Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 20153 depositata il 21 maggio 2024

bancarotta impropria – amministratore senza deleghe – effettiva conoscenza

RITENUTO IN FATTO

1. L’ordinanza impugnata è stata emessa dal Tribunale del riesame di Genova che, pronunziando sull’appello presentato nell’interesse di M.C., ha annullato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova che gli aveva applicato la misura cautelare interdittiva del divieto di esercitare la professione di commercialista e l’attività di impresa e di rivestire uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per la durata di dodici mesi, siccome ritenuto gravemente indiziato di diverse condotte di bancarotta Corte di Cassazione – copia non ufficiale impropria da false comunicazioni sociali, commesse quale componente del consiglio di amministrazione –  dal primo dicembre 2016 al 9 agosto 2018 – della A. s.p.a., dichiarata fallita dal Tribunale di Genova il 20 settembre 2019.

L’addebito, come sviluppato dal Giudice per le indagini preliminari, riguarda varie condotte di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali, consistenti nella mancata o, comunque, inesatta contabilizzazione di altrettante condotte depauperative (oggetto di altri addebiti, ascritti provvisoriamente ex art. 216 legge fall. al solo Presidente del consiglio di amministrazione A.C.), contabilizzazione che, ove avvenuta in maniera corretta, avrebbe disvelato la criticità della situazione economico-patrimoniale della A. s.p.a. ed avrebbe determinato l’esigenza di assumere i provvedimenti consequenziali per la ricapitalizzazione della società.

L’annullamento del Tribunale del riesame, per carenza di gravità indiziaria, fonda essenzialmente sul ritenuto deficit dimostrativo in ordine al coefficiente soggettivo del reato in capo a M.C.; il Collegio della cautela, in particolare, ha escluso che fosse dimostrato, sia pure nei termini richiesti in sede cautelare, che M.C. fosse consapevole delle operazioni depauperative commesse dagli altri indagati ai danni della A. s.p.a. – operazioni non indicate in maniera corretta nei bilanci degli anni 2016 e 2017, che così erano falsati – ovvero che avesse percepito o dovuto percepire segnali di allarme concernenti dette operazioni, che lo avessero posto in una condizione di volontaria sottrazione ai doveri connessi alla carica rivestita quanto, nella specie, alla annotazione nei bilanci di cui sopra delle perdite legate alle attività predatorie compiute ai danni della società.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il pubblico ministero presso il Tribunale di Genova, secondo argomentazioni di seguito sintetizzate nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

L’unico motivo di ricorso lamenta manifesta illogicità della motivazione ed è suddiviso in ragione dei capi di imputazione.

Va premesso, per dovere di sintesi, che la prima parte del ricorso è contrassegnata da uno schema ricorrente: la suddivisione per sezioni in ragione dei capi di imputazione, all’interno delle quali vi è prima la trascrizione del capo di imputazione, poi il sunto delle argomentazioni del Giudice per le indagini preliminari sullo specifico addebito e poi la critica del pubblico ministero alla decisione del Tribunale del riesame, critica cui esclusivamente si riferiscono sottoparagrafi che seguono.

Altra precisazione preliminare – utile a evitare ripetizioni – attiene al fatto che, per ciascuno dei reati cui si riferisce l’impugnativa del pubblico ministero, questi ha segnalato una serie di fonti di conoscenza delle anomalie gestionali che avrebbero dovuto mettere in allarme M.C.: tra queste compaiono sempre, da una parte, i bilanci e le relative note integrative, dall’altra, la partecipazione dell’indagato alle assemblee dei soci e alle riunioni del consiglio di amministrazione.

2.1 Oltre a questi argomenti ricorrenti, che non saranno ulteriormente riportati nell’illustrazione dei motivi di ricorso, salvo quando essi si accompagnino alla segnalazione di dati specifici, il pubblico ministero ha osservato quanto di seguito indicato.

