Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 2299 depositata il 22 gennaio 2020
reati tributari – sequestro preventivo
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 26 giugno 2019, ha rigettato l’appello proposto da I. sas in liquidazione, in persona del suo legale rappresentante, avverso il provvedimento con il quale era stata respinta, dalla Corte di appello di Napoli quale giudice del dibattimento, la richiesta di revoca del sequestro preventivo disposto a carico del beni della predetta Società nel corso del procedimento penale in corso nei confronti di C.I., indagato per la commissione di numerosi reati tributari.
Il Tribunale di Napoli ha, in primo luogo, ritenuto non vincolante il fatto che la Commissione tributaria regionale di Napoli avesse annullato tutti i provvedimenti con i quali era stato accertato l’ammontare delle imposte in ipotesi fraudolentemente evase dalla I. sas.
La esistenza di un accertamento in sede penale contrastante con quello intervenuto in sede tributaria rendeva irrilevante quest’ultimo in quanto, diversamente, sarebbe stata reintrodotta la pregiudiziale tributaria nel nostro ordinamento.
Il Tribunale ha rigettato anche il secondo motivo di appello proposto dalla I. sas, avente ad oggetto la legittimità della misura cautelare reale, osservando che il sequestro disposto a carico di questa non era funzionale ad una confisca per equivalente, che sarebbe stata inammissibile nei confronti della società non soggetto attivo del reato, ma funzionale alla confisca diretta del profitto del reato conseguito dalla Società stessa, costituito dal risparmio di spesa da questa realizzato non avendo pagato le imposte dovute.
Ha interposto ricorso per cassazione la I. sas, formulando due motivi di ricorso: il primo di essi, articolato sotto il profilo del totale difetto di motivazione e della violazione di legge, riguardava il fatto che, a seguito dell’avvenuto sgravio, non era più possibile rilevare la esistenza di un profitto derivante in favore della ricorrente dalla commissione dei reati contestati.
Il secondo motivo di ricorso era attinente all’errore in cui sarebbe incorso il Tribunale nel ritenere che la confisca alla quale il sequestro impugnato sarebbe stato funzionale era una confisca diretta e non una confisca per equivalente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato sulla base delle ragioni che saranno di seguito indicate.
Deve brevemente premettersi alla motivazione riguardante la specifica fondatezza del ricorso proposto dalla I. sas in liquidazione, in persona del suo legale rappresentante, il seguente rilievo relativo ai limiti di impugnabilità di fronte a questa Corte dei provvedimenti emessi a seguito dell’avvenuta impugnazione, sia con lo strumento del ricorso per riesame sia con lo strumento dell’appello cautelare, dei provvedimenti con i quali siano state adottate misura cautelari di carattere reale.
Infatti l’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. prevede espressamente che contro le ordinanze emesse a norma degli artt. 322-bis e 324 cod. proc. pen., la impugnazione di fronte a questa Corte è proponibile esclusivamente per il vizio di violazione di legge.
Da lungo tempo, in sede di interpretazione della predetta disposizione, questa Corte ha chiarito che l’ambito di detto vizio deve intendersi riferito non ai soli errores in iudicando o in procedendo, ma anche a quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Corte di cassazione, Sezione II penale, 20 aprile 2017, n. 18951), essendo in una siffatta ipotesi il prevvedimento, sostanzialmente privo dì motivazione, reso in contrasto con la puntuale previsione normativa contenuta nell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen.
Analogamente viziato sotto il profilo della violazione di legge, e pertanto censurabile di fronte alla Corte di cassazione, deve ritenersi il provvedimento con il quale è stato confermato un sequestro laddove quello presenti una motivazione disancorata rispetto alle peculiarità del caso concretamente sotto esame (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 17 ottobre 2014, n. 43480).
E’ questo, ad avviso della Corte il vizio che colpisce la ordinanza ora impugnata.
Deve, infatti, rilevarsi che, come lo stesso Tribunale di Napoli ha rilevato, la Commissione tributaria regionale di Napoli ha, con diverse sentenze i cui estremi e contenuti sono stati puntualmente indicati dalla parte ricorrente, annullato gli avviso di accertamento sulla base dei quali è stato determinato l’ammontare delle omissioni tributarie di cui la odierna ricorrente si sarebbe finanziariamente giovata, costituendo pertanto esso il profitto in ipotesi conseguito dalla I. sas a seguito degli illeciti tributari commessi da C.I..
