferiva alla entità massima dell’esposizione debitoria societaria garantita dalla E. spa.
4.2. Questo motivo di appello è stato totalmente ignorato dalla Corte distrettuale.
La sentenza impugnata tratta come secondo motivo l’eccezione sulla violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. (pag. 3), che, invece, era stata proposta con il quarto motivo; inoltre afferma che l’imputato non avrebbe contestato la sussistenza dei fatti distrattivi (pag. 4) quando invece vi era un preciso e articolato motivo di appello sul punto.
4.3. Ricorre, quindi, il denunciato vizio di totale assenza di motivazione.
5. Per ragioni di chiarezza, è utile precisare che quelli sopra individuati costituiscono i due vizi motivazionali che inficiano la tenuta argomentativa della sentenza impugnata.
Mentre altre questioni, pure sollevate in ricorso, sono irrilevanti.
5.1. L’imputato è stato chiamato a rispondere dei reati in rassegna non quale amministratore di diritto della società fallita, ma quale amministratore di fatto; ne consegue che i profili attinenti al decorso del tempo dalla dismissione della carica e quelli relativi alle “vicende societarie intermedie” sono irrilevanti, proprio perché la tesi dell’accusa è che T.V. ha continuato a gestire “di fatto” la società fino al momento del fallimento e dunque è responsabile “in proprio” dei delitti fallimentari in contestazione.
Al riguardo va ricordato che il soggetto che assume, in base alla disciplina dettata dall’art. 2639 cod. civ., la qualifica di amministratore “di fatto” di una società è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, è penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest’ultimo addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art. 40, comma secondo, cod. pen. (Sez. 5, n. 15065 del 02/03/2011, Guadagnoli, Rv. 250094; Sez. 5, n. 39593 del 20/05/2011, Assello, Rv. 250844).
La nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 cod. civ., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, significatività e continuità non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare – il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (per tutte Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 256534).
Peraltro la previsione di cui all’art. 2639 c.c. non esclude che l’esercizio dei poteri o delle funzioni dell’amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza con l’esplicazione dell’attività di altri soggetti di diritto, i quali – anche contemporaneamente – esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (Sez. 5, n. 46962 del 22/11/2007, Cristiano, Rv. 238893).
5.2. Pertanto gli snodi argomentativi da emendare investono, anzitutto, il punto della attribuibilità all’imputato della veste di amministratore di fatto (tenendo conto delle censure mosse con l’atto di appello).
Ai fini del reato di bancarotta fraudolenta documentale, è necessario esaminare i motivi di appello circa la effettiva esistenza dei beni nel patrimonio della fallita.
La responsabilità per il delitto di bancarotta per distrazione richiede l’accertamento della previa disponibilità, da parte dell’imputato, dei beni non rinvenuti in seno all’impresa; accertamento non condizionato dalla presunzione di attendibilità del corredo documentale dell’impresa che non obbedisce – per quel che concerne il delitto in questione – alla qualificazione in termini di prova, ex art. 2710 cod. civ.; infatti, ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen., la risultanza deve essere valutata (anche nel silenzio del fallito) con ricerca della relativa intrinseca attendibilità, secondo i consueti parametri di scrutinio, di cui deve essere fornita motivazione (Sez. 5 n. 7588 del 26 gennaio 2011, Buttitta, Rv. 249715).
5.3. Mentre non risulta posta in discussione la sussistenza dell’elemento materiale del reato di bancarotta fraudolenta documentale, dato che è pacifico che i libri e le altre scritture contabili sono stati sottratti o distrutti ovvero ne è stata omessa la tenuta.
Sul tema è bene ricordare che tale ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale (diversa e distinta da quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita) deve essere sorretta da dolo specifico, richiede, cioè, l’accertamento che scopo della sottrazione, distruzione, omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori (cfr. Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838; Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, Inverardi, Rv. 276650; Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, Rossi, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904).
6. Consegue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.
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