2.1.1 Circa il reato di cui al capo 18 (la bancarotta da false comunicazioni sociali di cui ai bilanci al 31 dicembre 2016 e al 31 dicembre 2017, relativa al finanziamento fruttifero concesso dalla fallita a Fid Investment r.l.), il pubblico ministero ha segnalato che, dall’esame dei bilanci di verifica della A. s.p.a. al 31 dicembre 2016 e al 31 dicembre 2017, nelle attività dello stato patrimoniale, era indicato il finanziamento verso Fid Investment per 600.000 euro; nel bilancio di verifica al 31 dicembre 2018, invece, il finanziamento era riportato nelle attività dello stato patrimoniale per soli 30.000 euro, mentre nei costi del conto profitti e perdite veniva evidenziato un importo pari a 570.000 euro quale “perdite su crediti diversi”. Tanto – assume la parte ricorrente – evidenzia che, se M.C. avesse svolto adeguatamente i propri compiti e avesse prestato la doverosa attenzione ai segnali di allarme –  invece dolosamente ignorati -, non avrebbe contributo all’approvazione di bilanci non veritieri per il periodo in cui era in carica.

2.1.2 In ordine al reato di cui al capo 13 (la bancarotta da false comunicazioni sociali contenute nei bilanci 2016, 2017 e 2018 relativa ad una serie di operazioni con A. Group s.p.a.), il pubblico ministero sostiene che M.C., data la stretta collaborazione con A.C., non poteva ignorare che la A. Group era posseduta al 100 % da quest’ultimo e che, nelle informazioni sulle operazioni con parti correlate contenute nella nota integrativa al bilancio della A. p.a. al 31 dicembre 2017, erano indicati:

      • il preliminare di vendita dell’immobile di via Dassori;
      • crediti per operazioni varie per 5800 euro;
      • crediti per cessione partecipazione Ax.a r.l.;
      • credito per cessione partecipazione in M. s.r.l.;
      • credito per cessione partecipazione A.A. s.p.a.;
      • debiti per prestazioni varie.

Il pubblico ministero segnala, ancora, che, nella sezione sulle operazioni con parti correlate della nota integrativa al bilancio al 31 dicembre 2018, risultava che il preliminare stipulato con A. Group era stato annullato il 20 agosto 2018 e che il credito era stato stralciato a sopravvenienza passiva.

Tutto questo dimostrerebbe che i segnali di criticità erano presenti già negli anni precedenti e che l’indagato ne era consapevole.

2.1.3 Quanto al  reato  di  cui  al  capo  14  (la  bancarotta  da  false comunicazioni sociali contenute nei bilanci 2016, 2017 e 2018 relative a operazioni avvenute con la Anchor s.r.l.), il pubblico ministero osserva che, oltre a quanto doveva emergere dalle “solite” fonti di conoscenza, un altro indizio delle anomalie doveva derivare dal fatto che la Anchor era posseduta al 100 % da A.C.. Le operazioni –  prosegue il pubblico ministero –  erano indicate nella nota integrativa al bilancio al 31 dicembre 2017 come avvenute con parti correlate, per cui M.C. doveva averne avuto conoscenza.

2.1.4 Anche quanto al reato di cui al capo 15 (la bancarotta da false comunicazioni sociali contenute nei bilanci 2016, 2017 e 2018 relative a operazioni avvenute con la Ax.a r.l.) – sostiene il pubblico ministero – M.C.  doveva ritenersi gravemente indiziato perché  era  sicuramente    a conoscenza che Ax.a era posseduta al 60 % da A. Group s.r.l. e al 40 % da Ambra s.r.l. e, pertanto, da A.C., a nulla rilevando che egli rivestisse la carica di mero direttore tecnico.

2.1.5 Riguardo al reato di cui al capo 16 (la bancarotta da false comunicazioni sociali contenute nei bilanci 2016 2017 e 2018 relative a operazioni avvenute con la Ambra r.l.), il pubblico ministero sottolinea che M.C. doveva sapere che Ambra era posseduta all’82 % da A. Group s.r.l. e al 18 % da A.C., data la stretta collaborazione con quest’ultimo. Inoltre, nella nota integrativa al bilancio al 31 dicembre 2016, nella sezione relativa alle operazioni con parti correlate, risultava che la fallita aveva effettuato acquisti per conto di Ambra (che non aveva ancora un ufficio acquisti) e, nella analoga sezione della nota al bilancio al 31 dicembre 2017, risultavano altre informazioni relative ai rapporti della fallita con quest’ultima.

