CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 19163 depositata il 17 maggio 2021

Reati tributari – ONLUS – Somme percepite a titolo di finaziamento pubblico della regione per attività istituzionali – Somme esenti da tassazione e dall’obbligo di dichiarazione – Obbligo di contabilizzazione – Omissione – Dichiarazione infedele – Sequestro preventivo in forma diretta – Legittimità

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza in data 10.12.2020 il Tribunale di Salerno, adito in sede di appello cautelare, ha rigettato la richiesta svolta dalla Fondazione G.V. Onlus, in persona del legale rappresentante, di revoca del sequestro preventivo della somma di € 75.153,62, disposto in forma diretta ed eseguito sulle somme depositate sul conto corrente presso la Banca dei Comuni Cilentani intestato alla Fondazione sul quale a detta dell’istante confluivano gli accrediti provenienti dalla Regione Campania a titolo di finanziamento pubblico, ritenendo che la mancanza di contabilizzazione costituisse conferma del nesso di derivazione con il reato tributario di cui all’art. 4 d. Igs. 74/2000, avendo consentito l’evasione di imposta e la contestuale alterazione della contabilità.

2. Avverso il suddetto provvedimento la Fondazione in persona del legale rappresentante pro-tempore ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.

2.1. Con il primo motivo deduce che la confisca di somme di danaro depositate su conto corrente che ha sempre natura di confisca diretta, pur non richiedendo la dimostrazione del nesso di derivazione tra la somma sequestrata ed il supposto reato attesa la natura fungibile del denaro, non può tuttavia colpire somme che abbiano provenienza lecita e che quindi non possono derivare dal reato in contestazione, di talché, secondo quanto affermato dalla sentenza della Terza Sezione Penale del 30.10.2017 n. 8995, ove si abbia la prova che si tratti di importi che non derivino dal reato, gli stessi, non rappresentando il risultato della mancata decurtazione del patrimonio per effetto dell’omesso versamento di imposte e non essendo perciò qualificabili come profitto, non sono ab origine sottoponibili a sequestro.

Sostiene pertanto che, avendo la Fondazione istante assolto all’onere probatorio a suo carico mediante il deposito degli estratti del conto corrente bancario attestanti la provenienza di tutte le somme ivi giacenti dalla Regione Campania, da quest’ultima erogate a titolo di contributo per l’attività istituzionale svolta dall’ente destinatario, le somme apprese per effetto del disposto sequestro altro non fossero che i residui dei suddetti accrediti regionali, ovverosia importi del tutto estranei al reato contestato e che pertanto il diniego della rilevanza della prova fornita dall’istante integri il vizio di violazione di legge.

2.2. Con il secondo motivo lamenta la mancanza del fumus commissi delicti, inteso come accertamento concreto, basato sulla indicazione di elementi dimostrativi, sia pure sul solo piano indiziario, della sussistenza del reato ipotizzato, contestando l’affermazione del Tribunale secondo la quale il finanziamento ad opera della Regione avrebbe dovuto essere contabilizzato. Deduce, al contrario, che le Onlus, come la Fondazione ricorrente, godono del trattamento fiscale agevolato, essendo le relative attività istituzionali esentate ai sensi dell’art. 10 d. Igs. 460/1997 sia dalle imposte che dall’obbligo della dichiarazione, mentre le attività commerciali connesse alle attività istituzionali sono sottratte a tassazione ma devono essere dichiarate, occorrendo pertanto distinguere tra attività istituzionali ed attività connesse. Sostiene che, avendo dimostrato attraverso la documentazione prodotta che il contributo pubblico erogatole era stato utilizzato per la ristrutturazione dell’immobile sede della stessa Onlus (Palazzo Vargas) e dunque per la realizzazione dei suoi scopi istituzionali, circostanza peraltro ammessa dagli stessi giudici dell’appello cautelare, i suddetti contributi non erano soggetti ad imposizione fiscale, né dovevano essere dichiarati, essendo pertanto l’ordinanza impugnata, nel censurare l’omessa contabilizzazione delle somme presenti sul conto corrente “dedicato” agli accrediti regionali, incorsa nel vizio di violazione di legge atteso che trattavasi di importi che non dovevano essere contabilizzati al fine di essere recuperati a tassazione.

Considerato in diritto

1. Il secondo motivo, che, involgendo la provenienza delle somme accreditate sul conto corrente della Fondazione attinto dalla misura cautelare, risulta logicamente preliminare al primo, non può ritenersi fondato.

