Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 23025 depositata il 29 luglio 2020
reati tributari – dichiarazione fraudolenta – fatture per operazioni oggettivamente inesistenti – indeducibilità
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 8.11.2019 il Tribunale di Brescia, adito in sede di riesame ha confermato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato per l’importo di € 675.000 nei confronti di L.T., indagato del delitto di cui all’art. 2 d. lgs. 74/2000 per avere utilizzato nell’ambito della società dallo stesso amministrata, L.M. s.r.l., al fine di evadere l’imposta sui redditi e sul valore aggiunto, fatture per operazioni oggettivamente inesistenti per un importo di oltre due milioni di euro emesse dalla ditta individuale Living facente capo a C.R.. Secondo i giudici della cautela, quest’ultima sarebbe la promotrice di un sodalizio criminoso finalizzato alla commissione di reati fiscali attraverso un meccanismo fraudolento che contemplava la costituzione di una serie di società cartiere, per lo più ubicate all’estero, che emettevano fatture per operazioni inesistenti (forniture di materiale ferroso) nei confronti della Living, anch’essa non operativa in assenza di mezzi e strutture, la quale a sua volta riennetteva fatture per operazioni inesistenti nei confronti dei destinatari finali della merce, che veniva invece loro materialmente venduta da fornitori in nero, ricevendone indietro il pagamento che poi riversava alle società cartiere e che tramite queste confluiva su conti correnti esteri, subito dopo svuotati dai componenti dell’associazione criminosa mediante periodici prelievi di denaro, in parte redistribuito fra i fornitori sommersi in pagamento della merce e le società committenti, ed in parte trattenuto dagli ideatori della frode a titolo di compenso per le false fatture.
2. Avverso il suddetto provvedimento l’indagato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.
2.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 321 cod. proc. pen., che gli unici due elementi su cui si basava il costrutto accusatorio, ovverosia il contenuto dell’intercettazione n. 4209 del 30.10.2004 e le modalità di scambio tra Ronnina C.R. e la società amministrata dall’indagato della documentazione fiscale, non avevano alcuna valenza probatoria o comunque indiziaria. Quanto al contenuto della conversazione intercorsa tra la C.R. e L.T. sostiene che non vi fosse alcun elemento che consentisse di desumere che i due stessero pianificando un incontro per la restituzione del danaro corrisposto alla donna dal L.M. per il pagamento delle false fatture, tanto più che alla L.M. s.r.l. gli stessi inquirenti non avevano, a differenza delle altre società coinvolte nel disegno criminoso, affatto attribuito la natura di cartiera, e che comunque si era trattato di un unico colloquio che come tale non poteva essere assimilato ai reiterati incontri e contatti telefonici intrattenuti dalla C.R. con tutti gli altri coindagati implicati nell’operazione fraudolenta ai danni del fisco. Quanto alle mail con le quali la Living e la L.M. si scambiavano i d.d.t. delle merci destinate agli acquirenti finali sostiene che trattavasi di una prassi rispondente all’esigenza di non far conoscere ai propri clienti la sua fonte di approvvigionamento, così da evitare che costoro si rivolgessero direttamente alla Living per i loro acquisti, bypassandolo come intermediario. Lamenta in definitiva il ricorrente che su tali specifiche questioni, oggetto delle doglianze spiegate con l’atto di riesame, il Tribunale non abbia fornito alcuna specifica risposta, limitandosi ad assumere in termini apodittici dapprima l’oggettiva inesistenza delle fatture, per poi smentirsi parlando, in termini del tutto ondivaghi, di inesistenza soggettiva delle stesse fatture senza neppure considerare l’eventualità, invece reale, che l’indagato ignorasse che gli acquisti della merce fossero effettuati in nero.
