CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 15486 depositata il 21 aprile 2022

Infortunio sul lavoro – Contratto d’appalto – Reato di omicidio colposo – Violazione dell’art. 26, d.lgs. n. 81/2008 – Condotta abnorme del lavoratore – Interruzione del nesso causale fra condotta omissiva del garante ed evento mortale

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 10.7.2020, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato la pena e, per il resto, ha confermato la declaratoria di responsabilità di A. R. (unitamente a quella di F. M. e A. D.) per il reato di omicidio colposo del lavoratore A.T..

2. Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, il 13.5.2009, alle ore 17.45 circa, il T. si trovava all’interno del capannone “Lotto D” di proprietà della società F.lli R., insieme ad A. D.; i due, soci-lavoratori della Cooperativa S.S. Logistic and Service, stavano effettuando dei lavori con l’uso di un muletto, alla cui guida vi era il D.. In tale contesto, era avvenuto l’incidente: i soccorritori avevano trovato il corpo del T. disteso a terra in una pozza di sangue, privo di sensi e di dispositivi di sicurezza, ai piedi di uno scaffale sito lungo la parete sinistra di un box; accanto a lui vi era il muletto con le forche ancora alzate e dirette verso lo scaffale. Dalla perizia medica svolta sul corpo della persona offesa era emerso che le fratture riportate dallo stesso (causa del decesso) erano compatibili con una caduta da un’altezza minima di almeno 4 metri e massima di 10 metri; trattandosi di scaffali aventi un’altezza complessiva di 5,5 metri, era stato escluso che la vittima si fosse arrampicata. I testi A. T. (figlio della vittima) e G. riferivano che nell’immediatezza dei fatti il D. aveva loro spiegato che stava azionando il muletto e che il T. era stato sollevato sulle forche della macchina per effettuare lavori di pulizia degli scaffali, quando era precipitato al suolo.

2.1. La Corte territoriale, in ciò confermando l’impostazione del primo giudice, ha ritenuto che il contratto di appalto stipulato dalla appaltatrice Cooperativa S.S. Logistic and Service (di cui F. M. era legale rappresentante) con la società committente S.r.l. F.lli R. (legalmente rappresentata da A. R.) – avente ad oggetto “il carico, lo scarico e pulizia dei colli” da parte dei soci lavoratori all’interno del capannone di proprietà della F.lli R. – fosse sostanzialmente da qualificare come contratto di somministrazione di manodopera, stipulato in violazione della legge 276/2003; quindi, da ritenersi nullo ex art. 21, comma 4, della legge citata; ciò comportando, di fatto, l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato tra i dipendenti della cooperativa e la società F.lli R., con la conseguenza che A. R. è stato identificato come datore di lavoro della persona offesa, unitamente alla M. quale legale rappresentante della Cooperativa.

2.2. Da ciò è stata fatta derivare la posizione di responsabilità del R. in materia di sicurezza sul lavoro: per non aver predisposto alcuna misura atta ad impedire l’utilizzo inadeguato del muletto, in violazione dell’art. 71 d.lgs. n. 81/2008; per omessa vigilanza; per non avere adeguatamente valutato il rischio e disposto circa i lavori di pulizia su scaffali alti o merce esposta in altezza. Sono stati, altresì, esclusi profili di abnormità della condotta del lavoratore, posto che il T. era impegnato a svolgere compiti propri delle mansioni allo stesso affidate, peraltro in assenza di corsi di formazione offerti dalla parte datoriale.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di A. R., lamentando (in sintesi) quanto segue.

I) Violazione di legge processuale, per violazione del principio di stretta correlazione tra fatti oggetto della contestazione e fatti affermati in sentenza, con contestuale violazione del diritto di difesa.