La distinzione operata dalla difesa tra attività istituzionali dell’ente, ovverosia prive di scopo di lucro, ed attività commerciali connesse, attraverso le quali la Onlus ricava fondi per la sua attività principale, le prime essendo esenti, così come stigmatizza il ricorso, sia dalle imposte che dall’obbligo della dichiarazione, e le seconde sottratte invece alla tassazione ma non dall’obbligo della dichiarazione fiscale, non rileva rispetto ai rilievi svolti dai giudici dell’appello cautelare, incentrati sulla mancata contabilizzazione delle somme transitate sul conto corrente attinto dal disposto sequestro. Anche a voler ritenere che su di esso confluissero esclusivamente le provvidenze di natura pubblica erogate dalla Regione Campania in favore della Onlus, con conseguente esclusione dei contributi destinati allo svolgimento di attività connesse, circostanza peraltro documentata attraverso la produzione degli estratti di conto corrente effettuata dall’istante, ciò non toglie tuttavia che si trattasse comunque di somme soggette all’obbligo di contabilizzazione, indipendentemente dal fatto che fossero esenti da tassazione e dall’obbligo della relativa dichiarazione fiscale.

Anche per gli enti che non svolgono attività commerciale sono, infatti, previsti dal d.P.R. 600/1973, recante disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi, specifici oneri di contabilizzazione.

Per quanto specificamente attiene alle Onlus, tale essendo la natura della Fondazione ricorrente, l’art. 20 bis del suddetto decreto dispone, peraltro a pena di decadenza di benefici fiscali per esse previsti, che debbano, in relazione all’attività complessivamente svolta (comprensiva, cioè, sia dell’attività istituzionale sia delle attività connesse), redigere scritture contabili cronologiche e sistematiche atte a esprimere con compiutezza e analiticità le operazioni poste in essere in ogni periodo di gestione, e rappresentare adeguatamente in un apposito documento, da redigere entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale, la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’organizzazione, distinguendo le attività direttamente connesse da quelle istituzionali (documento questo che coincide con il bilancio o rendiconto annuale, la cui redazione è altresì prevista dall’articolo 10, comma 1, lettera g, Dlgs 460/1997), con obbligo di conservare le stesse scritture e la relativa documentazione per un periodo non inferiore a quello indicato dall’articolo 22 del Dpr 600/1973, prevedendo comunque il terzo comma della disposizione in esame che tali obblighi si considerano assolti qualora la contabilità consti del libro giornale e del libro degli inventari, tenuti in conformità alle disposizioni di cui agli articoli 2216 e 2217 cod. civ.

Trattasi, in estrema sintesi, di una contabilizzazione che, ancorché semplificata rispetto alla disciplina imposta alle imprese commerciali – cui le medesime onlus devono uniformarsi in relazione alle attività direttamente connesse, in quanto considerate per natura commerciali -, implica comunque il rispetto di stringenti obblighi contabili, finalizzati a garantire trasparenza ed efficienza nella loro gestione a fronte delle rilevanti agevolazioni fiscali riconosciute a loro favore.

Correttamente pertanto il Tribunale salernitano ha rilevato come in assenza della suddetta contabilità, dalla quale soltanto sarebbe stato possibile verificare la destinazione effettiva dei contributi di natura pubblica accreditati alla Fondazione agli scopi per i quali erano stati erogati, anche le somme sul conto corrente oggetto della richiesta di revoca siano confluite nella ricostruzione della base imponibile sulla quale è stato compiuto il calcolo delle imposte evase: è proprio dalla mancata contabilizzazione che discende infatti la preclusione alla tracciabilità degli importi erogati dalla Regione Campania per le finalità istituzionali dell’ente, ed alla conseguente annoverabilità tanto degli accrediti quanto dei prelievi tra le operazioni non giustificate, dal momento che la circostanza che si trattasse di un conto corrente dedicato alle provvidenze di natura pubblica non vale a superare il mancato adempimento degli obblighi relativi alla loro contabilizzazione.

2. Da tali rilievi discende, a cascata, l’inammissibilità del primo motivo, in ragione della genericità delle doglianze articolate in ordine alla confiscabilità in via diretta del danaro depositato sul conto corrente sopra esaminato.

Al riguardo va chiarito che allorquando l’oggetto della misura cautelare reale sia il danaro, ovverosia un bene per sua natura fungibile destinato a confondersi con le consistenze di uguale natura facenti già parte del patrimonio del destinatario, il nesso di strumentalità intercorrente tra la res attinta dal vincolo ed il reato si modula diversamente a seconda che si tratti di sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta ovvero alla confisca per equivalente. Mentre nel primo caso la misura è diretta a colpire il bene che rappresenta il beneficio derivato al suo autore dal compimento dell’illecito, ovverosia il prezzo o il profitto, nel caso della confisca per equivalente, operante solo allorquando non sia possibile disporre quella diretta, l’agente viene privato di beni nella sua disponibilità economica che, senza alcuna pertinenzialità, con il delitto abbiano un valore pari al prezzo o al profitto dell’illecito.