2.1.6 Quanto al reato di cui al capo 17 (la bancarotta da false comunicazioni sociali contenute nei bilanci 2016, 2017 e 2018 relative a operazioni avvenute con A.C.), il pubblico ministero osserva che, vista la stretta collaborazione con A.C., M.C. evidentemente sapeva che l’immobile di via Francesco Pozzo era il luogo dove la Ambra svolgeva il commercio al dettaglio di abbigliamento e che i crediti della A. s.p.a. verso A.C. erano stati girocontati al 31 dicembre 2016, erano rimasti invariati nel 2017 e nel 2018 ed erano  stati poi azzerati  con  la  rilevazione  di una sopravvenienza passiva. Informazioni concernenti le operazioni – conclude sul punto la parte pubblica ricorrente – erano contenute nella nota integrativa al bilancio al 31 dicembre 2017.

2.1.7 Con riferimento al reato di cui al capo 20 (la bancarotta da false comunicazioni sociali contenute nei bilanci 2016, 2017 e 2018 e relative a operazioni avvenute con la A.A. s.p.a.), il pubblico ministero rimarca che non sarebbe liberatoria la circostanza che M.C. avesse dismesso l’incarico nel giugno 2018, giacché le battute più eclatanti delle operazioni illecite si erano avute quando egli era ancora in carica. Il ricorrente sottolinea, inoltre, che le operazioni con la A.A. risultavano annotate nella sezione relativa alle operazioni con parti correlate del bilancio al 31 dicembre 2017 e che la problematica del cantiere di via Montallegro si sarebbe potuta evincere anche tramite i mezzi di informazione, come dimostrerebbe lo stralcio di un articolo pubblicato sul quotidiano “il Secolo XIX”.

2.1.8 Quanto al reato di cui al capo 23 (la bancarotta da false comunicazioni sociali contenute nei bilanci 2016, 2017 e 2018 relative a operazioni avvenute con la I.G. s.r.l.), il pubblico ministero osserva, in primo luogo, che M.C. doveva conoscere le vicende della A. perché era creditore della medesima società per 171.000 euro, quale residuo del prezzo pagato dalla A. s.p.a. per la cessione, da parte sua, delle quote della G.I. s.r.l. In secondo luogo, oltre a ricordare le consuete fonti di conoscenza, la parte pubblica ricorrente assume che M.C., vista la stretta collaborazione con A.C. e la fusione tra A. s.p.a. e G.I., doveva conoscere i rapporti con G.G. (amministratore unico della G.G., detentore della I.G.) e doveva essere a conoscenza che l’attività di via Bosio era sostanzialmente ferma a causa delle vicende che avevano interessato la “G.G. s.r.l.”

2.2 A seguire, il pubblico ministero, a confutazione della proposizione dell’ordinanza impugnata secondo cui, prima del 2018, non vi erano verbali di riunioni cui avesse partecipato M.C. o di cui dovesse essere a conoscenza, che evidenziavano segnali di allarme, riporta il sunto del contenuto di alcuni di essi, da cui emergerebbero criticità non solo nel pagamento delle imposte; si tratta, in particolare:

  • dei verbali delle riunioni del Collegio sindacale del 16 febbraio 2017, del 10 maggio 2017, del 27 luglio 2017, del 24 ottobre 2017, del 7 maggio 2018 e del 15 gennaio 2018,
  • dei verbali delle riunioni del consiglio di amministrazione del 29 marzo 2017, del 10 maggio 2017, del 28 settembre 2017, del 28 marzo 2018, del 7 maggio 2018 e del 5 giugno 2018,
  • dei verbali dell’assemblea dei soci del 25 maggio 2017, del 28 marzo 2018, del 5 giugno 2018 e del 3 luglio 2018
  • della comunicazione del 5 giugno 2018 di dimissione dei membri del Collegio sindacale.
  • Un’altra parte del ricorso è diretta alla smentita di alcune specifiche affermazioni del Tribunale del riesame.

