CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 16162 depositata il 15 aprile 2019
Omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali ex art. 2, L. n. 638/1983 – Reato – Superamento della soglia di punibilità introdotta dal D.Lgs. n. 8/2016
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza 8.06.2018, la Corte d’appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza 17.02.2016 del tribunale di Cosenza, appellata dal P., dichiarava non doversi procedere nei confronti del medesimo in ordine al reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali ex art. 2, legge n. 638 del 1983, limitatamente al periodo dal gennaio al mese di luglio 2010, rideterminando la pena inflitta in 1 mesi di reclusione ed € 130,00 di multa, confermando nel resto l’appellata sentenza che lo aveva riconosciuto colpevole per i mesi da agosto a dicembre 2010, assolvendolo invece per i restanti periodi (2011 e 2012) per non essere il fatto previsto dalla legge come reato, a seguito della entrata in vigore del d.Igs. n. 8 del 2016.
2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613, cod. proc. pen., articolando cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge in relazione all’art. 129, cod. proc. pen., essendo il reato estinto per prescrizione.
Si sostiene che, in relazione ai ratei per cui è intervenuta condanna, sarebbe interamente decorso il termine di prescrizione.
2.2. Deduce, con il secondo ed il terzo motivo – che, attesa l’omogeneità dei profili di doglianza, meritano congiunta illustrazione – violazione di legge in relazione agli artt. 125, comma terzo, e 546, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. e correlato vizio di mancanza assoluta della motivazione della sentenza nonché violazione dell’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen. e correlato vizio di travisamento probatorio, nonché difetto, contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine al reato contestato.
In sintesi, si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto colpevole l’imputato in base alle dichiarazioni INPS ed ai prospetti riepilogativi degli omessi versamenti, atteso l’intervenuto superamento della soglia di punibilità introdotta dal d.Igs. n. 8 del 2016, pari ad € 12.052,00 per l’intero anno 2010; si tratterebbe di motivazione censurabile non avendo tenuto conto i giudici di appello delle questioni proposte dalla difesa su cui i giudici territoriali avrebbero sorvolato; la motivazione, sarebbe, oltremodo illogica, in quanto proprio il funzionario INPS sentito in dibattimento avrebbe riferito di mancati versamenti da parte dell’imputato per un periodo antecedente, ossia il periodo maggio/settembre 2008, mentre non avrebbe fatto riferimento all’anno 2010, donde la condanna sarebbe stata pronunciata in difetto di prova certa della sussistenza del fatto.
2.3. Deduce, con il quarto motivo, violazione di legge in relazione all’art. 131-bis, cod. pen. e correlato vizio di motivazione.
Si censura la sentenza impugnata per aver respinto la richiesta di applicazione della causa di non punibilità del fatto di particolare tenuità; diversamente, si sostiene, la difesa aveva fatto riferimento alla tenuità del fatto nel suo complesso, tenuto conto dell’esiguità del danno cagionato, nonché all’incensuratezza, che escludevano l’abitualità, ossia la ricorrente commissione di reati della stessa specie; gli omessi versamenti, in sostanza, sarebbero stati la conseguenza della crisi economica e non espressione di abitualità nella condotta, come del resto questa stessa Corte avrebbe riconosciuto in una decisione, la n. 39413 del 2019, richiamata in ricorso a sostegno della tesi difensiva, tenuto conto del modesto superamento della soglia di punibilità.
2.5. Deduce, con il quinto motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diritto di difesa.
Infine, si censura la sentenza impugnata per aver disatteso la doglianza difensiva in merito alla mancata notifica del verbale di udienza 4.11.2015 con cui era stata disposta la rimessione in termini per consentire all’imputato di pagare quanto dovuto nel termine di te mesi; la risposta alla doglianza difensiva avrebbe determinato una violazione del diritto di difesa per la mancata conoscenza del processo, avendo il primo giudice rimesso in termini l’imputato in un’udienza in cui egli risultava assente ed era stato nominato il difensore d’ufficio ex art. 97 comma quarto, cod. proc. pen.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è inammissibile.
4. Quanto al primo motivo, con cui si deduce violazione di legge in relazione all’art. 129, cod. proc. pen., essendo il reato estinto per prescrizione, è sufficiente rilevare che per entrambi i ratei per cui è intervenuta condanna da agosto a dicembre 2010, il termine di prescrizione massima non era ancora decorso alla data della sentenza di appello (8.06.2018), essendo infatti decorso il termine, quanto al rateo di luglio 2010, in data 16.06.2018 e, quanto al rateo di dicembre 2010, in data 16.10.2018).
Non rileva la circostanza che il termine di prescrizione sia nelle more decorso alla data odierna, trovando infatti applicazione il principio per cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 – dep. 21/12/2000, D.L. Rv. 217266).
5. Quanto al secondo ed al terzo motivo, congiuntamente illustrati e parimenti esaminabili congiuntamente, gli stessi sono affetti da genericità per aspecificità, in quanto non si confrontano con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata che confutano in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive (che, vengono, per così dire “replicate” in questa sede di legittimità senza alcun apprezzabile elementi di novità critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilità.
