CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 21 depositata il 2 gennaio 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO – LESIONI PERSONALI GRAVI AD UN LAVORATORE – MISURE DI SICUREZZA – PROSCIOGLIMENTO NEL MERITO – PRESCRIZIONE DEL REATO
Fatto
1. La Corte di Appello di Brescia, con sentenza emessa all’udienza del 7 giugno 2016, depositata in data 28 giugno 2016, nel termine di cui all’art. 544, terzo comma, cod. proc. pen., e notificata all’imputato libero contumace in data 31 luglio 2017, pur modificando la pena (e, cioè, riducendola a 15 giorni di reclusione e sostituendola con la sanzione di euro 3.750,00 di multa), ha confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Mantova nei confronti di A.C. per il reato di cui all’art. 590 cod. pen., per avere, nella sua qualità di procuratore e delegato alla igiene e sicurezza del lavoro della ditta C.A.E.M. Soc. Coop., unitamente all’operaio L.G., in data 23 gennaio 2009, in San Giorgio a Mantova, procurato lesioni personali gravi a M.M., la quale, dopo aver parcheggiato la propria autovettura negli appositi spazi all’interno della predetta azienda, per raggiungere il posto di lavoro, attraversava il piazzale e veniva investita col carrello del muletto con cui L.G. era intento ad eseguire, in fase di retromarcia, lo scarico di materiale da autotreno. La colpa di A.C. è stata indicata nel capo di imputazione e ravvisata dai giudici di merito nel non aver adeguatamente valutato i rischi e non aver individuato le misure tecniche necessarie per la prevenzione di infortuni sul lavoro e precisamente per non aver munito un carrello elevatore di apposito specchietto retrovisore e per non aver provveduto ad organizzare i parcheggi delle macchine dei lavoratori in modo da evitare che gli stessi, scendendo dalle auto, dovessero attraversare il piazzale a piedi.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia in data 23 settembre 2016.
2. Con il primo motivo formulato ex art. 606 lett. b cod. proc. pen. si è dedotta l’erronea applicazione dell’art. 16 del d.lgs. 81/2008, avendo la Corte di Appello ritenuto che la delega di funzioni in esame non avesse alcun riferimento ad una qualche territorialità e dovesse, quindi, estendersi anche agli stabilimenti, come quello di San Giorgio di Mantova, acquisiti successivamente al suo conferimento, in questo modo ammettendone una modifica unilaterale da parte del delegante, in difetto di accettazione da parte del delegato, peraltro a corrispettivo invariato e senza alcun adeguamento del relativo potere di spesa; con il secondo motivo formulato ex art. 606 lett. b ed e cod. proc. pen. si è dedotta la contraddittorietà della motivazione e l’erronea lettura del documento di valutazione dei rischi, avendo la sentenza impugnata fatto discendere la consapevolezza dell’imputato circa l’uso promiscuo del piazzale dal documento di valutazione dei rischi da lui redatto nel maggio 2003 e, quindi, in epoca di molto anteriore all’acquisto dello stabilimento di San Giorgio di Mantova – al contrario, “esclusa la conoscenza in capo all’imputato di una irregolare attività di scarico nel piazzale, viene meno anche il necessario presupposto per imputare all’imputato le contestate violazioni in materia di prevenzione infortuni, ovvero l’omessa installazione dello specchietto retrovisore sul muletto e l’omessa delimitazione della zona di carico scarico nel piazzale”.
Diritto
1. Preliminarmente, osserva il collegio come il reato per il quale l’imputato è stato tratto a giudizio deve ritenersi prescritto in data 23 agosto 2016, trattandosi di delitto ex art. 590, secondo e terzo comma, cod. pen., commesso 23 gennaio 2009, per il quale non ricorrono ipotesi di sospensione.
Al riguardo deve sottolinearsi che l’odierno ricorso avanzato dall’imputato non appare manifestamente infondato, sottoponendo al collegio una questione giuridica opinabile, concernente la possibilità dell’adeguamento automatico della delega ex art. 16 del d.lgs. 81/2008 all’ampliamento della struttura aziendale, in assenza di una modifica scritta. Lo stesso non risulta neppure affetto da profili d’inammissibilità di altra natura.
A ciò si aggiunga che, in conformità all’insegnamento ripetutamente impartito da questa Corte, in presenza di una causa estintiva del reato, l’obbligo del giudice di pronunciare l’assoluzione dell’imputato per motivi attinenti al merito si riscontri nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell’insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilità penale all’imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al compimento di una “constatazione”, che a un atto di ‘apprezzamento’ e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Cass., n. 35490/2009, Rv. 244274). E invero il concetto di “evidenza”, richiesto dal secondo comma dell’art. 129 c.p.p., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richieda per l’assoluzione ampia, oltre la correlazione a un accertamento immediato (cfr. Cass., n. 31463/2004, Rv. 229275). Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del reato, al fine di pervenire al proscioglimento nel merito dell’imputato occorre applicare il principio di diritto secondo cui “positivamente” deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l’estraneità dell’imputato a quanto allo stesso contestato, e ciò nel senso che si evidenzi l’assoluta assenza della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non rilevando l’eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (v. Cass., n. 26008/2007, Rv. 237263). Ciò non è riscontrabile nel caso di specie, in cui questa Corte – anche tenendo conto degli elementi evidenziati nella motivazione della sentenza di merito – non ravvisa alcuna delle ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni di cui al secondo comma dell’art. 129 c.p.p.
3. Ne discende che, ai sensi del richiamato art. 129 c.p.p., la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato contestato all’imputato estinto per prescrizione.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
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