In particolare, a confutazione della conclusione del Tribunale del riesame circa il ruolo esclusivamente tecnico di M.C. nella A. s.p.a., il pubblico ministero ricorrente assume che l’indagato avrebbe partecipato alla vita della società negli anni in cui A.C. imperversava, prendendo parte alle varie riunioni in cui erano emerse criticità; e che, nel medesimo periodo, aveva ignorato tutti i segnali di allarme che testimoniavano il drenaggio di risorse dalla A. s.p.a. verso A.C. e le società a lui collegate e non aveva assunto le iniziative previste dal codice civile.

Ancora, il pubblico ministero ricorrente, dopo aver ancora indugiato sui principi individuati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di responsabilità dell’amministratore senza delega, sottolinea che M.C. aveva comunque interessi economici nella A. s.p.a., legati alla cessione del pacchetto G.I., e che non è un soggetto sprovveduto come dipinto dalla difesa e dal Tribunale del riesame, aggiungendo che, anzi, egli aveva il dovere, una volta assunta la carica di amministratore, di seguire e vigilare sulle vicende della società, ricordando altresì che egli aveva amministrato la A. s.p.a. per oltre due anni e che l’aveva lasciata, guarda caso, pochi mesi prima che la situazione precipitasse. Non sarebbe liberatoria neanche la relazione del revisore legale della società internazionale Deloitte & Touche perché si tratta di soggetto implicato negli illeciti.

CONSIDERATO IN DIRITTO 

Il ricorso del pubblico ministero è inammissibile.

1. Onde chiarire le ragioni della decisione odierna, appare, in primo luogo, essenziale ricordare come sia strutturato l’addebito cautelare.

Esso riguarda varie condotte di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali, consistenti nell’avere occultato, nei bilanci 2015, 2016 e 2017 (e 2018), le perdite derivanti da plurime condotte depauperative (oggetto di altri addebiti, ascritti provvisoriamente ex art. 216 legge fall. al solo Presidente del consiglio di amministrazione A.C.), perdite che, ove annotate per quello che erano –  e non dietro le mentite spoglie di operazioni apparentemente regolari – avrebbero disvelato la criticità della situazione economico­ patrimoniale della A. s.p.a. ed avrebbero determinato l’esigenza di assumere i provvedimenti consequenziali per la ricapitalizzazione della società. Il Collegio deve, a questo riguardo, osservare che la formulazione dei capi di imputazione non è chiarissima, poiché essa vede intrecciarsi l’indicazione di condotte depauperative a quella della mancata annotazione o della dissimulazione di perdite nei bilanci; tanto equivoche sono le contestazioni provvisorie ipotizzate dal pubblico ministero da avere condotto il Collegio de libertate alla conclusione che mancasse addirittura l’indicazione di quali fossero i fatti non rispondenti al vero indicati nei bilanci di esercizio e a concentrare quindi l’attenzione, più che sui capi di imputazione, sul costrutto del Giudice per le indagini preliminari.

M.C. è chiamato a rispondere delle bancarotte di cui ai capi 13), 14), 15), 16), 17), 18), 20) e 23) quale consigliere di amministrazione della A. s.p.a., munito di una delega limitata alla gestione dei contratti di appalto di lavori e di manutenzione della società.

