CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 19146 depositata il 17 maggio 2021
Reati tributari – Omessa dichiarazione – Soglia di punibilità – Responsabilità – Amministratore unico – Condanna
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
1. B.R. ha proposto ricorso avverso I’ ordinanza della Corte di Appello di Roma che dichiarava la inammissibilità dell’impugnazione avverso la sentenza del Tribunale di Frosinone di condanna alla pena di anni due di reclusione, per avere, in qualità di amministratore unico della T. s.r.l., omesso di presentare ex art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 la dichiarazione annuale obbligatoria ai fini dei redditi e dell’IVA relativa all’anno di imposta 2009, in ordine a ricavi pari a 6.274.320,11 euro, così evadendo una imposta IVA pari a 1.306.903,00 euro.
2. Con un primo motivo di doglianza lamenta il vizio di violazione di legge in ordine alla nullità del decreto di citazione per il giudizio di appello per mancata notifica all’imputato (contumace) dell’estratto contumaciale della sentenza di condanna di primo grado ex art. 178, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. Non emergendo ex actis che l’imputato abbia altrimenti avuto notizia della esistenza del provvedimento da impugnare, conseguirebbe la mancata decorrenza del termine per la proposizione della impugnazione la quale, a sua volta, travolgerebbe il decreto di citazione in appello e la decisione conseguente.
3. Con un secondo motivo deduce il vizio di violazione di legge per contraddittorietà, carenza e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la sentenza ha dichiarato la inammissibilità dell’appello proposto per genericità dei motivi, essendosi i motivi di impugnazione risoltisi in mere e generiche affermazioni.
Rileva, al contrario, che l’appello è stato funzionalmente correlato al capo della sentenza di primo grado relativo alla affermazione di penale responsabilità del prevenuto operata sulla base di una acritica e generica elencazione di prove senza dar conto dei criteri di valutazione adottati e delle ragioni di fatto e di diritto sulla cui base le prove sono state ritenute sufficienti.
Il Tribunale sarebbe infatti pervenuto alla condanna mediante una argomentazione squisitamente induttiva, determinando la imposta evasa sulla base di ricavi presunti e non analiticamente riportati nel provvedimento, senza aver tenuto conto dei costi di gestione dell’impresa evincibili dai documenti allegati. Inoltre, sul piano soggettivo, avrebbe ritenuto configurato il dolo specifico di evasione basandosi unicamente ed irragionevolmente sulla asserita entità della omessa dichiarazione ovvero sulla circostanza fattuale consistita nell’inadempimento, senza addurre elementi di fatto dai quali poter evincere la cosciente e preordinata omissione della dichiarazione stessa.
Si aggiunge che tanto più la Corte avrebbe dovuto valutare il merito, essendo maturata in un tempo antecedente alla fissazione del giudizio di secondo grado e, pertanto, alla emissione della ordinanza impugnata, la prescrizione del reato.
4. Il ricorso è inammissibile.
Manifestamente infondato il primo motivo di natura processuale, posto che, essendo stato l’imputato citato a giudizio in primo grado in data successiva all’entrata in vigore della I. n. 67 del 2014 di modifica dell’art. 548, comma 3, cod. proc. pen., la sentenza di primo grado, essendo egli assente, non doveva, in forza di tale previsione, comunque essergli notificata, è inammissibile il secondo, avente ad oggetto la declaratoria di inammissibilità dell’appello.
L’ordinanza impugnata ha valutato generico l’atto di appello, consistito esclusivamente nel lamentare non essere “emersa la prova con assoluta certezza della responsabilità del B.R. per il reato ascritto essendo state lacunose e contraddittorie le deposizioni dei testi escussi” senza ulteriori precisazioni. Di contro, il ricorso, dopo ampio richiamo ai principi giurisprudenziali in tema di motivazione della sentenza e di oneri di specificità dei motivi di impugnazione, ha unicamente invocato la “piena cognizione” caratterizzante i poteri del giudice d’appello che avrebbe dovuto condurre il giudice “al positivo apprezzamento delle argomentate circostanze sia in fatto che in diritto”, e, conseguentémente al rilievo, tanto più in presenza dei intervenuta prescrizione, di cause di assoluzione ex art. 530 cpv. cod. proc. pen.
Sennonché, sotto un primo versante, come si è già detto, l’atto di appello risulta caratterizzato, come colto anche dalla ordinanza impugnata, dalla mancata esplicitazione dei motivi e delle ragioni sorreggenti la richiesta di rivisitazione della pronuncia di primo grado (tale non essendo certo il mero, immotivato, enunciato della mancata emersione di prova certa) e dalla mancanza di rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, con conseguente corretta applicazione dell’art. 581 cod. proc. pen; sotto un secondo, poi, l’inammissibilità derivante da tale genericità non poteva che precludere alla Corte d’appello, in applicazione dei principi generali più volte espressi da questa Corte anche a Sezioni Unite, in ordine alla conseguente mancata regolare formazione del rapporto processuale, di rilevare la intervenuta prescrizione del reato (da ultimo, specificamente con riferimento al giudizio di appello, Sez. 5, n. 29225 del 04/06/2018, Triolo, Rv. 273370).
5. Il ricorso è pertanto inammissibile, a ciò seguendo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
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