CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 21485 depositata il 31 maggio 2021
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Bancarotta fraudolenta impropria – Sistematiche indebite compensazioni di debiti d’imposta con crediti d’imposta inesistenti – Sistematici omessi versamenti di imposte e di crediti previdenziali – Condotta volontaria – Dolo generico
Ritenuto in fatto
1. In esito al giudizio di merito C.F. è stato condannato alla pena di giustizia per il delitto di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, L.F., per avere, nella qualità di amministratore unico della V. Srl., con operazioni dolose, costituite da sistematiche ed indebite compensazioni di debiti d’imposta con crediti IRES inesistenti e da altrettanto sistematici omessi versamenti di imposte e di crediti previdenziali, cagionato il fallimento della società menzionata, dichiarato il 6 agosto 2014.
2. Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di C. avverso la sentenza della Corte di appello di Milano dell’8 novembre 2019, resa in integrale conferma, quanto alla posizione del ricorrente, di quella emessa dal GUP del Tribunale di Milano in data 20 marzo 2018, è affidato a due motivi, qui enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione secondo quanto stabilito dall’art. 173 disp. att. cod.proc.pen.
2.1. Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 192, commi 2 e 3, cod.proc.pen. e degli artt. 223, commi 1 e 2, L.F. e 10-quater, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, nonché manifesta illogicità della motivazione.
A sostegno si deduce che i giudici di merito avrebbero illogicamente valorizzato i risultati degli accertamenti compiuti dal Curatore Fallimentare sebbene questi fossero stati giudicati scarsamente attendibili; avrebbero, di contro, omesso di tener conto di elementi positivi (utili di bilancio, dichiarazioni dell’imputato in ordine alle ragioni della compensazione; beni individuati in sede di inventario fallimentari e loro acquisizione alla massa) atti a ridimensionare la portata dell’accusa); avrebbero ignorato la messa a disposizione, da parte dell’imputato a favore della Curatela, di beni immobili, crediti liquidi ed esigibili e polizze di risparmio di pronta assicurazione, quale condotta incompatibile con la volontà dell’amministratore imputato di cagionare il fallimento della V. e di frodare i creditori. Si insiste per la riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 10- quater, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000.
2.2. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 133 e 62-bis cod.pen.e il vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, non essendo state adeguatamente apprezzate le circostanze lumeggiate nella relazione ex art. 33 L.F., nella parte in cui il Curatore fallimentare aveva dato atto della fattiva collaborazione dell’amministratore della società fallita nella ricostruzione del patrimonio sociale e del suo movimento d’affari.
3. Ai sensi dell’art. 23, comma 8, decreto legge n. 137 del 2020, il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, T.E., ha rassegnato per iscritto le proprie conclusioni, con nota del 5 aprile 2021, chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
1. Il primo motivo è aspecifico, pretende una non consentita rivalutazione del fatto ed è, comunque, manifestamente infondato.
1.1. Quanto al primo dei profili enumerati, va dato atto che le deduzioni in punto di sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta impropria, del quale il ricorrente è stato riconosciuto colpevole, risultano prive di qualsivoglia confronto critico con il tenore della motivazione rassegnata al riguardo nella sentenza impugnata.
In disparte il rilievo che le condotte contestate come integratrici del delitto di cui all’art. 223, comma 2, n. 2 L.F. sono state non solo le operazioni di indebita compensazione, ma anche quelle di omesso versamento di debiti d’imposta relativi alle annualità 2010 – 2014, sulle quali, tuttavia, il ricorrente non ha sviluppato censure, deve riconoscersi che alla corretta affermazione della Corte di appello, secondo la quale la fattispecie di reato oggetto d’imputazione è punita a titolo di dolo generico – atteso che secondo la condivisa ermeneusi di questa Corte il fallimento conseguente ad operazioni dolose è l’effetto di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’operazione ne abbia accettato il rischio (Sez. 5, n. 11945 del 22/09/1999, Rv. 214856) – si è nuovamente, acriticamente, opposto l’argomento dell’assenza di prova di frode ai creditori, del tutto irrilevante, però, ai fini dell’integrazione dell’ipotesi criminosa rubricata.
