CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 21992 depositata il 20 maggio 2019
Professionisti – Commercialista – Reato di appropriazione indebita – Somme ricevute dai clienti assistiti per il pagamento di propri oneri fiscali e previdenziali
Ritenuto in fatto
1. Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Venezia ha confermato la già affermata dichiarazione di penale responsabilità dell’odierno ricorrente per appropriazione indebita limitatamente agli episodi successivi al 7 gennaio 2010 rideterminando la pena nei limiti ritenuti di giustizia. In particolare, l’imputato si sarebbe appropriato di somme che gli erano state consegnate per il pagamento di oneri fiscali e previdenziali.
A fondamento della condanna, le dichiarazioni delle parti offese, la documentazione in atti, il fatto che vi fossero condotte successive al 7 gennaio 2010 costituite dalle dazioni 23 marzo 2010 e 1 giugno 2010.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, M.G., articolando i seguenti motivi.
2.1. Violazione dell’articolo 646 codice penale e motivazione illogica, contraddittoria mancante dovendosi ritenere l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato. La motivazione del provvedimento impugnato sarebbe insufficiente laddove ritiene inverosimile la prospettazione della buona fede in conseguenza di un allontanamento dalla propria professione da parte dell’imputato invece desumibile dalle testimonianze in atti relative al fatto che fosse in corso la separazione personale dal coniuge che gestiva gran parte dello studio e perché non sarebbe spettato all’imputato l’onere della prova in ordine alla propria penale responsabilità.
Prova della buona fede, del resto, sarebbe il fatto di avere il M. offerto successivamente ai fatti la disponibilità a valutare le posizioni fiscali dei ricorrenti anche in collaborazione con nuovo commercialista succedutogli. Più in radice, il ricorrente afferma la mancanza di prova del fatto che i titoli di credito che erano stati consegnati all’imputato siano stati movimentati il che escluderebbe la presenza di qualsivoglia appropriazione o profitto
2.2. Violazione dell’articolo 61 numero 11 cod. pen. e vizio di motivazione per insussistenza dell’abuso della prestazione d’opera. Secondo il ricorrente, non sarebbe sufficiente il fatto che l’imputato era il commercialista incaricato delle persone offese di gestire la loro contabilità.
Infatti, la Corte non avrebbe correttamente distinto tra uso e abuso della prestazione d’opera.
Sarebbe infatti presente la prova di un uso ripetuto nel tempo ma non dell’abuso quale sviamento dai limiti e finalità che sono proprie del prestatore d’opera. Risulterebbe inoltre che le parti offese abbiano avuto conoscenza dei fatti sin dal giugno 2010 perché tale data corrisponde al termine finale così come indicato nel capo di imputazione mentre la querela risulta essere stata presentata il 16 febbraio 2011 e quindi risulterebbe tardiva.
2.3. Violazione degli articoli 133 e 62 bis cod. pen. nonché vizio di motivazione non potendosi ritenere sufficiente la considerazione operata nel provvedimento impugnato per cui la pena base è stata determinata in termini di assoluta proporzione al fatto singolo e alla condotta, non essendosi tenuto nel debito conto il non lungo periodo di tempo in cui le condotte delittuose per cui non è intervenuta prescrizione risultano essere state poste in essere, non essendosi tenuto conto del corretto comportamento processuale consistito nella partecipazione alla fase delle indagini e nella nomina di un difensore di fiducia, non essendo stata valutata nel suo complesso la personalità dell’imputato.
2.4. Violazione di legge in ragione della prescrizione che secondo il ricorrente sarebbe intervenuta successivamente alla pronuncia di secondo grado e alla presentazione del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile
2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Deve infatti rilevarsi come, quanto alla affermata mancata riscossione dei titoli, che i versamenti, secondo una ricostruzione proposta dal giudice di primo grado e nemmeno contestata, risultano essere avvenuti anche per contanti. Peraltro, risulta in atti che gli assegni siano stati depositati dal pubblico ministero all’esito di accertamenti bancari, il che dimostra, allo stato degli atti e in difetto di alcuna contraria documentazione proveniente dalla difesa, la riscossione degli assegni medesimi.