2. L’annullamento del Tribunale dell’appello cautelare, per carenza di gravità indiziaria, fonda essenzialmente sul ritenuto deficit dimostrativo in ordine al coefficiente soggettivo del reato in capo a M.C.. Il Collegio della cautela, in particolare, posta l’assoluta centralità negli illeciti della figura del Presidente del consiglio di amministrazione di A. p.a. A.C. [definito «dominus assoluto della fallita (e delle altre società ad essa collegate)»], ha escluso che fosse dimostrato, sia pure nei termini richiesti in sede cautelare, che M.C. fosse consapevole delle operazioni depauperative commesse ai danni della A. s.p.a. ovvero che avesse percepito o dovuto percepire segnali di allarme concernenti dette operazioni, che lo avessero posto in una condizione di volontaria sottrazione ai doveri connessi alla carica rivestita quanto alla – mancata – annotazione nei bilanci di cui sopra delle perdite legate alle attività predatorie compiute ai danni della società.

L’ordinanza, in particolare, dopo una premessa corretta in diritto circa compiti e i doveri dell’amministratore senza delega, ha valorizzato la circostanza che l’indagato avesse una delega specifica e circoscritta, attinente a compiti squisitamente operativi, e che fosse l’unico amministratore che non aveva cointeressenze o ruoli in altre società della galassia A.C., concludendo circa l’assenza di prova della conoscenza diretta delle distrazioni e/o di segnali d’allarme.

3. Prima di valutare se la scelta del Tribunale del riesame sia corretta in diritto e logicamente giustificata, il Collegio deve innanzitutto rilevare che la struttura stessa dell’addebito e la stretta correlazione tra attività depauperative e omessa esposizione in bilancio delle stesse – in cui in definitiva si concreta il mendacio – vede un’intima connessione tra la dimostrazione del dolo delle spoliazioni e la prova del dolo delle omesse annotazioni; ne consegue che il Collegio cautelare si è correttamente chiesto, prima di tutto, se M.C. conoscesse le condotte predatorie della cui omessa contabilizzazione si discute e, quindi, se, nell’approvare i progetti di bilancio ove esse non erano annotate, fosse animato dal dolo generico avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio. Per come concepito l’addebito a carico di M.C., infatti, la coscienza circa le distrazioni è una precondizione, l’assenza della quale ha reso superfluo approfondire l’esame dei “livelli” del dolo richiesto per la bancarotta da false comunicazioni sociali [sul dolo “trilivello” del reato di cui all’art. 223, comma 2, n. 1), legge fall., cfr. Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, Coatti, Rv. 268673, secondo cui l’elemento soggettivo della bancarotta impropria da reato societario presenta «una struttura complessa comprendendo il dolo generico (avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio), il dolo specifico (profitto ingiusto) ed il dolo intenzionale di inganno dei destinatari»]. 

4. Se il punto cruciale del ragionamento del Collegio della cautela e del ricorso del pubblico ministero è, dunque, la consapevolezza di M.C. circa il mendacio e se tale consapevolezza passa attraverso la verifica di quella dell’esistenza delle distrazioni taciute o dissimulate nei bilanci, allora un altro doveroso passaggio preliminare è quello di ricostruire, sia pur brevemente, gli approdi di questa Corte sul tema del versante soggettivo della responsabilità dell’amministratore senza delega, tale potendo ritenersi M.C. ancorché munito di delega per alcune attività, delega, tuttavia, non concernente l’ambito interessato dalle distrazioni.

A tale riguardo, può affermarsi che la giurisprudenza di questa Corte – che il Collegio condivide e da cui non intende discostarsi – salvo qualche incertezza in tempi più risalenti, negli ultimi anni si è attestata su un’esegesi particolarmente rigorosa quanto alla responsabilità dell’amministratore senza delega e, in particolare, ai criteri in base ai quali ritenerlo consapevole e, quindi, responsabile di attività predatorie ai danni della società amministrata, commesse dall’amministratore munito di delega. Quello che oggi si richiede per ritenere dimostrato il dolo della distrazione in capo all’amministratore senza delega è che questi abbia “effettiva conoscenza” di fatti predatori ovvero di segnali di allarme di questi ultimi e non che le anomalie siano semplicemente “conoscibili”.

