CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 21271 depositata il 14 maggio 2018

Reati tributari – Fatture false per operazioni inesistenti – Irrogazione di sanzione amministrativa per infedele dichiarazione – Reddito dichiarato inferiore a quello accertato per deduzione di costi fittizi – Ulteriore azione penale per il reato di utilizzo di fattura per operazione inesistente – Procedibilità – Condizioni

Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 29.6.2016 il Tribunale di Cremona ha dichiarato, per quanto qui interessa, non doversi procedere per intervenuto giudicato nei confronti di S.I. e L.S., imputati del reato di cui all’art. 2 d.lgs 74/2000 per aver in qualità di amministratori della I. s.n.c., indicato nella dichiarazione fiscale relativa all’anno 2008, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, componenti negativi di reddito costituiti da costi diversi da quelli effettivi in forza di una falsa fattura. Risulta dalla sentenza di merito che i predetti, avendo venduto con atto del 30.10.2008 un capannone industriale al prezzo di € 150.000 a U.L. s.p.a. che contestualmente lo cedeva in leasing alla s.r.l. J., avevano registrato la fattura emessa da J. dell’importo di € 101.000,00 oltre IVA relativa a lavori di demolizione e rifacimento del manufatto, risultata falsa, deducendo nella dichiarazione dei redditi del 2009 tale importo dal prezzo pattuito, così da ridurre l’importo Irpef dovuto sulla plusvalenza e risultare a credito di IVA per l’importo di € 20.200, corrispondente all’IVA assolta sulla predetta fattura, ma che per tali fatti entrambi gli imputati erano già stati sanzionati dall’AdE di Cremona a seguito dell’accertamento fiscale a carico della società e dei soci, con una sanzione pecuniaria pari all’ammontare dell’imposta, integralmente pagata.

Avverso il suddetto provvedimento il procuratore Generale della Repubblica di Brescia ha proposto ricorso per cassazione articolando un unico motivo con il quale deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 649 c.p.p., in primo luogo che la sanzione amministrativa era stata inflitta al solo I. quale legale rappresentante della società e che perciò non poteva ravvisarsi preclusione all’esercizio dell’azione penale in conseguenza dell’avvenuta irrogazione per lo stesso fatto di una sanzione formalmente amministrativa, ma di carattere sostanzialmente penale quando non via sia coincidenza tra la persona chiamata a rispondere in sede penale e quella sanzionata in via amministrativa. In secondo luogo deduce che non trova applicazione il principio del ne bis in idem di cui all’art. 649 c.p.p. nel caso di procedimento penale per il quale sia stata già irrogata una sanzione amministrativa di carattere sostanzialmente penale secondo l’interpretazione dell’art. 4 del Protocollo CEDU, all’uopo rinviando alla sentenza EDU Grande Stevens c. Italia del 4.3.2014 posto che il giudice avrebbe dovuto al più sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. in relazione all’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU.

Considerato in diritto

Dal momento che la sanzione amministrativa, inflitta peraltro al solo I. in qualità di legale rappresentante della società, risulta irrogata ai sensi dell’art. 1, secondo comma d.lgs 471/97 per dichiarazione infedele per indicazione di un reddito imponibile inferiore a quello accertato stante la deduzione di un costo fittizio, e dunque per un fatto diverso dal reato in contestazione nel presente procedimento, costituito dall’utilizzo di fattura per operazione inesistente attraverso la quale erano stati indicati nella dichiarazione annuale dei redditi elementi passivi fittizi, occorre verificare se sussista la preclusione all’azione penale di cui all’art. 649 cod. proc. pen., quale conseguenza della già avvenuta irrogazione, per lo stesso fatto, di una sanzione amministrativa ma formalmente “penale”, ai sensi dell’art. 7 CEDU: la preclusione in esame è stata infatti negata allorquando le due procedure risultino complementari, in quanto dirette al soddisfacimento di finalità sociali differenti, e determinino l’inflizione di una sanzione penale “integrata”, che sia prevedibile e, in concreto, complessivamente proporzionata al disvalore del fatto (Sez. 2, n. 9184 del 15/12/2016 – dep. 24/02/2017, P.G. in proc. Pagano, Rv. 269237).

Va al riguardo, inoltre, richiamato il concorrente principio affermato da questa Corte a seguito delle sentenze della Corte EDU 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia e 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi, in forza del quale non si applica il divieto del “ne bis in idem”, previsto dall’art. 649 cod. proc. pen., nel caso di procedimento penale avente ad oggetto il medesimo fatto per il quale sia stata già irrogata una sanzione amministrativa di natura “sostanzialmente penale” secondo l’interpretazione dell’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU adottata dalla Corte EDU (Sez. 3, n. 25815 del 21/04/2016 – dep. 22/06/2016, P.G. in proc. Scagnetti, Rv. 267301 secondo cui il giudice di merito, in una fattispecie concernente il reato art. 10-ter d.lgs. 74/2000, avrebbe eventualmente dovuto sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. pen. per violazione dell’art. 117 Cost. in relazione all’art. 4 Prot. n. 7 CEDU piuttosto che dichiarare il non doversi procedere).

Pur dovendo la fattispecie in esame essere esaminata alla luce dei sopra richiamati orientamenti giurisprudenziali, preliminare è tuttavia il rilievo dell’intervenuta prescrizione del reato in contestazione. Poiché nelle more del giudizio di legittimità il reato in contestazione si è estinto per prescrizione, essendo il relativo termine maturato alla data del 30.3.2017, deve disporsi in limine, con riguardo ai due imputati I.S. e S.L., l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio con riguardo a I.S. e S.L. la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.