CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, – Sentenza n. 20901 depositata il 15 luglio 2020
Reati tributari – IVA – Illecita somministrazione di manodopera, dissimulata da fittizi contratti di appalto e servizi – Configurazione del reato di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti – Esclusione
Ritenuto in fatto
1. Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Ravenna, costituito ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., rigettava l’appello proposto dal Pubblico ministero avverso il decreto di rigetto della richiesta di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. del Tribunale di Ravenna nell’ambito del procedimento penale instaurato nei confronti di Davide Montevecchi, indagato per il delitto di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 2 d.lgs. n. 74 del 2000, a lui contestato perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in qualità di legale rappresentante della D.M. O. s.r.l. con sede in Ravenna, al fine di evadere l’imposta sull’i.v.a. per gli anni 2016, 2017 e 2018, indicava nella dichiarazione mod. IVA per gli anni di imposta 2017, 2018 e 2019 elementi passivi, previa annotazione nelle scritture contabili, costituiti da fatture emesse da sei società, puntualmente indicate, relative ad operazioni giuridicamente inesistenti, atteso che l’attività posta in essere da dette società era riconducibile a un’illecita somministrazione di manodopera, dissimulata da fittizi contratti di appalto e servizi.
2. Avverso l’indicata ordinanza, il Pubblico ministero propone ricorso per cassazione, con cui deduce il vizio di inosservanza ed erronea applicazione della legge penale.
Il ricorrente censura il provvedimento impugnato, laddove il Tribunale distrettuale ha ritenuto che nella nozione di fattura emessa per operazioni inesistenti non rientrerebbero i casi in cui, come quello in esame, a fronte di una prestazione, pur diversa da quella riportata nella fattura, sia comunque avvenuto il pagamento; e ciò sul presupposto, contestato dal ricorrente, che non si sarebbe in presenza di un’inesistenza né oggettiva, né soggettiva.
Ancora, il Tribunale cautelare avrebbe errato nell’escludere il reato per la mancanza di un vantaggio indebitamente conseguito della società dell’indagato, in quanto la fattispecie di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 è delineato come reato di condotta. Si aggiunge che il Tribunale avrebbe poi enfatizzato gli elementi addotti dalla difesa volti a dimostrare l’effettività delle prestazioni oggetto dei contratti di appalto, trattandosi di allegazioni da verificare.
Infine, il Tribunale distrettuale avrebbe errato nel ritenere che, al più, il fatto sarebbe riconducibile nel delitto ex art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000, il quale contiene una clausola di sussidiarietà espressa in favore dell’art. 2, che è configurabile nel caso in cui, come nelle specie, vi sia l’utilizzo di fatture.
3. In data 24 marzo 2019 il difensore dell’indagato ha fatto pervenire memoria, con cui chiede il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
2. In primo luogo va corretta la motivazione del provvedimento impugnato, laddove opera un’interpretazione della nozione di “fattura inesistente” contrastante con il dato normativo, come costantemente interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità.
3. L’art. 1, lett. a) d.lgs. n. 74 del 2000 chiarisce infatti che, ai fini del presente decreto legislativo per “fatture inesistenti” si intendono, tra l’altro, le fatture “che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”, ossia sono quei soggetti che, in realtà, non hanno preso parte all’operazione e sono invece indicati nel documento. Tale situazione abbraccia il caso in cui il soggetto che ha emesso il documento non ha però effettuato la prestazione cui il documento medesimo si riferisce, perché si tratta di un soggetti irreale, come nel caso di nomi di fantasia, oppure non ha avuto alcun rapporto con il contribuente finale.
In tal modo, infatti, il contribuente fa apparire di avere speso somme in realtà non sborsate e pone così in essere una lesione del bene giuridico protetto, costituito dal patrimonio erariale.
4. Sulla base di questa ricostruzione, si è costantemente affermato il principio – con cui non si confronta il Tribunale cautelare – secondo cui il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000) è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, ovvero quella relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all’IVA – ciò che rileva nella vicenda in esame – esso comprende anche la inesistenza soggettiva, ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura (Sez. 3, n. 6935 del 23/11/2017 – dep. 13/02/2018, Fiorin, Rv. 272814; Sez. 3, n. 27392 del 27/04/2012 – dep. 11/07/2012, P.M. in proc. Bosco e altro, Rv. 253055; Sez. 3, n. 10394 del 14/01/2010 – dep. 16/03/2010, Gerotto, Rv. 246327).
5. Coerentemente con quest’impostazione, questa Corte ha predicato che l’indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, anziché relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, non incide sulla configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta previsto dall’art. 2 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il quale, nel riferirsi all’uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, non distingue tra quelle che sono tali dal punto di vista oggettivo o soggettivo (Sez. 3, n. 4236 del 18/10/2018 – dep. 29/01/2019, Di Napoli, Rv. 27569201; Sez. 3, n. 30874 del 02/03/2018 – dep. 09/07/2018, Hugony; Rv. 273728).
6. Logico corollario di tale ricostruzione è che il delitto ex art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 è astrattamente configurabile nel caso di intermediazione illegale di manodopera, stante la diversità tra il soggetto emettente la fattura e quello che ha fornito la prestazione.
Si tratta di una conclusione coerente con il principio affermato da questa Corte, secondo cui è configurabile il concorso fra la contravvenzione di intermediazione illegale di mano d’opera (art. 18 d.lgs. n. 276 del 2003) ed il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000), nel caso di utilizzo di fatture rilasciate da una società che ha effettuato interposizione illegale di manodopera (Sez. 3, n. 24540 del 20/03/2013 – dep. 05/06/2013, P.G. in proc. De Momi e altri, Rv. 25642401) Sez. 3, n. 24540 del 20/03/2013 – dep. 05/06/2013, P.G. in proc. De Momi e altri, Rv. 256424: in applicazione del principio, la Corte ha annullato la sentenza di proscioglimento del G.u.p. che aveva escluso sussistesse il reato tributario sul presupposto che non potevano considerarsi soggettivamente inesistenti le fatture rilasciate dalla società svolgente l’intermediazione illegale di manodopera, perché comunque erano stati effettivamente sopportati i costi per il pagamento dei lavoratori).
7. Il Tribunale cautelare, tuttavia, ha escluso la sussistenza del fumus commissi delieti non ritenendo acciarato, sotto il profilo della gravità indiziaria, il presupposto fattuale da cui si dipana l’argomentazione del ricorrente, ossia che si sia in presenza di un’illecita somministrazione di manodopera, dissimulata attraverso fittizi contratti di appalto di servizi, e ciò valorizzando le dichiarazioni e la documentazione acquisite in sede di investigazioni difensive, indicate a p. 11 del provvedimento impugnato, da cui emergerebbe sia la configurabilità di un diretto rapporto di organizzazione/direzione tra i responsabili della società dell’indagato e i dipendenti delle aziende subappaltatrici, sia la proprietà, in capo alle ditte esterne, dei mezzi necessari all’esecuzione dei lavori appaltati e l’esistenza, in capo alle stesse, di un’autonoma struttura organizzativa e amministrativa.
8. A fronte di una motivazione del genere, occorre richiamare il costante orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione cosi radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 – dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692; di recente, Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016 – dep. 02/02/2017, Faiella, Rv. 269296; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017 – dep. 20/04/2017, Napoli, Rv. 269656).
9. Nel caso in esame, a fronte di una motivazione che soddisfa i requisiti della coerenza logica e dell’adeguatezza, il motivo è perciò destinato al rigetto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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