In questo senso va innanzitutto ricordato il recente approdo di Sez. 5, n. 33582 del 13/06/2022, Benassi, Rv. 284175, secondo cui «in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, il concorso per omesso impedimento dell’evento dell’amministratore privo di delega è configurabile quando, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle condotte illecite tenute dai consiglieri operativi in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova, da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai quali desumere, secondo i criteri propri del dolo eventuale, l’accettazione del rischio del verificarsi dell’evento illecito e, dall’altro, della volontà, nella forma del dolo indiretto, di non attivarsi per scongiurare detto evento, dovendosi infine accertare, sulla base di un giudizio prognostico controfattuale, la sussistenza del nesso causale tra le contestate omissioni e le condotte delittuose ascritte agli amministratori con delega». La pronunzia, in particolare, ha preso in esame la figura dell’amministratore senza delega alla luce della riforma del diritto societario, evidenziando come questi non abbia più un generale obbligo di vigilanza sulla gestione attuata dagli organi delegati, ma, ai sensi dell’art. 2381, comma 6, cod. civ., un dovere di agire informato e di chiedere ragguagli al consiglio di amministrazione, dovere che si attualizza laddove vi sia la conoscenza o di fatti nocivi per la società oppure di indicatori di anomalie che riconducano ad attività nocive.

Tale pronunzia si pone sulla scia di altre decisioni che, per quanto di specifico interesse in questa sede, hanno sottolineato come la responsabilità dell’amministratore senza delega non possa prescindere dall’effettiva conoscenza dei fatti depauperativi o di segnali di allarme – inequivocabili – che ad essi riconducano e che siano stati volontariamente ignorati, scongiurando, così il rischio di un addebito del reato a titolo di colpa (per inettitudine, incapacità o imprudente fiducia nell’agire dell’organo delegato) o, addirittura, di responsabilità oggettiva da posizione (Sez. 1, n. 14783 del 09/03/2018, Lubrina e altri, Rv. 272614; Sez. 5, n. 42519 del 08/06/2012, Bonvino e altri, Rv. 253765; Sez. 5, n. 42568 del 19/06/2018, E. Rv. 273925; Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi e altri, Rv. 261938; Sez. 5 n. 21581 del 28/04/2009, Mare, Rv. 243889; Sez. 5, n. 23000 del 05/10/2012, dep. 2013, Berlucchi, Rv. 256939, concernente proprio la bancarotta impropria da reato societario; Sez. 5, n. 42519 del 08/06/2012, Bonvino, Rv. 253765)

Nella sentenza Tanzi, in particolare, oltre ad essere stato delineato il concetto di “segnale di allarme” – con la puntualizzazione che esso deve essere “conosciuto” e non meramente “conoscibile” e che deve essere eloquente della situazione critica sottesa –  si è anche rimarcato il limite dello scrutinio di legittimità sulle valutazioni del Giudice di merito circa la responsabilità dell’amministratore senza delega in rapporto, appunto, alla conoscenza degli indicatori suddetti e al loro grado di significatività e di intellegibilità. «E’ dalla conoscenza dei segnali di allarme, intesi come momenti rivelatori, con qualche grado di congruenza, secondo massime di esperienza o criteri di valutazione professionale, del pericolo dell’evento» – così la pronunzia in discorso –  «che può desumersi la prova della ricorrenza della rappresentazione dell’evento da parte di chi è tenuto per la posizione di garanzia assegnatagli dall’ordinamento ad uno specifico devoir d’alerte ( che include in sè anche l’obbligo di una più pregnante sensibilità percettiva, oltre che il dovere di ostacolare l’accadimento dannoso). La sentenza richiamata ha anche precisato che «questa dimostrazione deve inquadrarsi nel bagaglio di esperienza e cognizione professionale proprio del preposto alla posizione di garanzia, la cui valutazione in rapporto al sintomo allarmante deve esplicarsi in concreto, volta per volta: dal che consegue che la convinzione di questa percezione e del relativo grado di potenzialità informativa del fatto percepito, è rimessa alla valutazione del giudice di merito, insuscettibile di censura se accompagnata da adeguata giustificazione».