Si deduce che l’affermazione di responsabilità è stata fondata, tra l’altro, sulla base dell’esistenza di un illecito contratto d’appalto di servizi concluso tra la società F.lli R. e la Cooperativa S.S. Logistic, in violazione del d.lgs. 276/2003, per cui il ricorrente è stato ritenuto datore di lavoro effettivo dell’infortunato. Allo stesso modo, in modo del tutto contraddittorio, la Corte territoriale ha ritenuto che il R. avesse violato anche l’art. 26 del d.lgs. n. 81/2008, in qualità di committente delle opere concesse in appalto. Nel caso, modificando la posizione di garanzia da quella di committente a quella di datore di lavoro, è stata completamente sovvertita l’originaria contestazione, attraverso la sostituzione dei presupposti fattuali e giuridici in base ai quali il R. era stato rinviato a giudizio, secondo una nuova condotta illecita mai prospettata nel capo di imputazione e senza alcuna modifica dello stesso ai sensi dell’art. 516 cod. proc. pen. E’ stato anche negato al ricorrente il concreto esercizio del diritto di difesa, non avendo i giudici di merito consentito al ricorrente di controprovare per testi la circostanza che il sig. M. R. (figlio del ricorrente) non fosse costantemente presente all’interno del deposito e non avesse alcun potere direttivo verso i soci della cooperativa, come affermato invece da testi dell’accusa.

II) Vizio di motivazione, in relazione allo specifico punto relativo al rigetto del motivo di appello con il quale si deduceva la nullità della sentenza di primo grado per effetto della violazione del principio di stretta correlazione tra fatti oggetto della contestazione e fatti affermati in sentenza e nella parte in cui è stata rigettata la richiesta dell’assunzione delle prove contrarie.

III) Violazione di legge, con riferimento alla parte in cui si esclude un contributo causale autonomo ed esclusivo dei lavoratori nella produzione dell’evento.

Si deduce che i giudici hanno escluso un comportamento abnorme del lavoratore, senza considerare gli aspetti innovativi del vigente modello di protezione antinfortunistica, in funzione del quale anche il comportamento esorbitante che fuoriesce dalle mansioni, ordini e disposizioni impartite dal datore di lavoro o di chi ne fa le veci, esclude la responsabilità penale del datore di lavoro.

È stato appurato il comportamento pericoloso ed incosciente del T., in quanto messo in atto senza le opportune misure di sicurezza ed in presenza del D., il quale svolgeva anche le funzioni di preposto alla vigilanza sulle norme antinfortunistiche. Il datore di lavoro non ha più un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, come in passato. Nel DVR predisposto era previsto il divieto di sollevare e farsi alzare sulle forche del muletto ed anche quello di utilizzare scale a mano per accedere ai soppalchi o scaffalature. La carenza formativa non è addebitabile al R. ma comunque non è stato dimostrato che la stessa abbia avuto un’efficacia causale nella produzione dell’infortunio mortale. Il D. era abilitato all’uso del muletto ed il T. aveva un’esperienza pluriennale nel settore. Non è stato dimostrato che l’incidente mortale sia avvenuto durante l’attività di pulizia delle scaffalature sulle quali erano depositati i bancali, né tra le mansioni affidate al lavoratore era ricompresa quella di pulizia della merce riposta sugli scaffali.