2.2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 2 d. lgs. 74/2000, che lo schema delle accuse mosse nei suoi confronti non concerneva affatto prestazioni oggettivamente inesistenti, bensì, venendo riconosciuto che la merce veniva comunque fornita agli acquirenti da fornitori in nero ai quali C.R., una volta ottenuto il pagamento delle false fatture emesse dalla Living, corrispondeva il prezzo, fatture soggettivamente inesistenti, ovverosia corrispondenti a costi effettivamente sostenuti ma non versati ai soggetti emittenti le relative fatture. Sostiene pertanto che all’inesistenza soggettiva dei costi non corrispondeva alcun risparmio di imposta per l’impresa che riportava tali costi nella sua dichiarazione dei redditi o sul valore aggiunto, atteso che i costi indeducibili secondo l’art. 8 d.l. 16/2012 sono solo quelli afferenti all’acquisto di beni o prestazioni di servizio riconducibili ad un contesto illecito cui il dichiarante abbia partecipato: pertanto in mancanza del fumus in ordine alla partecipazione della L.M. alle frodi fiscali organizzate dalla Living, non vi erano i presupposti per la contestazione dell’utilizzazione di false fatturazioni all’indagato.
2.3. Con il terzo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 322-ter cod. proc. pen., il criterio di ricostruzione utilizzato per la determinazione del reddito imponibile della L.M. s.r.l., costituito dalla sottrazione, con una semplice operazione algebrica, dal reddito dichiarato degli elementi passivi, senza tenere conto dei costi riferibili ai ricavi accertati, in violazione del principio derivante dallo stesso art. 53 Cost. che qualifica la capacità contributiva come la risultante algebrica tra costi e ricavi. Conseguentemente il profitto del reato in contestazione era stato erroneamente determinato in eccesso rispetto al quantum effettivamente dovuto, non essendosi proceduto allo scorporo dal bilancio di esercizio dei costi, da determinarsi induttivamente, relativi alle partite contestate, il cui risultato soltanto avrebbe potuto essere attinto dal sequestro per equivalente.
3. Con successiva memoria la difesa del ricorrente ha replicato alle conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale in ordine all’inammissibilità del ricorso, assumendo che le doglianze svolte con il primo motivo attengono alla congruità dei contenuti dell’intercettazione esaminata rispetto alla tesi della partecipazione del prevenuto, cui viene riconosciuto dagli stessi inquirenti il ruolo di soggetto svolgente reale attività commerciale al sodalizio criminoso ordito ai danni del Fisco attraverso la costituzione di società fittizie; che, quanto al secondo motivo, che egli non era mai stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, onde irrilevante è la circostanza che le suddette fatture costituiscano la copertura di prestazioni acquisite da altri soggetti, incentrandosi il motivo di censura sulla mancanza di consapevolezza in capo al L.M. delle frodi fiscali commesse dalla Living; che con il terzo motivo viene contestata in relazione alla quantificazione del profitto confiscabile l’omessa considerazione dei costi, che avrebbero dovuto essere determinati in via induttiva sulla base della percentuale del 60%, applicata allo specifico settore merceologico relativo al materiale ferroso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Le censure articolate con il primo motivo, apparentemente costruite come violazione dell’art. 321 cod. proc. pen., tradiscono in realtà, essendo esclusivamente incentrate sulla valutazione degli elementi indiziari posti a fondamento dell’ordinanza impugnata, censure di esclusivo stampo motivazionale in violazione del disposto di cui all’art. 325 cod. proc. pen. che circoscrive al solo vizio di violazione di legge l’esperibilità del ricorso per cassazione avverso le ordinanze pronunciate a seguito di appello o di procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro. Se è vero che tra gli ‘errores in iudicando’ o ‘in procedendo’, rientrano anche quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argonnentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692), nella specie è la stessa dettagliata confutazione articolata dalla difesa ad escludere che ci si trovi di fronte ad un provvedimento la cui motivazione sia carente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato, rientrando semmai il vizio denunciato nella manifesta illogicità preclusa dalla disposizione di cui all’art.325 c.p.p..
