Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 22978 depositata il 6 giugno 2024

bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Napoli ha parzialmente riformato la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Nord del 6 novembre 2019 che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità di F.M. per le condotte di bancarotta fraudolenta documentale (capo B) e di bancarotta fraudolenta impropria per effetto di operazioni dolose (capo C), ritenendo assorbita in quest’ultima condotta quella di bancarotta fraudolenta patrimoniale contestata al capo A) e, applicate le circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti sull’aggravante dei più fatti di bancarotta e sull’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità e ritenuta la continuazione tra i reati, lo aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia.

In particolare, la Corte di merito ha riqualificato il reato di cui al capo B) quale bancarotta documentale semplice e lo ha dichiarato estinto per prescrizione, ha escluso la continuazione e l’aggravante dei più fatti di bancarotta e ha ritenuto le circostanze attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, provvedendo a ridurre la pena.

All’esito del giudizio di appello, F.M. risulta condannato per avere, quale amministratore della Calzaturificio M. s.r.l., dichiarata fallita il 22 ottobre 2010, cagionato il deterioramento dei beni aziendali (capo A ritenuto assorbito nel capo C) nonché per avere ca9ionato il fallimento della società in conseguenza della sistematica omissione del pagamento dei debiti erariali e contributivi e delle retribuzioni in favore dei dipendenti (capo C).

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando tre motivi.

2.1 Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 216, primo comma, e 223, secondo comma, r.d. n. 267 del 1942, sostenendo, quanto alla bancarotta fraudolenta patrimoniale, che non sussisterebbero l’elemento materiale, non ricorrendo una ipotesi di distruzione, dissipazione o distrazione dei beni societari, e nemmeno l’elemento soggettivo, non avendo egli agito allo scopo di arrecare pregiudizio ai creditori o procurarsi un ingiusto profitto.

Nella sentenza impugnata si afferma che i beni aziendali si sono deteriorati in modo definitivo ed irreversibile a causa della negligenza dell’imputato che li aveva mal custoditi, esponendoli agli agenti atmosferici.

Sostiene il ricorrente che egli, in realtà, era stato costretto a lasciare l’immobile ove veniva esercitata l’attività di impresa a causa di uno sfratto per morosità e, in mancanza di risorse economiche, aveva dovuto collocare i beni aziendali in depositi di fortuna di proprietè di familiari che gratuitamente li avevano posti a sua disposizione.

Il curatore fallimentare aveva affermato di aver rinvenuto tutti i beni societari e comunque difettava la volontà dell’imputato di danneggiare i beni stessi.

Quanto all’omesso pagamento dei debiti, la curatela non aveva avviato alcuna azione revocatoria o altra azione volta ad affermare la responsabilità dell’imputato per i danni eventualmente cagionati.

2.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 219, primo comma, d. n. 267 del 1942 per avere la Corte di appello ritenuto sussistente l’aggravante in virtù del mero ammontare del passivo fallimentare piuttosto che considerando la sola diminuzione patrimoniale conseguente alla condotta di bancarotta.

2.3 Con il terzo motivo il ricorrente si duole della carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine all’omessa applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

La Corte di merito ha motivato il diniego affermando che le condotte si erano protratte per un lungo arco temporale, sorrette dal dolo mai affievolito, e che non poteva ritenersi, anche alla luce del precedente penale specifico a carico dell’imputato, che quest’ultimo in futuro si sarebbe astenuto dal commettere ulteriori reati, ma contraddittoriamente ha applicato le circostanze attenuanti generiche per la scarsa capacità a delinquere del prevenuto.

Inoltre, il reato, commesso nel 1996, per il quale egli aveva riportato la precedente sentenza di applicazione di pena, era estinto ai sensi dell’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., cosicché ben avrebbe potuto essere applicato l’invocato beneficio.

CONSIDERATO IN DIRITTO 

1. Il primo motivo di ricorso è fondato.

1.1 Nella sentenza di primo grado si afferma, conformemente a quanto sostenuto dal ricorrente, che l’attività di impresa è cessata nel 2005 e che l’imputato non disponeva del denaro occorrente al mantenimento dei beni aziendali, che erano stati collocati presso immobili di suoi parenti, ossia un piccolo box ed una cascina agricola; non essendo i beni stati correttamente curati e conservati, essi erano stati rinvenuti in un pessimo stato di conservazione; in relazione a due automobili cli cui la fallita risultava intestataria, era risultato che le stesse erano state demolite prima della sentenza dichiarativa del fallimento e ne era stata denunciata la cessazione della circolazione; si afferma, infine, che l’imputato è penalmente responsabile della dispersione dei beni sociali, non avendo prestato la «dovuta diligenza» nella loro conservazione.

Sempre nella sentenza di primo grado si afferma che il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale sopra descritto e contestato al capo A) è assorbito da quello di bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose contestato al capo C), poiché anche la condotta di cui al capo A) ha cagionato il fallimento, ma il delitto di cui al capo C) presenta l’elemento specializzante dell’aver cagionato il fallimento della società.