1.2. La diretta esibizione al giudice di legittimità di elementi probatori, asseritamente sottovalutati o non considerati dai giudici di merito nelle loro conformi decisioni, è, peraltro, profilo di doglianza pacificamente estraneo al sindacato consentito in questa sede (Sez. 6, n. 28703 del 20/04/2012, Rv. 253227).
1.3. Manifestamente infondata è, infine, la deduzione difensiva che sollecita la riqualificazione del fatto nei termini di cui all’art. 10-quater, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000 (che punisce la condotta di <<Chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro>>).
Recente giurisprudenza di questa Corte ha chiarito come i reati di cui all’art. 223, comma 2, n. 2 L.F. e di cui all’art. 10-quater, comma 2, d.lgs. 74 del 2000 si differenzino radicalmente sia dal punto di vista strutturale che dal punto di vista funzionale, posto che, in particolare, la fattispecie di bancarotta societaria impropria da operazioni dolose non considera le violazioni tributarie commesse in quanto tali, ma in relazione al fatto che, attraverso queste, si sia potuta continuare l’attività imprenditoriale, contribuendo ad aggravarne il dissesto (Sez. 5, n. 6350 del 08/01/2021, Rv. 280456).
Invero, la fattispecie di fallimento cagionato da operazioni dolose, prevista dall’art. 223, comma 2, n. 2, L.F. presuppone una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo, ma da un fatto di maggiore complessità strutturale, riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato (Sez. 5, n. 12945 del 25/2/2020, Mora, Rv. 279071). Tale complessità delinea il primo aspetto di distinzione rispetto alla fattispecie di indebita compensazione prevista dall’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, che viene in essere al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato, in quanto, con l’utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale (Sez. 3, n. 23027 del 23/6/2020, Mangieri, Rv. 279755).
Inoltre, il delitto di bancarotta impropria da operazioni dolose non è integrato dalla sola indebita compensazione di crediti di imposta – a differenza di quello di cui all’art. 10-quater, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, che è fattispecie di mera condotta -, ma richiede anche il fallimento della società, sia che lo si consideri condizione obiettiva di punibilità ed evento “esterno” del reato, tuttavia essenziale (Sez. 5, n. 2899 del 2/10/2018, dep. 2019, Signoretti, Rv. 274610; Sez. 5, n. 21920 del 15/03/2018, Sebastianutti, Rv. 273189, in motivazione; Sez. 5, n. 53184 del 12/10/2017, Fontana, Rv. 271590; Sez. 5, n. 13910 del 08/02/2017, Santoro, Rv. 269389; Sez. 5, n. 4400 del 06/10/2017, dep. 2018, Cragnotti e altri, Rv. 272256; Sez. 5, Sez. 5, n. 992 del 17/05/2016, dep. 2018, Bonofiglio, Rv. 271920; vedi anche Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 26680), sia che lo si ritenga evento “interno” ed elemento costitutivo improprio del reato (Sez. 5, n. 40477 del 18/5/2018, Alampi, Rv. 273800; Sez. 5, n. 45288 del 11/5/2017, Gianesini, Rv. 271114).
2. Il secondo motivo sviluppa rilievi che sfuggono al sindacato di legittimità.
2.1. E’ jus receptum che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., con la conseguenza che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – dep. 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007 – dep. 11/01/2008, Cilia e altro, Rv. 238851). Determinazione che i giudici di merito hanno effettuato, applicando correttamente i criteri di legge e dando adeguatamente conto di come l’imputato non fosse meritevole della riduzione di pena invocata, in ragione della concessione delle circostanze attenuanti generiche, a causa dei plurimi precedenti penali annoverati a suo carico e della rilevante gravità dei fatti di bancarotta accertati.
D’Altro canto, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (Sez. 1, n. 3772 del 11/01/1994, Spallina, Rv. 196880; conf. Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549).
3. Ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen., alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.