Peraltro le contestazioni svolte si caratterizzano per un approccio limitato ad una lettura atomistica del singolo dato indiziario ignorando, sia la pluralità delle singole risultanze a carico del ricorrente, intersecantesi le une con le altre, sia la sottostante complessiva vicenda oggetto di indagine, costituita da un programma delittuoso predefinito che, prefiggendosi l’obiettivo di frodare il fisco attraverso la costituzione di una impresa filtro, appositamente costituita ma di fatto non operativa, la Living, e di altre società cartiere che si frapponevano cartolarmente negli scambi di merce e danaro tra fornitori effettivi e destinatari finali, rendeva seriali le modalità di attuazione della condotta criminosa, di talchè la motivazione resa sulla specifica posizione dell’indagato ne impone una lettura congiunta con le argomentazioni spese a sostegno del meccanismo fraudolento posto in essere dall’associazione riconducibile a C.R., promotrice ed organizzatrice della complessiva operazione.
Al riguardo i giudici del riesame hanno dettagliatamente illustrato come costei avesse istituito una serie di società fittizie, ovverosia prive di mezzi e di risorse (come appurato tramite i servizi di o.c.p. le intercettazioni telefoniche e le ispezioni eseguite presso la sede di ciascuna di esse), al solo fine di far loro emettere fatture per la merce, costituita materiale ferroso, che veniva invece fornita agli acquirenti finali da fornitori in nero, destinate alla Living, ditta individuale anch’essa fittizia facente capo alla C.R., la quale a sua volta riemetteva fatture anch’esse oggettivamente inesistenti in quanto relative a beni che non erano mai transitati nella sede della ditta e che quest’ultima non poteva perciò provvedere a consegnare, nei confronti dei destinatari effettivi ricevendone indietro il pagamento del prezzo fatturato. La C.R. a sua volta riversava le somme incassate alle società cartiere trasferendolo su conti correnti per lo più esteri che venivano da lei stessa, come dagli altri componenti del sodalizio, subito dopo progressivamente svuotati, destinando il danaro in parte ai fornitori in nero in pagamento della merce e per la parte restante retrocedendolo agli acquirenti dopo averne trattenuto per sé una percentuale quale compenso per i servizi prestati, assicurandosi in tal modo un guadagno personale diretto e consentendo al contempo ai destinatari finali di precostituirsi una sovrafatturazione di costi relativamente alla merce, acquistata invece a prezzi considerevolmente inferiori.
All’interno di tale meccanismo fraudolento si colloca la società gestita dall’indagato che, avendo ad oggetto la vendita di materiale ferroso, faceva parte dei destinatari finali dei beni oggetto delle fatture inesistenti, invece ricevuti dai fornitori sommersi, attraverso un circuito in cui la Living e con essa le cd. società cartiere si frapponevano solo cartolarmente con l’emissione delle false documentazioni. A riprova dell’intervenuta retrocessione del danaro versato in pagamento dalla Living, il Tribunale lombardo evidenzia in primis una conversazione telefonica tra il L.M. e la C.R. in data 30.10.2014 che ritiene, secondo deduzioni ampiamente logiche e collimanti con gli ulteriori esiti delle indagini, emblematica dell’accordo raggiunto fra i due per la corresponsione nei giorni immediatamente successivi del danaro brevi manu dovuto all’indagato in ragione sia del contenuto volutamente criptico, ma comunque facente riferimento ad un “viaggio” coincidente con la trasferta della C.R. in Ungheria, venuta alla luce a seguito del sequestro della valuta avvenuto proprio in una delle date indicate, sia dell’analogia con le conversazioni di norma intrattenute da costei, come constatato attraverso le ulteriori intercettazioni acquisite, le quali non costituiscono oggetto di alcuna contestazione difensiva, attestanti i viaggi all’estero della donna al fine di prelevare il contante e gli accordi per la sua ripartizione con gli altri acquirenti finali della merce che, a differenza del L.M., operavano in Lombardia e dunque nella stessa zona di residenza della promotrice.