5. Ferma la delineata cornice teorica, il Collegio deve, in primo luogo, rilevare come il Tribunale del riesame si sia mosso al suo interno, secondo un approccio corretto alla valutazione del coinvolgimento soggettivo dell’indagato nel falso in bilancio sotteso alla bancarotta impropria di cui è chiamato a rispondere in sede cautelare, evidenziando una serie di dati di fatto che escludono, in questa fase, la sussistenza di gravi indizi circa la consapevolezza di M.C. delle sottrazioni di A.C. e degli altri concorrenti o la percezione, da parte sua, di anomalie tali da imporgli un’attivazione che non vi era stata allorché si era trattato di riversare nei bilanci i risultati di tali operazioni.

La parte pubblica ricorrente, dal canto suo, ha sviluppato corpose considerazioni critiche, che, tuttavia, hanno i limiti, insuperabili, di sconfinare nel merito, di essere aspecifiche rispetto alle argomentazioni del Collegio della cautela e di essere altresì manifestamente infondate.

5.1 Il difetto del ricorso più immediatamente percepibile è quello di essere versato in fatto.

La parte, infatti, indugia reiteratamente su esiti investigativi e su circostanze di fatto – talvolta non comprensibili – e cita documenti vari da cui pretenderebbe di trarre la dimostrazione del consapevole coinvolgimento di M.C. negli addebiti. Questa impostazione non è consentita in questa sede, dal momento che essa comporterebbe la necessità che questa Corte, atti alla mano, svolgesse un nuovo scrutinio di merito, esorbitando, così, da limiti del giudizio di legittimità. A questo proposito, occorre ricordare che, secondo l’esegesi di questa Corte, anche a Sezioni Unite, nel giudizio di legittimità non è consentito invocare una valutazione o rivalutazione degli elementi probatori al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali; l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha, infatti, un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali, se non, in quest’ultimo caso, nelle ipotesi di errore del giudice nella lettura degli atti interni del giudizio denunciabile, sempre nel rispetto della catena devolutiva, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), ultima parte, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, Polito, Rv. 279005, in motivazione; Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibé, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).

A quest’ultima notazione giurisprudenziale si collega un’altra ragione di inammissibilità, che vede il ricorso portatore di una lettura alternativa delle fonti indiziarie. Il pubblico ministero ricorrente, infatti, nel vaglio circa la coscienza dei segnali di allarme in capo a M.C., pretende di neutralizzare il portato di rassicurazione sulla correttezza dei bilanci che il Tribunale del riesame ha ritenuto potesse provenire dalle relazioni della società esterna di revisione contabile Deloitte & Touche s.p.a. sulla sola scorta della circostanza che anche il suo redattore – Carlo Laganà – è indagato, in definitiva sostenendo che i due sarebbero stati entrambi ingranaggi coscienti del meccanismo illecito. La lettura secondo  cui  M.C.  e  Laganà  fossero  correi,  l’uno  nell’attestare consapevolmente il falso nelle relazioni, l’altro nel contribuire altrettanto consapevolmente all’approvazione di progetti di bilancio non veritieri, è, infatti, possibile, ma non costituisce una critica ammissibile in questa sede, perché si risolve nell’opporre, a quella del Tribunale de libertate, una ricostruzione alternativa degli eventi. Non vi è spazio, infatti, nel giudizio dinanzi a questa Corte, per l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; pronunzia che trova precedenti conformi in Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, Cugliari, Rv. 233780; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).

5.2 Venendo al difetto di specificità del ricorso, il Tribunale del riesame ha ragionato su più dati di fatto, reputandoli indicativi quantomeno della peculiarità della posizione di M.C. rispetto a quella degli altri soggetti coinvolti, che lo hanno indotto ad escludere la necessaria gravità indiziaria.

Il ricorso non si è confrontato con tali passaggi, seguendo un proprio percorso critico e disattendendo il principio ormai pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, ribadito anche da Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268823, secondo cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.

