CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 20725 depositata il 10 maggio 2018
Omesso il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali – Riduzione del fatturato – Dolo generico – Accertamento
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 27/4/2017, la Corte di appello di Bologna confermava la pronuncia emessa il 23/3/2016 dal Tribunale di Piacenza, con la quale C.M. era stato giudicato colpevole del reato di cui all’art. 2, comma 1-bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla I. 11 novembre 1983, n. 638, e condannato alla pena di venti giorni di reclusione e 100,00 euro di multa; allo stesso, nella qualità di legale rappresentante della “T.L.F. di M.C. & C. s.a.s.”, era contestato di aver omesso il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali effettuate sulle retribuzioni dei dipendenti nell’anno 2013 (per il precedente, l’imputato era stato assolto in primo grado), per l’ammontare di circa 15.600,00 euro.
2. Propone ricorso per cassazione il M., a mezzo del proprio difensore, deducendo – con unico motivo – il vizio motivazionale in ordine alle cause che lo avrebbero costretto all’omissione contributiva riscontrata. Diversamente da quanto indicato in sentenza, la società del ricorrente non sarebbe stata investita da una mera carenza di liquidità, ma da una gravissima crisi economica e finanziaria, dovuta, per un verso, ad una drastica riduzione del fatturato e, per altro verso, agli importanti oneri finanziari che la stessa avrebbe dovuto comunque fronteggiare, relativi ad investimenti effettuati prima della crisi sorta nel 2007-2008 (in particolare, per l’acquisto di macchinari e relativi finanziamenti). Crisi che, peraltro, il ricorrente avrebbe ampiamente documentato, producendo bilanci, conti economici e stati patrimoniali, senza però avere di ciò alcun riscontro in sentenza; nella quale, peraltro, nessun accenno si scorgerebbe neppure quanto ai mutui ed alle ipoteche accesi dai due soci sui propri beni personali, pur di garantire l’andamento della società. Ne deriverebbe, pertanto, la palese assenza del dolo del reato contestato, ulteriormente confermata, peraltro, dal versamento – comunque avvenuto – delle retribuzioni ai dipendenti, con presentazione tempestiva dei modelli DM10 e conseguente – di fatto – autodenuncia dell’imprenditore.
Si chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza.
Considerato in diritto
3. Il ricorso risulta fondato.
Al riguardo, occorre innanzitutto premettere che il debito verso il fisco è collegato all’obbligo di erogazione degli emolumenti ai dipendenti; ogni qualvolta il sostituto d’imposta effettua tali erogazioni, quindi, sorge a suo carico il dovere di accantonare le somme dovute all’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria.
4. Ciò premesso, osserva la Corte che, per costante e condiviso indirizzo di legittimità, per l’integrazione della fattispecie quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo risulta sufficiente il dolo generico, ossia la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato (per tutte, Sez. U, n. 37425 del 28/3/21013, Favellato, Rv. 255759); dolo generico che, peraltro, può essere escluso dal giudice in considerazione del modesto importo delle somme non versate o della discontinuità ed episodicità delle inadempienze riscontrate (per tutte, Sez. 3, n. 3663 dell’8/1/2014, De Michele, Rv. 259097). Dolo generico che, ancora, è ravvisabile nella consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti (tra le molte, Sez. 3, n. 3705 del 19/12/2013, Casella, Rv. 258056; Sez. 3, n. 13100 del 19/1/2011, Biglia, Rv. 249917); proprio a questo riguardo, infatti, si è sovente sostenuto che il reato sussiste anche quando il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare (tra le molte, Sez. 3, n. 43811 del 10/4/2017, Agozzino, Rv. 271189; Sez. 3, n. 38269 del 25/9/2007, Tafuro, Rv. 237827).
5. Tutto quanto ribadito, costituisce costante indirizzo di legittimità anche quello per cui, nel reato in esame, l’imputato può invocare la assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto (Sez. 3, n. 20266 dell’8/4/2014, Zanchi, Rv. 259190); occorre, cioè, la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, n. 8352 del 24/6/2014, Schirosi, Rv. 263128; Sez. 3, n. 20266 dell’8/4/2014, Zanchi, Rv. 259190; Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013, Mercutello, Rv. 258055).
6. Orbene, così richiamati i fondamentali approdi ermeneutici che disciplinano la materia, ritiene la Corte che il Collegio di appello non ne abbia fatto buon governo, redigendo al riguardo una motivazione del tutto insufficiente e, come tale, censurabile in questa sede. In particolare, e pacifica la contestata omissione contributiva, la sentenza si è limitata a sottolineare – in termini del tutto generici – che “dalla documentazione prodotta dall’imputato (la cui società non è mai fallita) emerge con evidenza AL MASSIMO una crisi di liquidità, risolta con la consapevole commissione del reato de quo e non con altre possibili soluzioni”; da tale sintetico argomento, tuttavia, emerge che il Collegio non ha neppure valutato – né, tantomeno smentito – le numerose produzioni offerte dalla difesa, ed ampiamente richiamate nel gravame di merito, volte ad evidenziare elementi che avrebbero potuto incidere quantomeno sul profilo psicologico della condotta, nei termini sopra richiamati (ad esempio, con riguardo ai mutui che il ricorrente avrebbe acceso, con garanzia su propri immobili, per reperire liquidità, quel che potrebbe rappresentare una “possibile soluzione” al reato invece negata dalla Corte di merito).
La pronuncia, pertanto, deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna, per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna.
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