CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 17280 depositata l’ 8 giugno 2020
Sistema sanzionatorio – Reati tributari – Art. 10 bis del d. Igs. n. 74 del 2000 – Omesso versamento di ritenute dovute o certificate – Prove – Dimostrazione dell’avvenuto rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 14 gennaio 2019, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del 28 febbraio 2018, con cui il Tribunale di Milano aveva condannato A.G.P. alla pena di mesi 6 di reclusione, con i doppi benefici di legge, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 10 bis del d. Igs. n. 74 del 2000, a lui contestato perché, quale legale rappresentate della “L. s.r.l.”, con sede legale in Milano, in relazione all’anno d’imposta 2011, non versava, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per l’ammontare di 194.521 euro; in Milano il 20 settembre 2012.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello lombarda, P., tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
Con il primo, la difesa deduce la violazione dell’art. 194 comma 3 cod. proc. pen. e l’illogicità della motivazione della sentenza, nella parte in cui la Corte di appello ha sostenuto che i CUD erano stati consegnati ai dipendenti, evidenziando che la teste S., a differenza di quanto affermato dai giudici di merito, aveva espresso circa la consegna dei CUD una mera congettura personale, sulla quale non, poteva essere fondata una pronuncia di colpevolezza. Anche il riferimento alla teste B. era risultato del tutto improprio, in quanto la predetta teste, dipendente di una società diversa da quella di P., non aveva mai riferito di una qualsivoglia prassi all’interno del gruppo circa la consegna dei CUD, come era stato erroneamente sostenuto dalla Corte di appello.
Dunque, conclude la difesa, le sentenze di merito avevano superato i limiti imposti dal principio del libero convincimento del giudice, basandosi o su mere ipotesi di una teste o su circostanze mai dichiarate da un’altra teste.
Con il secondo motivo, infine, la difesa censura l’erronea applicazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, osservando che, ben prima che fosse stato contestato l’omesso versamento dei contributi, all’imputato già in data 14 aprile 2014 era stato accordato in sede amministrativa un piano di rateizzazione, per cui il debito, sebbene non completamente estinto, era stato comunque ricondotto al di sotto della soglia di punibilità prima dell’apertura del dibattimento.
Al riguardo la difesa rileva che, se la norma prima invocata prevedesse la esclusione della punibilità solo per quei soggetti che abbiano provveduto al pagamento integrale di quanto dovuto, sarebbe viziata da illegittimità costituzionale, dovendo la causa di non punibilità essere estesa anche a coloro, come l’imputato, che, prima dell’apertura del dibattimento, abbiano provveduto al pagamento parziale del debito, riportandolo sotto la soglia di punibilità.
Nella sentenza impugnata era stata disattesa la censura difensiva, senza tuttavia considerare che la stessa concerneva la portata applicativa del citato art. 13.
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza
1. Iniziando dal primo motivo, occorre innanzitutto evidenziare che, in modo pertinente, la Corte territoriale ha richiamato la pronuncia delle Sezioni Unite (n. 24782 del 22/03/2018, Rv. 272801) che, nel dirimere il contrasto interpretativo riguardante la prova dell’elemento costitutivo della fattispecie oggetto di imputazione, hanno affermato il principio secondo cui, in tema di omesso versamento di ritenute certificate, alla luce della modifica apportata dall’art. 7 del d.lgs. n. 158 del 24 settembre 2015 all’art. 10 bis del d. Igs. n. 74 del 2000, che ha esteso l’ambito di operatività della norma alle ipotesi di omesso versamento di ritenute dovute sulla base della dichiarazione proveniente dal datore di lavoro (c.d. mod. 770), deve ritenersi che, per i fatti pregressi, la prova dell’elemento costitutivo del reato non può essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione, essendo necessario dimostrare l’avvenuto rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro quale sostituto di imposta, ciò in base al rilievo secondo cui l’estensione del reato, operata dalla novella, anche alle ipotesi di omesso versamento di ritenute dovute sulla base della sola dichiarazione mod. 770 va interpretata, “a contrario”, come dimostrazione che la precedente formulazione del citato art. 10 bis non solo racchiudesse nel proprio parametro di tipicità solo l’omesso versamento di ritenute risultanti dalla predetta certificazione, ma richiedesse anche, sotto il profilo probatorio, la necessità di una prova del suo rilascio ai sostituiti.