Innanzitutto si osserva che il ricorso si attarda, più volte, anche sul contenuto del bilancio al 31 dicembre 2018 e della sua nota integrativa, senza avvedersi che M.C. ha rassegnato le proprie dimissioni il 20 giugno 2018 (formalizzate il 9 agosto 2018), quindi egli non ha né approvato il progetto di bilancio al 31 dicembre 2018 né ha avuto la possibilità, prima di dimettersi, di leggere il bilancio 2018 e la relativa nota integrativa e di ricavarne, come preteso, la percezione di segnali di allarme.

A seguire, il pubblico ministero ricorrente non ha contrastato l’ordito argomentativo dell’ordinanza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha sottolineato che la tesi dell’inconsapevolezza di M.C. rispetto alle distrazioni cui corrispondono le annotazioni o le mancate annotazioni “incriminate” è coerente con la circostanza che A.C. era –  come già accennato –  il «dominus assoluto» delle operazioni e delle società coinvolte e l’unico a beneficiare delle spoliazioni, donde egli aveva tutto l’interesse a nasconderle a terzi.

Ancora, nulla si legge nel ricorso quanto all’altro argomento valorizzato dal Tribunale del riesame nel senso dell’estraneità dell’indagato al circuito di interessi che muoveva A.C., vale a dire che M.C. era l’unico, tra i componenti del consiglio di amministrazione, non investito di cariche anche nelle altre società della galassia A.C..

Non solo: nell’evocare ripetutamente verbali di assemblee dei soci e di riunione del consiglio di amministrazione, il ricorrente ha però trascurato di controbattere ad un’osservazione molto significativa del Tribunale del riesame, che  ha  valorizzato  in  bonam  partem  la  circostanza  che  le  relazioni  di accompagnamento ai bilanci dei sindaci (e finanche la relazione finale all’atto delle dimissioni di questi ultimi) non avevano mai evidenziato criticità quanto alla genuinità dei bilanci e, nelle riunioni cui M.C. aveva partecipato, non erano emersi indicatori di una gestione illecita della società; salvo una difficoltà nel pagamento delle imposte e dei contributi, che è però tema diverso da quello delle attività depauperative oggetto delle falsità in bilancio di cui si discute.

Quanto, in particolare, all’operazione con FID investment, il pubblico ministero ricorrente non tiene in considerazione che essa – come rimarcato dal Tribunale del riesame –  era antecedente all’ingresso di M.C. nella A. s.p.a. e che la situazione della FID poteva essere conosciuta solo grazie all’atto costitutivo e al bilancio, entrambi non in possesso dell’indagato.

Per concludere sugli indicatori di aspecificità del ricorso, il Collegio deve rilevare altresì che la parte ricorrente non controbatte neanche all’osservazione di chiusura che si legge nel provvedimento impugnato, secondo la quale, nell’attività ordinaria cui M.C. ha partecipato, questi non aveva a disposizione l’intera documentazione contabile della A. s.p.a. da cui potesse evincersi l’esistenza delle spoliazioni.

5.3 Vi è, poi, un argomento di censura ricorrente nell’impugnativa che deve reputarsi manifestamente infondato o, comunque, generico.

Ci si riferisce a quello secondo cui, dalle note integrative ai bilanci che l’indagato conosceva, poteva trarsi la prova della sua consapevolezza circa l’esistenza di segnali di allarme riguardo la natura distrattiva di talune attività (e, di conseguenza, circa la non rispondenza al vero delle relative annotazioni nei bilanci) perché vi erano indicate le operazioni con parti correlate. Ora, salvo che da tali indicazioni emergesse con chiarezza anche la natura depauperativa degli affari con parti correlate (dato non precisato dal pubblico ministero), l’argomentazione non ha pregio, giacché la sola circostanza che un’operazione sia con parte correlata e sia indicata in nota integrativa ai sensi dell’art. 2427, comma 1, n. 22-bis, cod. civ. non è di per sé elemento da cui poter trarre l’evidenza della sua natura spoliativa.

Per tutte queste considerazioni, come anticipato, il ricorso del pubblico ministero deve essere respinto. 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del pubblico ministero.