Al fine di mantenere inalterata, quando si tratti di denaro, la ontologica differenza tra i due istituti, l’uno avente funzione prettamente cautelare, volta cioè ad impedire la protrazione degli effetti dell’illecito, e l’altro invece sanzionatoria, occorre tuttavia che nel caso del sequestro finalizzato alla confisca diretta il danaro colpito dalla misura sia configurabile come “profitto accrescitivo”, ovverosia che abbia ad oggetto somme già in possesso del destinatario vuoi materialmente, vuoi confluite sui conti correnti o sui depositi bancari allo stesso riconducibili al momento della commissione del reato o comunque del suo accertamento, essendo la relazione di strumentalità considerata in tal caso sussistente per effetto della naturale confusione del profitto derivante dal reato, collimante nei reati tributari con il “risparmio di spesa” determinato dalla violazione dell’obbligo fiscale, con le altre disponibilità economiche del reo (Sez. 6, n. 6816 del 29/01/2019 – dep. 12/02/2019, Sena, Rv. 275048; Sez. 3, n. 41104 del 12/07/2018 – dep. 24/09/2018, Vincenzini, Rv. 274307). Diversamente opinando, ovverosia prescindendo dal tempo della maturazione del credito e quindi ammettendo che il vincolo reale possa estendersi anche ad importi di danaro indistintamente accreditati sui conti o confluiti nei depositi bancari dell’autore del reato anche successivamente alla commissione del reato, si perverrebbe invece a confondere la confisca diretta in quella per equivalente, finendosi con l’includere tra i beni confiscabili in via diretta somme del tutto sganciate, dal punto di vista logico e cronologico, dal profitto derivato dall’illecito.

Ne consegue, per converso, che se è sempre legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, senza che sia necessaria la dimostrazione del nesso di derivazione delle somme di danaro presenti sui conti correnti o sui depositi bancari riconducibili all’indagato al momento della commissione del delitto, invece per le somme di valore corrispondente entrate a far parte del suo patrimonio in un momento successivo occorre dimostrare che esse siano in qualche modo collegabili al reato e dunque ad esso legate da un rapporto di derivazione anche indiretta (cfr. in motivazione Sez. 6, n. 6816 del 29/01/2019, Rv. 275048 cit.). In definitiva, la natura fungibile del denaro non è sufficiente in questi casi a qualificare di per sé come “profitto” l’oggetto del sequestro, essendo necessario anche provare che la disponibilità della somma successivamente sequestrata costituisca essa stessa risparmio di spesa conseguito con il mancato versamento dell’imposta o che si tratti di liquidità rimasta nella disponibilità del contribuente.

La distinzione tra il profitto accrescitivo, relativo cioè alle somme già presenti sul conto corrente al momento dell’accertamento del reato, e le somme ivi confluite successivamente non ha tuttavia ragion d’essere nel caso di specie posto che gli importi attinti dal disposto sequestro sono costituiti, per ammissione dello stesso ricorrente, dai residui, ammontanti a € 75.163,62, dei contributi erogatigli dalla Regione nel dicembre 2012 nella misura di € 349.493,99 ed € 1.048,481,64.

Dal momento che, come sopra rilevato, le operazioni effettuate sul suddetto conto corrente non possono ritenersi giustificate in assenza della necessaria contabilizzazione, la loro provenienza, peraltro di gran lunga antecedente al reato di cui all’art. 4 d. Igs. 74/2000 oggetto di contestazione, perde di rilevanza, dovendosi ritenere che le stesse facessero parte a pieno titolo del profitto, inteso quale risparmio di spesa, derivante dal delitto presupposto.

Va infatti precisato che per accertare se il denaro costituisce profitto del reato e sia quindi aggredibile in via diretta, è necessario fare riferimento esclusivamente alle disponibilità liquide giacenti sui conti del contribuente al momento della scadenza del termine previsto per il pagamento del debito tributario, avuto riguardo ovviamente non all’identità fisica delle somme, ma al loro valore numerario, che potrà essere oggetto di sequestro (e poi di confisca) in via diretta, se di segno positivo sia al momento della scadenza del termine per il versamento dell’imposta, che del sequestro, non potendo invece considerarsi “diretto” per la parte eccedente il saldo alla data della scadenza del termine di pagamento, anche se non corrispondente all’ammontare dell’imposta evasa (Sez. 3, n. 6348 del 04/10/2018 – dep. 11/02/2019, Torelli, Rv. 274859).

Deve perciò ritenersi che le somme attinte dal vincolo reale, in quanto giacenti sul conto corrente intestato all’ente alla data di commissione del contestato reato, e per l’effetto entrate a far parte, per confusione, del vantaggio economico ottenuto dall’indagato dalla commissione dell’illecito tributario, consentano di ritenere il sequestro finalizzato alla confisca diretta legittimamente eseguito nei confronti della Fondazione ricorrente, senza che, non essendo stato il patrimonio di quest’ultima intaccato in misura eccedente il pretium sceleris, né valendo gli estratti del conto corrente bancario prodotti, attestanti introiti e prelievi non contabilizzati, ad escluderne la natura di profitto, sussistano i presupposti per la sua revoca.

Il ricorso deve in conclusione essere rigettato, seguendo a tale esito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ex art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.