Orbene, in coerenza con tale premessa interpretativa, sia la Corte di appello che il Tribunale (che, pur pronunciandosi prima della richiamata sentenza n. 24782 del 22/03/2018, aveva comunque già aderito all’orientamento poi recepito dalle Sezioni Unite) non si sono limitati a valorizzare le risultanze del modello 770, ma hanno altresì rimarcato la circostanza che l’imputato e tutti i testi sentiti hanno dichiarato che i dipendenti della “L. s.r.l.” sono stati sempre pagati e che i CUD sono stati sempre consegnati ai dipendenti, come riferito in particolare dalle testi A.S. e A.B., dipendenti della “R.”, cioè della società capogruppo, sempre riconducibile a P., che deteneva la quota di maggioranza della “L. s.rl.”, di cui l’imputato è stato amministratore unico dal 2009 al 2013. La S. ha riferito che le risultava che i CUD erano stati sempre consegnati ai dipendenti, secondo una prassi dell’intero gruppo, circostanza, questa, confermata anche dalla teste B., risultando sul punto del tutto generiche le deduzioni difensive circa un presunto travisamento della prova, scontando il ricorso peraltro seri limiti di autosufficienza, non allegando né riportando il contenuto delle due testimonianze, rispetto ai cui passaggi essenziali, invece, la sentenza impugnata ha richiamato le pagine (18 e 22) della relativa trascrizione.
Dunque, in presenza di una esauriente e razionale disamina, del materiale probatorio, non vi è spazio per l’accoglimento della censura difensiva, formutata in termini assertivi e senza che la tesi del mancato rilascio delle certificazioni operate dal datore di lavoro abbia trovato un minimo conforto probatorio.
2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Ed invero, in maniera corretta, la Corte di appello ha escluso che potesse essere attribuito rilievo scriminante al piano di rateizzazione concordato da P. con Equitalia prima dell’apertura del dibattimento, avendo efficacia estintiva solo l’integrale pagamento del debito eseguita prima di tale sbarramento processuale.
Al riguardo deve essere infatti richiamata la condivisa affermazione di questa Corte (Sez. 3, n. 48375 del 13/07/2018, Rv. 274701), secondo cui, in tema di reati tributari, la causa di non punibilità dei reati di cui agli art. 10 bis, 10 ter e 10 quater, comma 1, del d. Igs. n. 74 del 2000, opera solo a seguito dell’integrale pagamento, anche rateale, dell’importo dovuto a titolo di debito tributario, comprese sanzioni amministrative e interessi, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, e non consegue al mero accordo intervenuto tra debitore e amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito e la rimodulazione della sua scadenza, posto che l’effetto novativo dell’obbligazione che deriva dall’accordo tra il contribuente e l’amministrazione rimane circoscritto all’ambito tributario, non producendo conseguenze sul piano penale, ricollegandosi la causa di non punibilità prevista dalla riforma del 2015 soltanto all’estinzione integrale della posizione debitoria. Dunque, la circostanza che, a seguito del pagamento delle prime tre rate del piano di rateizzazione del debito, la somma dovuta sia divenuta inferiore all’importo prevista quale soglia di punibilità, non può ritenersi decisiva, sia perché il reato di cui all’art. 10 bis del d.lgs. n. 74 del 2000, essendo integrato da una condotta unisussistente, si realizza e si consuma con l’omissione del versamento che supera la soglia minima prevista alla scadenza del termine finale per la presentazione della dichiarazione annuale relativa al periodo d’imposta dell’anno precedente (Sez. 3, n. 22061 del 23/01/2019, Rv. 275754), sia perché, in ogni caso, il pagamento del debito tributario è stato parziale, il che esclude nel caso di specie l’operatività della causa di non punibilità invocata dalla difesa.
Né si palesano profili di illegittimità costituzionale nella previsione di cui all’art. 13 del d. Igs. n. 74 del 2000, non essendo affatto irragionevole che la speciale causa di non punibilità rispetto ai delitti di omesso versamento, caratterizzati peraltro da una soglia di punibilità non certo bassa (fissata per il reato oggetto di imputazione in 150.000 euro), sia riservata solo in favore di chi abbia proceduto all’estinzione integrale e non solo parziale del debito tributario, essendo evidente che, sul piano del riconoscimento degli effetti premiali, esiste una differenza non lieve tra chi onora il debito per intero e chi assume l’impegno di farlo in futuro.
3. Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse di P. deve essere dichiarato quindi inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
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