IV) Vizio di motivazione, per travisamento delle fonti di prova acquisite, nella parte in cui si riconosce la responsabilità del R.. Si deduce che la sentenza di appello non ha indicato le ragioni per le quali i motivi di doglianza prospettati attraverso l’atto di gravame dovessero essere disattesi. In particolare, l’oggetto del contratto è stato riportato in maniera inesatta, nonostante in sede di appello fosse stato precisato che l’esatto oggetto del contratto era l’affidamento del servizio di scarico, carico, movimentazione delle merci e pulizia (non pulizia dei colli). Non è vero che il T. stesse effettuando lavori di pulizia sugli scaffali, come erroneamente riportato in sentenza. È apodittica l’affermazione secondo cui i luoghi di lavoro erano sempre frequentati da R. A. e R. M., il cui accesso era consentito previa autorizzazione degli stessi che ne detenevano le chiavi. I soci della cooperativa avevano ricevuto le chiavi ed avevano, quindi, la disponibilità giuridica dei locali, nei quali operavano unicamente i lavoratori della cooperativa. Tutti gli elementi addotti dalla difesa nell’atto di appello sono stati completamente ignorati dalla Corte territoriale, la quale non ha risposto in modo congruo alle doglianze prospettate. Il convincimento circa l’esistenza di un contratto di somministrazione illecita di manodopera è stato tratto da circostanze non decisive e male interpretate dai giudici di merito, posto che la mera indicazione dei colli da movimentare non integra alcun potere direttivo da parte dei R., confondendosi il mero conferimento degli strumenti di lavoro con l’organizzazione dei medesimi ed il rischio di impresa, rimasto in capo alla Cooperativa appaltatrice. Infatti, l’utilizzo dei mezzi del committente non costituisce elemento decisivo per la qualificazione del rapporto in termini di appalto non genuino, dovendosi verificare natura e caratteristiche dell’opera o del servizio dedotti nel contratto e quale sia il soggetto su cui grava la responsabilità del loro utilizzo. Il muletto era stato concesso in leasing, per cui la società F.lli R. era obbligata con la società “L.” a provvedere alla manutenzione dello stesso. Nel sinallagrna negoziale il prezzo minimo non era affatto garantito ma era funzionale al raggiungimento di un risultato ben preciso rappresentato dalla movimentazione di una predeterminata quantità di colli. L’organizzazione in generale del lavoro, dei mezzi e della sicurezza era di competenza esclusiva della cooperativa, per cui  non vi era stata alcuna inversione del rischio dell’impresa, rimasto in capo all’appaltatrice. È stato dimostrato nel corso del processo che la Cooperativa ha provveduto ad organizzare in modo autonomo l’aspetto della sicurezza. Tutti questi aspetti sono stati completamente obliterati dalla Corte di appello.

Quanto ai profili di colpa specifica, deduce quanto segue.

La norma dell’art. 26 d.lgs. 81 è stata rispettata, in quanto prima dell’affidamento del servizio è stato redatto apposito verbale di sopralluogo allo scopo di portare a conoscenza dell’affidatario dei rischi propri dell’ambiente di lavoro, dandosi atto anche della acquisizione del certificato della camera di commercio, al quale era allegata la relativa comunicazione di inizio attività. È stata acquisita anche la S.C.I.A. che contiene le autocertificazioni relative ai requisiti di capacità economico-finanziaria, tecnico-organizzativa e di onorabilità, pena la non iscrizione o la cancellazione.

Quanto alle violazioni degli artt. 28 e 71 del d.lgs. 81/2008, la Corte territoriale si limita a ricalcare pedissequamente quanto affermato dal primo giudice, senza confrontarsi con le deduzioni difensive articolate in sede di gravame: previsione del divieto di salire sulle forche del muletto, sia nel DVR che nel verbale di sopralluogo congiunto; medesimo divieto riprodotto su due pittogrammi visibili nel mezzo di sollevamento meccanico; divieto di presa manuale dei carichi e di movimentazione della merce posta sulle scaffalature; divieto di utilizzare scale a mano per accedere a soppalchi e scaffalature; ciononostante si afferma che non era indicata nel DVR la modalità di pulizia delle scaffalature. Il teste F., del resto, dopo aver escluso che i colli depositàti sulle scaffalature dovessero essere puliti, ha poi precisato che ciò poteva eventualmente avvenire allorquando essi venivano portati con il muletto al piano di calpestio per essere consegnati al cliente. Né è stato specificato quali sarebbero state le ulteriori misure tecniche ed organizzative, da assumere da parte del R., atte ad impedire che il carrello elevatore venisse utilizzato per sollevare persone. Appare poi del tutto contraddittorio addebitare l’omicidio colposo a carico del R., sia quale datore di lavoro di fatto dell’infortunato, sia quale committente delle opere affidate in appalto.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato e coglie nel segno, con particolare riferimento alle dedotte carenze motivazionali della sentenza impugnata, in relazione alle doglianze che eccepiscono la mancata risposta dei giudici territoriali agli specifici rilievi proposti in sede di appello, alquanto particolareggiati.