Nella sentenza di appello si afferma che il curatore fallimentare, accompagnato dall’imputato, si era recato presso un fienile di proprietà di un parente di quest’ultimo, rinvenendo alcuni beni aziendali talmente obsoleti da essere divenuti non riutilizzabili e che il curatore aveva chiesto al giudice delegato di essere autorizzato al loro abbandono.

Anche nella sentenza di secondo grado si afferma la penale responsabilità dell’imputato per avere cagionato «la dispersione dei beni aziendali, che custodiva senza alcuna diligenza esponendoli così al deterioramento».

Quanto alla dispersione dei beni, quindi, dalle motivazioni delle due sentenze di merito appare che all’imputato viene attribuita la penale responsabilità per la condotta di bancarotta fraudolenta distrattiva sulla base di un comportamento negligente e quindi colposo, mentre per la sussistenza del reato è necessario il dolo.

1.2 Il primo motivo di ricorso appare fondato anche in relazione alla condotta di bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose.

Nella sentenza di primo grado si afferma soltanto che l’imputato «omettendo di pagare i debiti erariali e la retribuzione dei dipendenti» ha causato il fallimento della società, accumulando debiti molto ingenti.

A fronte dell’appello del F.M., che sosteneva che le cause del fallimento andavano individuate nella riduzione delle commesse e nella concorrenza dovuta all’immissione sul mercato di prodotti provenienti dell’est europeo e non nel mancato pagamento dei debiti erariali e delle retribuzioni dei dipendenti, la Corte di appello ha risposto limitandosi ad osservare che egli <<accumulava debiti societari consistenti nella chiara consapevolezza di non avere i mezzi per onorarli».

Non si fa riferimento, in entrambe le sentenze di merito, a quel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali che, come affermato da questa Corte di cassazione, vale ad integrare le operazioni dolose di cui all’art. 223, secondo comma, n. 2, legge fall. (Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, De Mattia, Rv. 273337; Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016,  dep. 2017, Bottiglieri, Rv. 270046; Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Prandini, Rv. 261684; Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Salieri; Rv. 260492; Sez. 5, n. 12426 del 29/11/2013, dep. 2014, Beretta, Rv. 259997).

Solo il carattere sistematico dell’omissione vale ad individuare tale comportamento quale frutto di una consapevole scelta gestionale finalizzata ad utilizzare  l’inadempimento delle  obbligazioni  tributarie  e contributive  quale anomalo strumento di autofinanziamento nella previsione che l’aumento del debito, collegato alla irrogazione delle sanzioni per l’inadempimento, determinerà un aggravio dell’esposizione debitoria e quindi del dissesto.

Non rileva, invece, per la sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose la mera circostanza che l’amministratore della società fallita abbia accumulato debiti per scelte errate, dovendo distinguersi l’aggravamento del dissesto conseguente ad operazioni dolose dall’aumento del passivo dovuto a scelte gestionali rivelatesi ex post errate e quindi dovute a comportamenti incolpevoli o anche solo colposi, poiché altrimenti il delitto coinciderebbe con la mera causazione dello stato di insolvenza ,2 sussisterebbe in relazione a tutte le dichiarazioni di fallimento.

La Corte di appello, non distinguendo tra le due ipotesi e non chiarendo se l’inadempimento delle obbligazioni tributarie, contributive e retributive sia stato reiterato ed attuato in modo sistematico, risulta aver violato l’art. 223, secondo comma, n. 2, r.d. 267 del 1942.

2. Anche il secondo motivo è fondato.

La circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilev21nte gravità di cui all’art. 219, primo comma, legge fall. si configura solo se ad un fatto di bancarotta di rilevante gravità, quanto al valore dei beni sottratti all’esecuzione concorsuale, corrisponda un danno patrimoniale per creditori che, complessivamente considerato, sia di entità altrettanto grave (Sez. 5, n. 48203 del 10/07/2017, Meluzio, Rv. 271274).

In particolare, l’entità del danno provocato dai fatti configuranti bancarotta patrimoniale va commisurata al valore complessivo dei beni che sono stati sottratti all’esecuzione concorsuale, piuttosto che al pregiudizio sofferto da ciascun partecipante al piano di riparto dell’attivo, ed indipendentemente dalla relazione con l’importo globale del passivo (Sez. 5, n. 49642 del 02/10/2009, Olivieri, Rv. 245822).

La Corte di appello ha, invece, fatto riferimento alla mera differenza tra il passivo, pari a mezzo milione di euro, e l’attivo fallimentare, insussistente a seguito del deterioramento dei beni, senza chiarire le ragioni per le quali l’intero ammontare del passivo fallimentare deriverebbe dalle condotte ascritte all’imputato e senza quantificare il valore dei beni oggetto di deterioramento o la misura dell’aggravamento del dissesto in conseguenza d,2lla condotta di bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose.

3. Concludendo, in accoglimento dei primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, la sentenza deve essere annullata con 1·invio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.

P.Q.M. 

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.