L’affermazione difensiva per cui la vicenda sarebbe qualificata da condotte meramente colpose in conseguenza della contemporanea pendenza di un giudizio di separazione personale che coinvolgeva l’imputato risulta poi sconfessata dal fatto che accertati inadempimenti in ordine ai pagamenti tributari si sono protratti da 2005 al 2010 senza che l’imputato abbia mai dato notizia alcuna alle parti offese e dal fatto che lo stesso imputato, pur condannato (come evidenziato dal giudice di primo grado) in sede civile alla restituzione delle somme, mai abbia adempiuto. Sotto questo aspetto, appare pienamente logica e lineare la motivazione della corte territoriale che evidenzia che di tale circostanza non è mai stata data prova per testi o documentale.
Del tutto priva di fondamento la doglianza relativa alla tempestività della querela. Infatti, il termine per proporre la querela decorre dalla data in cui l’inottemperanza pervenga a conoscenza del creditore, restando a carico di chi deduce la tardività della querela la prova del difetto di tempestività della stessa (Sez. U, Sentenza n. 12213 del 21/12/2017 – dep. 16/03/2018 – Rv. 272170 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 7988 del 01/02/2017 Rv. 269726 – 01; Sez. 6, Sentenza n. 24380 del 12/03/2015 Rv. 264165 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 7333 del 28/01/2008 Rv. 239162 – 01). Deve pertanto ritenersi tempestiva la proposizione della querela quando vi sia incertezza se la conoscenza precisa, certa e diretta del fatto, in tutti i suoi elementi costitutivi, da parte della persona offesa sia avvenuta entro oppure oltre il termine previsto per esercitare utilmente il relativo diritto, dovendo la decadenza ex art. 124 cod. pen. essere accertata secondo criteri rigorosi e non sulla base di supposizioni prive di adeguato supporto probatorio (Sez. 6, Sentenza n. 24380 del 12/03/2015 Rv. 264165 – 01).
Nel caso di specie, il ricorrente ha offerto mere supposizioni in ordine alla effettiva e compiuta conoscenza da parte della persona offesa dell’illecito nei suoi termini essenziali non adempiendo all’onere a suo carico.
3. Il secondo motivo di ricorso è generico e per il resto manifestamente infondato. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (Sez. 2, sentenze n. 14651 del 10 gennaio 2013, Rv. 255792 e n. 6350 del 14 novembre 2014, dep. 2015, Rv. 262563), l’abuso di relazioni di prestazioni d’opera, che integra la circostanza aggravante di cui all’art. 61, comma 1, n. 11 c.p., è configurabile in presenza, tra le parti, di rapporti giuridici:
– che risultino fondati sulla reciproca fiducia, quando questa agevoli la commissione del reato, anche in difetto di un vincolo di subordinazione o di dipendenza …
– e che comportino, a qualunque titolo, un vero e proprio obbligo (e non una mera facoltà) di facere. Trattasi di caratteristiche che senz’altro connotano i rapporti intercorrenti tra imputato e parti offese, connessa alla professione dell’imputato, che aveva assunto l’obbligo di provvedere agli adempimenti fiscali delle parti offese medesime con il danaro all’uopo ricevuto. Indubbio nel caso di specie, anche in conseguenza di quanto sopra rilevato, che il soggetto agente abbia tratto illecito vantaggio da un rapporto d’opera (Sez. 5, Sentenza n. 634 del 06/12/2017 – dep. 10/01/2018 – Rv. 271929 – 01) e che questi abbia comunque tratto profitto dalle condizioni favorevoli create dal preesistente rapporto di lavoro (Sez. 2, Sentenza n. 9730 del 25/11/2016 – dep. 28/02/2017 Rv. 269097 – 01), il che rende palese la sussistenza di tutti gli elementi strutturali della applicata aggravante; elementi ben noti al soggetto agente.
4. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
La Corte territoriale ha logicamente ed esaurientemente motivato in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio segnalando la rilevanza del carattere capzioso e occulto della condotta, di un precedente specifico, della assoluta mancanza di iniziative restitutorie o risarcitorie concrete e per altro verso segnalando la palese inconferenza degli ulteriori elementi accampati dalla difesa.
Si tratta di motivazione specifica, congrua, logica, coerente con il contenuto del fascicolo processuale e quindi, proprio per questi caratteri, insindacabile in questa sede.
5. Il quarto motivo di ricorso è palesemente infondato in ragione del fatto che l’inammissibilità di tutti i motivi di ricorso preclude il rilievo della eventuale prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata (Sez. Un., n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266)
6. Alle suesposte considerazioni consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in € 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila a favore della Cassa delle ammende.
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