Peraltro, al di là della questione relativa alla esatta qualificazione del rapporto esistente fra la società del ricorrente e la cooperativa nell’ambito della quale operava il lavoratore deceduto, la sentenza di appello si presta a censura quanto all’individuazione della colpa addebitabile al R. e alla sussistenza dell’incidenza causale degli addebiti mossi al medesimo rispetto all’evento mortale di che trattasi, profili che vanno ritenuti assorbenti e che giustificano l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza, sulla scorta delle considerazioni che seguono.

2. Sul piano della colpa, la Corte territoriale richiama, fra l’altro, la violazione dell’art. 26 del d.lgs. n. 81/2008 in relazione alla scelta (ritenuta inadeguata da parte del committente) della società appaltatrice. Al riguardo, occorre richiamare il principio per cui, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, per valutare la responsabilità del committente, in caso di infortunio, occorre verificare in concreto l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo (Sez. 4, n. 5946 del 18/12/2019 – dep. 2020, Rv. 278435 – 01).

In merito a tale profilo di responsabilità il ricorrente aveva dedotto, in sede di appello, motivi specifici circa l’avvenuta redazione di un apposito verbale di sopralluogo che era stato sottoscritto dalle parti (e redatto allo scopo di portare a conoscenza dell’impresa appaltatrice dei rischi propri dell’ambiente di lavoro, dandosi atto nel verbale della acquisizione del certificato della camera di commercio), nonché in ordine all’avvenuta acquisizione della documentazione SCIA attestante la capacità tecnico-organizzativa della cooperativa, aspetti sui cui la Corte territoriale non si è minimamente soffermata, omettendo di fornire risposta ai dedotti rilievi difensivi.

3. Quanto all’affermato dovere di vigilanza a carico del ricorrente, il percorso argomentativo della sentenza impugnata appare carente e affetto da evidenti vizi logico-giuridici, laddove afferma che l’imputato “non predispose alcuna misura atta ad impedire l’utilizzo del muletto”, in violazione dell’espresso divieto, contenuto nel DVR, di salire sulle forche dello stesso.

In primo luogo, il ragionamento della Corte territoriale non indica quale sarebbe stato il cd. comportamento alternativo lecito, vale a dire non specifica quali misure avrebbe dovuto concretamente adottare il R. per impedire l’utilizzo vietato del muletto. Del resto, pare logico affermare che nel DVR lo specifico rischio che qui rileva (caduta dall’alto a seguito di sollevamento della persona sulle forche del muletto) non potesse essere previsto, trattandosi di modalità di lavoro vietata dalle direttive impartite.

In secondo luogo, al di là del fatto che un simile dovere di vigilanza non pare concretamente esigibile 24 ore su 24, i giudici di merito non considerano e non valutano la circostanza che, a fronte di una precisa disposizione che vietava il sollevamento di persone con il muletto, al momento dell’incidente sul posto era presente un soggetto (D.) il quale era preposto proprio alla vigilanza dell’operato della persona offesa.

In terzo luogo, la sentenza impugnata non menziona alcuna reale ed effettiva esigenza di vigilanza a carico del R., nel senso che non è stata accertata la conoscenza da parte del medesimo di prassi lavorative scorrette o illegittime adottate all’interno del suo capannone – fra cui quella che qui rileva di sollevamento delle persone mediante le forche del muletto – che giustificassero l’affermato dovere di vigilanza.