Ed invero, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
6. Le stesse sono inoltre da ritenersi manifestamente infondate, atteso che la Corte territoriale ha spiegato, con motivazione adeguata ed immune dai denunciati vizi: a) che vi era in atti la prova del pagamento delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti, come risultante dalle documentazioni INPS con denuncia e prospetto inadempienze, unitamente alle dichiarazioni del funzionario assunto in dibattimento, che aveva accertato sia l’omesso versamento delle ritenute che la presentazione dei modelli DM/10 da parte del datore di lavoro; b) che da tali modelli DM/10 emergeva la prova della corresponsione ai lavoratori delle retribuzione e l’ammontare degli obblighi contributivi, richiamando la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, gli appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale (cosiddetti modelli DM 10), hanno natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e la loro presentazione equivale all’attestazione di aver corrisposto le retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso il versamento dei contributi (v., tra le tante: Sez. 3, n. 37145 del 10/04/2013 – dep. 10/09/2013, Deiana e altro, Rv. 256957); c) che il reato risultava chiaramente integrato in relazione alla predetta annualità, in quanto l’omissione per il 2010 superava la soglia di € 10.000,00, così correttamente facendo applicazione del principio per cui in tema di contributi previdenziali ed assistenziali, l’art. 3, comma sesto, del D.Lgs n. 8 del 2016 ha riformato la fattispecie di cui all’art. 2 del D.L. n. 463 del 1983 – convertito, con modificazioni, in I. n. 638 del 1983 – fissando, per la condotta di omesso versamento da parte del datore di lavoro delle ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, la soglia di punibilità di euro 10.000, rapportati ad anno solare; ne consegue che, ai fini della configurazione del reato, non è rilevante l’eventuale prescrizione delle omissioni mensili ricomprese nell’annualità in contestazione, se le condotte omissive, non prescritte, raggiungono la soglia annuale di punibilità (Sez. 3, n. 53722 del 23/02/2016 – dep. 19/12/2016, Guastelluccia, Rv. 268546).
7. Ne discende, pertanto, che le doglianze difensive appaiono manifestamente infondate, in quanto si risolvono nel “dissenso” sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per un presunto vizio motivazionale con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745).
E la sentenza sotto tale profilo risulta del tutto immune dai denunciati vizi.
8. Quanto, ancora, al quarto motivo con cui si duole il ricorrente per il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis, cod. pen., il motivo P. il fianco ad analogo giudizio di inammissibilità, avendo infatti la Corte territoriale rilevato che l’offesa al bene protetto non presentasse una minima gravità, apparendo la stessa rilevante attesa l’entità dei contributi non versati con conseguente maggiore riprovevolezza della condotta, connotata dall’elemento soggettivo integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, non rilevando a tal fine il richiamo alla crisi economica, cui deve aggiungersi anche la protrazione nel tempo della condotta illecita, risultando nel tempo reiterate le omissioni dei versamenti, peraltro da parte di soggetto gravato da precedenti penali.
Sul punto infatti, questo Collegio ritiene di dover dare continuità all’orientamento prevalente di questa Corte secondo cui la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di “comportamento abituale” per la reiterazione di condotte penalmente rilevanti, ostativa al riconoscimento del beneficio, essendo il segno di una devianza “non occasionale” (da ultimo: Sez. 6, n. 3353 del 13/12/2017 – dep. 24/01/2018, Lesmo e altro, Rv. 272123). Nella specie, è pacifico che l’offesa non possa essere considerata particolarmente tenue come richiesto dalla previsione dell’art. 131-bis cod. pen., attesa la plurima violazione nel corso dell’anno in contestazione (ed anche in quelli successivi, pur sprovvisti di rilevanza penale, ma comunque accrescitivi dell’offesa al bene giuridico protetto dalla norma in esame; v., in termini: Sez. 3, sentenza n. 31411 del 2018, non massimata; Sez. 7, sentenza n. 16576 del 2018, non massimata; Sez. 7, ordinanza n. 8292 del 2018, non massimata, in cui, peraltro, si puntualizza come il riferimento all’entità rilevante dell’importo degli omessi versamenti, è valutazione che giustifica il diniego e immune dai denunciati vizi, atteso che quando si procede per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, la modesta entità del contenuto dell’obbligo contributivo imposto e non adempiuto non è di per sé sufficiente a configurare la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, avendo rilievo, a tal fine, le modalità e la durata della violazione).
9. Quanto, infine, all’ultimo motivo di ricorso, con cui si censura la sentenza impugnata per aver disatteso la doglianza difensiva in merito alla mancata notifica del verbale di udienza 4.11.2015 con cui era stata disposta la rimessione in termini per consentire all’imputato di pagare quanto dovuto nel termine di tre mesi, il motivo è inammissibile, in quanto non tiene conto delle argomentazioni della Corte territoriale che, a pag. 5 della sentenza, chiarisce come, in presenza di regolare diffida sottoscritta dall’imputato, ricevuta il 6.09.2013, in relazione alla quale non risultava proposta alcuna contestazione quanto alla sottoscrizione, non ricorrevano i presupposti per la rimessione in termini.
Correttamente, pertanto, i giudici di appello hanno ritenuto privo di rilievo il fatto della mancata notifica del verbale di udienza 4.11.2015 con cui si era disposta detta rimessione in termini, non essendovi le condizioni per consentire all’imputato – che aveva già ricevuto la diffida in data 6.09.2013 – di beneficiare della causa di non punibilità di cui all’art. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463 del 1983, conv. con modd. in legge n. 638 del 1983.
10. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila euro in favore della Cassa delle ammende.
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