A fronte di tale emergenza, cui ha fatto seguito anche la adozione da parte della Agenzia delle entrate dei provvedimenti di sgravio tributario in favore della I. sas relativamente ai carichi tributari originariamente ricavabili dagli avvisi di accertamento annullati, il Tribunale ha affermato che siffatta evenienza non appare idonea a paralizzare l’azione del giudice penale, posto che una diversa soluzione – nella quale l’autorità giudiziaria ordinaria si veda opporre, come elemento ostativo alla riconducibilità di una certa condotta alla categoria dell’illecito tributario, la esistenza di una pronunzia della giurisdizione tributaria che affermi la illegittimità degli atti impositivi emessi dalla amministrazione finanziaria – equivarrebbe a reintrodurre nel vigente ordinamento la pregiudiziale tributaria al processo penale.
Sul punto rileva, invero, questa Corte che essa stessa ha, in diverse occasioni, rilevato che, in termini apparentemente distonici con quanto sostenuto dal Tribunale partenopeo, il profitto, confiscabile anche per equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, con la conseguenza che lo stesso non è configurabile, e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di “sgravio” da parte dell’Amministrazione finanziaria (In questo senso, infatti: Corte di cassazione, Sezione III penale, 27 aprile 2017, n. 19994; idem Sezione III penale, 28 settembre 29015, n. 39187).
Al riguardo la ordinanza del Tribunale di Napoli ha osservato come le fattispecie allora esaminate in sede di legittimità divergessero sostanzialmente rispetto a quella ora in esame, posto che in questa vi è già, a differenza di quanto si sarebbe verificato in quelle, un accertamento in senso contrario a quello assunto in sede tributaria, acquisito nel corso di ben due gradi giudizio penale.
Al riguardo il Tribunale ha aggiunto che, in questa situazione di contrasto, non può tacersi il fatto che, diversamente da quanto avviene in sede penale, in cui vi è il principio della sostanziale libertà della prova e del libero convincimento del giudice, in sede tributaria le parti sono soggette ad una serie di vincoli istruttori che determinano delle forme di possibile preclusione all’accertamento della verità non opponibili, invece, nel giudizio penale.
Cosa che, prosegue il Tribunale, si sarebbe verificata anche nel caso di specie, in cui i giudizi in sede tributaria si sono conclusi in senso favorevole per il contribuente in ragione di un “deficit probatorio sulla consapevole partecipazione di I. sas (e per essa del suo legale rappresentante) alle ‘frodi carosello’, avendo il giudice tributario ritenuto che non fosse stata dimostrata la conoscenza dell’evasione ascrivibile al fornitore del prodotto alla società appellante e non potesse essere, perciò, esclusa la buona fede di C.I.”.
Osserva sul punto il Collegio che una siffatta forma di motivazione è del tutto apparente, e come tale censurabile anche di fronte a questa Corte sulla base delle argomentazioni riportate nella parte iniziale della presente sentenza, atteso che il Tribunale ha del tutto omesso di chiarire – ed in questo si annida la omessa contestualizzazione, in precedenza stigmatizzata, del principio generale rispetto alle peculiarità della singola fattispecie – in che termini le sentenze emesse in sede tributaria non abbiano condotto ad un effettivo accertamento della verità processuale, essendosi il giudice dell’appello cautelare, in una condizione in cui né in sede tributaria né in sede ordinaria si è giunti alla definitività delle pronunzie, limitato a rilevare, in termini sostanzialmente meramente assertivi ed autoreferenziali, la prevalenza dei dicta pronunziati in sede penale rispetto a quelli affermati nella sede tributaria.
In altre parole il Tribunale di Napoli ha del tutto omesso di precisare, in tale senso motivando in maniera largamente deficitaria del provvedimento emesso, le ragioni per le quali nel caso in esame gli esiti dei giudizi tributari che hanno condotto all’annullamento degli avvisi di accertamento emessi a carico dell’attuale ricorrente – cui ha peraltro fatto seguito l’adozione, senza neppure che si sia reso necessario il preventivo avallo della definitività delle decisioni in tal modo assunte, dei provvedimenti di sgravio tributario, tali da far considerare al momento inesistente l’obbligazione tributaria al cui adempimento la I. sas si sarebbe sottratta – non possano costituire (a causa delle ragioni, indicate in termini del tutto sommari dal giudice della ordinanza impugnata, che hanno condotto alla loro emissione) un elemento atto a far dubitare della perdurante sussistenza di un illecito profitto in capo alla attuale ricorrente.
Fattore questo determinante ai fini della conservazione del provvedimento cautelare posto che solo la sussistenza di tale illecito profitto integra l’elemento idoneo a giustificare, in funzione di una ventura confisca diretta, il permanere del sequestro preventivo in atto.
La ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata, essendo assorbito il secondo motivo di ricorso, con rinvio al Tribunale di Napoli, affinché, rivaluti le ragioni di fondatezza o meno dell’appello articolato a suo tempo dalla difesa dell’attuale ricorrente avverso il provvedimento emesso in data 4 aprile 2019 dalla Corte di appello di Napoli.
PQM
Annulla la ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame
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