A tale dato si aggiunge quello ulteriore del contenuto della corrispondenza via mali trai due coindagati dalla quale risulta che la Living inviava per posta elettronica i d.d.t. alla L.M. che li restituiva debitamente firmati, segno questo del fatto che la merce cui si riferiva il suddetto supporto cartaceo non si accompagnava ad essa così come presuppone funzionalmente il documento di trasporto. Peraltro, quand’anche come concede la ordinanza impugnata, si dovesse aderire alla prospettazione difensiva, secondo cui la società L.M. avrebbe svolto il ruolo di intermediario della Living presso la clientela, non verrebbe comunque meno la inesistenza soggettiva delle fatture che comunque erano relative a merci che non provenivano dalla ditta di C.R., onde inconferente è il rilievo difensivo secondo cui l’indagato avrebbe potuto ignorare che quest’ultima acquistasse i beni in nero.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
L’argomento difensivo, secondo il quale i costi sostenuti per i beni o i servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti qualificabili come delitto non colposo per il quale sia stata esercitata l’azione penale non sono deducibili, non dimostra l’estraneità dell’indagato alla frode fiscale. Non viene contestato infatti che a costui venisse restituita parte del danaro versato per l’acquisto della merce, evidentemente sovrafatturato dalla Living rispetto al costo effettivo corrisposto ai fornitori in nero: trattasi di condotta di inequivoca valenza indiziaria in ordine alla partecipazione consapevole del ricorrente al meccanismo fraudolento, posto che altrimenti questi non avrebbe avuto ragione di riavere del danaro indietro. In ogni caso, come correttamente osserva il PG, in tema di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, i costi relativi alle stesse non sono mai deducibili, con la conseguenza che la loro indicazione in dichiarazione configura una finalità di evasione e realizza un corrispondente profitto senza che rilevi in senso contrario la circostanza che, pur avendo sostenuto tali costi nei confronti del soggetto fittiziamente interposto, il destinatario della fattura sia tenuto a corrispondere nuovamente l’Iva al soggetto che ha realmente fornito la prestazione, quale normale conseguenza di ogni interposizione fittizia (Sez. 3, n. 29977 del 12/02/2019 – dep. 09/07/2019, ROMANO VINCENZO, Rv. 276289). Al riguardo va infatti puntualizzato che l’indeducibilità dei costi documentati da fatture soggettivamente inesistenti, secondo l’interpretazione consolidata della Sezione tributaria questa Corte, dal rilievo che l’intero meccanismo dell’Iva poggia sul presupposto che il tributo sia versato a chi ha eseguito prestazioni imponibili e che a sua volta potrà compensarla con l’Iva corrisposta per l’acquisto di beni e di servizi, non sussistendo alcuna simmetria tra pagamento dell’Iva e diritto al rimborso, stante l’applicabilità dell’imposta alle sole operazioni che oggettivamente e soggettivamente sono comprese nella sfera di operatività del tributo (cfr. Sez. 5 civile, n. 5719 del 12/03/2007, Rv. 596605; Sez. 5, ord. n. 6 ,o 23987 del 13/11/2009, Rv. 610032; Sez. 5 civile, n. 2 735 del 19/01/2010, Rv. 611260). E poiché l’esposizione di dati fittizi anche solo soggettivamente implica la creazione delle premesse per un rimborso al quale non si ha diritto, deve ribadirsi che la detrazione Iva è ammessa solo in presenza di fatture provenienti dal soggetto che effettua la cessione o la prestazione, senza che possano entrare in gioco quelle emesse da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, indipendentemente dalla circostanza che le medesime fatture costituiscano la “copertura” di prestazioni acquisite da altri soggetti.
3. Quanto al terzo motivo con il quale viene contestata l’erronea determinazione del profitto confiscabile per omesso esame dei costi riferibili ai ricavi accertati, le doglianze svolte risultano aspecifiche e comunque non autosufficienti. Va rilevato al riguardo che il profitto confiscabile risulta essere stato calcolato con riguardo all’imposta sul valore aggiunto sulla base delle false fatture utilizzate ai fini IVA, mentre quanto alle imposte sui redditi il ricorrente non ha specificato in quali termini la questione fosse stata prospettata in sede di riesame al fine di consentire al Tribunale bresciano di quantificare esattamente l’importo dell’imposta evasa, non potendosi ritenere applicabile il riferimento ai costi presunti, desunti in via induttiva sulla base della percentuale apoditticamente indicata solo nella successiva memoria di replica depositata dalla difesa successivamente alle conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale.
Il ricorso deve in conclusione essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi per ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000 in favore della Cassa delle Ammende
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