Sotto questo profilo, la decisione non è in linea con l’orientamento giurisprudenziale in base al quale non può essere ascritta al datore di lavoro la responsabilità di un evento lesivo o letale per culpa in vigilando qualora non venga raggiunta la certezza della conoscenza o della conoscibilità, da parte sua, di prassi incaute, neppure sul piano inferenziale (ossia sulla base di una finalizzazione di tali prassi a una maggiore produttività), dalle quali sia scaturito l’evento (cfr. Sez. 4, n. 20833 del 15/05/2019, Stango, n.m.). La giurisprudenza di legittimità si è espressa negli stessi termini in un altro, recente arresto, in cui è stato affermato che, in tema di infortuni sul lavoro, in presenza di una prassi dei lavoratori elusiva delle prescrizioni volte alla tutela della sicurezza, non è ravvisabile la colpa del datore di lavoro, sotto il profilo dell’esigibilità del comportamento dovuto omesso, ove non vi sia prova della sua conoscenza, o della sua colpevole ignoranza, di tale prassi (Sez. 4, n. 32507 del 16/04/2019, Romano, Rv. 276797). Nel caso di specie, come già detto, neppure é stata argomentata nella sentenza impugnata la prova dell’esistenza di una prassi in tal senso; ma, quand’anche tale prova fosse emersa in giudizio, sarebbe stato comunque necessario accertare ulteriormente – quanto meno in via logica, e non certo sulla sola base dell’astratta posizione di garanzia – che il R. fosse, o dovesse necessariamente essere, a conoscenza della prassi incauta.

4. Altri vizi logico-giuridici della sentenza in disamina sono rinvenibili a riguardo della questione concernente la valutazione dell’eventuale abnormità del comportamento del lavoratore deceduto, in ipotesi interruttivo del nesso causale. In proposito, si deve preliminarmente dare conto del principio affermato da questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro che, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ha fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore. Si tratta di orientamento che ha precisato che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto passando da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello “collaborativo” in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori (cfr. Sez. 4, n. 8883 del 10/02/2016, Rv. 266073 – 01).

Ebbene, in ordine alla dedotta abnormità del comportamento del lavoratore, eccepita dalla difesa dell’imputato, la Corte territoriale si limita a richiamare il risalente orientamento giurisprudenziale secondo cui – ai fini della esclusione dell’interruzione del nesso causale per condotta abnorme del soggetto infortunato – è sufficiente che, nella condotta tenuta dal lavoratore, non vi sia stato superamento delle mansioni assegnate.

Non è stata, invece, analizzata compiutamente la vicenda concreta in relazione alla possibile attivazione, da parte del lavoratore poi deceduto, di un rischio eccentrico riconducibile alla sua condotta imprudente, indipendentemente dal superamento delle mansioni a lui assegnate. Sotto questo profilo, intanto non è stato tenuto conto della più recente giurisprudenza di legittimità che, superando il requisito della radicale imprevedibilità, riconduce il concetto di abnormità della condotta colposa del lavoratore (interruttiva del nesso causale) a quella che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (cfr. Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Rv. 281748 – 01). Inoltre, su questa stessa linea di pensiero, la Corte regolatrice ha avuto modo di precisare che, in tema di infortuni sul lavoro, la condotta abnorme del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell’ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore che, per sbloccare una leva necessaria al funzionamento di una macchina utensile, aveva introdotto una mano all’interno della macchina stessa anziché utilizzare l’apposito palanchino di cui era stato dotato) (cfr. Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018 – dep. 2019, Rv. 275017 – 01). Nel caso di specie, benché sia stato accertato che il lavoratore infortunato si era fatto sollevare mediante utilizzo delle forche del muletto per raggiungere una posizione elevata, senza essere munito di strumenti di protezione anti-caduta ed in violazione delle direttive che gli vietavano una simile manovra (eseguita fra l’altro in presenza del responsabile della sicurezza D.), i giudici di merito hanno omesso di valutare se tale condotta, indubbiamente imprudente, fosse tale da attivare un rischio esorbitante o eccentrico dalla sfera di rischio governata dal R., al fine di stabilire l’eventuale ricorrenza di una condotta interruttiva del nesso causale fra il comportamento asseritamente omissivo del garante e l’evento mortale.

In tal senso, la motivazione della Corte territoriale è sicuramente carente ed erronea in diritto, non avendo tenuto conto dei principi giurisprudenziali dianzi richiamati.

5. Le superiori argomentazioni impongono l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di R. A., con rinvio al giudice di merito indicato nel dispositivo, che nel nuovo giudizio si atterrà ai principi indicati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di R. A. con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.