CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 18922 depositata il 14 maggio 2021
Reati tributari – Infedele dichiarazione – Evasione fiscale – Responsabilità – Legale rappresentante – Esecutore dell’amministratore di fatto – Consapevolezza delle condotte illecite – Condanna
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 7 ottobre 2019 la Corte d’appello di Milano ha respinto l’impugnazione proposta dall’imputato nei confronti della sentenza del 5 ottobre 2018 del Tribunale di Milano, con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, D.M. era stato condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione in relazione al reato di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 (ascrittogli per avere, quale amministratore della S.r.l. L.F. e a fine di evasione, indicato nelle dichiarazioni annuali Ires e Iva di tale società relative all’anno 2013 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi inesistenti, così realizzando una evasione Ires di euro 557.073,45 e un’evasione Iva di euro 287.122,38; in Milano, nel febbraio 2014).
La Corte territoriale, nel disattendere l’impugnazione dell’imputato, fondata sulla sua estraneità alle condotte illecite e, comunque, sulla sua inconsapevolezza delle stesse, che sarebbero state realizzate dal padre, S.M. (amministratore di fatto di varie società tra cui quella in relazione alla quale erano state realizzate le condotte contestate), ha sottolineato come il ricorrente era legale rappresentante e socio di varie società appartenenti al gruppo gestito dal padre, di cui era divenuto il braccio operativo, come dimostrato sia dalle risultanze delle intercettazioni telefoniche (dalle quali era emerso il pieno coinvolgimento dell’imputato nelle attività illecite del padre), tenendo i contatti con i complici e i mantenendo i rapporti con le banche, sia dalle annotazioni presenti nel personal computer e nelle agende dell’imputato, traendone la prova della sua piena e consapevole partecipazione alle condotte illecite.
2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. In primo luogo ha lamentato l’errata applicazione di disposizioni di legge penale e l’illogicità della motivazione, nella parte relativa alla affermazione della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato ascrittogli, ribadita dalla Corte d’appello omettendo di adeguatamente considerare le analitiche doglianze contenute su tale punto nell’atto d’appello e avvalendosi di presunzioni illogiche e prive di specifici riferimenti alla vicenda concreta e agli elementi fattuali dai quali sarebbe stata desunta la consapevole partecipazione del ricorrente alle condotte, che non era stato in alcun modo coinvolto nelle altre contestazioni formulate nell’ambito del medesimo procedimento penale, cosicché l’affermazione della sussistenza dell’elemento soggettivo sarebbe stata giustificata in modo insufficiente, attraverso riferimenti del tutto generici, inidonei a consentire di ravvisare la necessaria consapevole partecipazione del ricorrente alle condotte illecite realizzate dal padre S.M.
2.2. Con un secondo motivo ha lamentato l’errata applicazione dell’art. 133 cod. pen. nella determinazione della pena e nel giudizio di bilanciamento, in termini di equivalenza, tra le attenuanti generiche e la circostanza aggravante contestata, oltre che la mancanza di motivazione a tale riguardo, in quanto la Corte territoriale, nonostante le specifiche censure formulate anche su tale aspetto con l’atto d’appello, aveva confermato il trattamento sanzionatorio disposto dal primo giudice limitandosi a condividerne il giudizio in mancanza di fatti ulteriori sopravvenuti idonei a modificarlo.
3. Il Procuratore Generale ha concluso nelle sue richieste scritte per l’inammissibilità del ricorso, in quanto volto a conseguire una lettura alternativa delle emergenze processuali inidonea a disarticolare l’apparato argomentativo della doppia conforme statuizione di responsabilità, dotata di un corretto corredo argomentativo anche in punto di trattamento sanzionatorio.
4. Con memoria del 18 gennaio 2021 il ricorrente ha replicato alle richieste del Procuratore Generale, ribadendo la fondatezza del proprio ricorso ed insistendo per il suo accoglimento, sottolineando la mancata considerazione dei rilievi formulati con l’atto d’appello, l’assenza di elementi di prova da cui ricavare la prova certa della consapevole partecipazione del ricorrente alle condotte contestate, l’illogicità della affermazione di responsabilità, fondata solamente sul dato formale della veste di legale rappresentante e sul rapporto di filiazione con l’ideatore del sistema fraudolento.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. In premessa è necessario rammentare che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico, Rv. 271623).
Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Inoltre, è opportuno ribadire che il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti in sede di impugnazione e motivatamente respinti da parte del giudice del gravame deve ritenersi inammissibile, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, solo apparentemente, denunciano un errore logico o giuridico determinato (in termini v. Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altro, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708).
3. Ora, nel caso in esame, il ricorrente, tra l’altro mediante la riproposizione anche grafica dei motivi d’appello relativi alla affermazione di responsabilità, che sono stati riportati testualmente nel corpo del primo motivo di ricorso, si duole di una valutazione di merito compiuta concordemente dal Tribunale e dalla Corte d’appello, circa la consapevolezza della partecipazione del ricorrente alle condotte illecite, censurando l’affermazione della sussistenza del relativo elemento psicologico e del fine di evasione, che, però, sono stati desunti dai giudici del merito attraverso una lettura non manifestamente illogica degli elementi disponibili, di cui è stata fornita spiegazione con motivazione sufficiente.
La Corte d’appello ha ricavato la prova della piena consapevolezza da parte del ricorrente della illiceità delle condotte contestate e della loro strumentalità alle evasioni Ires e Iva indicate nella imputazione dalla sua veste di amministratore e di socio di numerose società facenti parte del gruppo gestito in via di fatto dal padre S.M., traendone, in modo logico, la prova della sua partecipazione al sistema illecito da questi ideato e organizzato (che contemplava la realizzazione di plurimi trasferimenti immobiliari mediante società intestate a prestanome e senza assolvere ai prescritti adempimenti Iva oppure occultando parte dei ricavi); è stata, inoltre, sempre al fine della dimostrazione della piena partecipazione del ricorrente a tale sistema illecito e della sua consapevolezza dello scopo delle condotte, sottolineata la piena conoscenza dei procedimenti penali relativi al padre, di cui il ricorrente si era detto informato; sono stati richiamati anche gli esiti delle intercettazioni di conversazioni tra il ricorrente e soggetti ritenuti prestanome del padre, dimostrative del suo pieno coinvolgimento nelle attività illecite di S.M., manifestatosi anche attraverso condotte gestorie e l’assunzione del ruolo di referente del padre con le banche, nonché le annotazioni presenti nel personal computer e nell’agenda del ricorrente, indicative di contatti con i vari prestanome delle società del gruppo e con i professionisti a vario titolo coinvolti nelle compravendite.
Di tale complesso di considerazioni, idonee a giustificare l’affermazione della piena e consapevole partecipazione del ricorrente alle condotte illecite (che non sono state negate nella loro oggettività), quest’ultimo ha proposto una censura tendente a dimostrarne l’inidoneità, che non contiene, però, l’indicazione di illogicità palesi o di valutazioni irrazionali o contrarie alle massime di comune esperienza, ma consiste nella asserzione della loro insufficienza a dimostrare detto consapevole coinvolgimento, ossia una critica della portata dimostrativa dei singoli elementi indiziari considerati, che si sostanzia, in realtà, nella richiesta di una loro lettura alternativa, da contrapporre a quella, non manifestamente illogica, dei giudici di merito, non consentita, alla luce dei ricordati limiti posti alla cognizione della Corte di cassazione, il cui controllo sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti, né all’apprezzamento del giudice di merito.
4. Il secondo motivo, relativo alla misura della pena, è inammissibile a causa della sua genericità e manifesta infondatezza.
Tale censura, infatti, risulta del tutto svincolata dalla vicenda in esame e dal trattamento sanzionatorio stabilito a carico dell’imputato, in relazione al quale non sono venute in considerazione circostanze aggravanti, che non risultano essere state contestate, né sono stati sollevati rilievi in ordine alle circostanze attenuanti generiche.
La misura della pena è stata ritenuta congrua dalla Corte d’appello in considerazione dell’ammontare delle imposte evase e delle modalità della condotta: si tratta di motivazione adeguata, essendo stata considerata quale base di computo una pena inferiore alla media edittale, non richiedente analitica motivazione, ed essendo state indicate le ragioni di valutazione di gravità del fatto, che il ricorrente ha censurato in modo generico e sul piano delle valutazioni di merito, dunque, anche a questo proposito, in modo non consentito nel giudizio di legittimità.
5. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione del contenuto non consentito e della manifesta infondatezza di entrambi i motivi cui è stato affidato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.