Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 23038 depositata il 29 luglio 2020
reati tributari -sequestro per equivalente – somme di denaro
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata ordinanza il Tribunale di Caltanissetta ha respinto l’appello cautelare, ex art. 322 bis cod.proc.pen., avverso l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Gela con la quale era stata rigettata l’istanza di dissequestro delle somme di denaro esistenti sui conti correnti bancari intestati alle società IX srl e FX srl, di cui S.A. è legale rappresentante.
Il tribunale cautelare, premesso che si procede nei confronti di S.A. per il reato di cui all’art. 10 – quater d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, oggetto di incolpazione provvisoria al capo 35), nell’ambito di una complessa indagine nei confronti di numerosi soggetti indiziati di avere costituito un’associazione a delinquere finalizzata a commettere reati fiscali, e che era stato emesso decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato tributario, che aveva trovato esecuzione, in due momenti temporalmente diversi, sulle somme di denaro rivenute sui conti correnti delle due società, ha rigettato l’appello del ricorrente, che sosteneva l’insussistenza dei presupposti di legge per l’adozione della misura cautelare reale in riferimento alle somme di denaro presenti sui conti correnti delle società in epoca successiva alla data di consumazione del reato o, quantomeno, per le giacenze successive al primo sequestro. Ha richiamato il tribunale l’elaborazione giurisprudenziale della Corte di cassazione, a cui mostra di aderire, secondo cui il mantenimento del Vincolo sulle somme di denaro, anche depositate in tempi successivi al momento della commissione del reato o del suo accertamento è legittimo purchè risulti dimostrato essere, il denaro sequestrato, in qualche modo collegabile al reato, perciò allo stesso legato da un rapporto di derivazione anche diretta,ed ha ritenuto che tali presupposti ricorrevano, nel caso in esame, dal momento che la stessa prosecuzione dell’attività imprenditoriale, in un contesto nel quale era stato accertato un profitto per le illecite compensazioni pari a € 900.000,00, doveva essere necessariamente stata influenzata dal mancato esborso della medesima somma di denaro, costituente il risparmio di spesa integrante il profitto del reato, che aveva condizionato la stessa sopravvivenza dell’impresa che, appunto, ne aveva beneficiato. Peraltro, evidenzia il tribunale, la difesa non era stata in grado di dimostrare la provenienza lecita delle somme sequestrate e depositate suo conti in epoca successiva al decreto di sequestro essendo le allegazioni difensive del tutto generiche.
2. Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo, con un unico motivo di ricorso, la violazione di cui all’art. 321 comma 2 cod.proc.pen.
Secondo il ricorrente l’ordinanza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto che la lettura dell’art. 321 comma 2 cod.proc.pen. consenta il sequestro di somme di denaro che non abbiano alcun nesso di pertienenzialità con il reato presupposto anche nell’ipotesi di confisca diretta. Non avrebbe, poi, fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui è illegittima l’apprensione diretta di somme di denaro in base ad un titolo lecito, ovvero in relazione ad un credito sorto dopo la commissione del reato laddove risulti provato che tali somme siano collegabili indirettamente all’illecito contestato. Nel caso in esame il sequestro delle somme di denaro depositate dopo il momento consumativo del reato o, quantomeno, dopo il primo sequestro che aveva azzerato i conti correnti, non sarebbe configurabile quale profitto del reato sequestrabile in quanto risparmio di spesa. In presenza di rimesse di terzi successive al decreto di sequestro, in assenza di prova di derivazione dal reato, queste non sarebbero sequestrabili in via diretta come deciso anche in altra pronuncia dal tribunale del riesame di Brescia in procedimento analogo.
3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso per cassazione non è fondato.
Tenuto conto del limite del sindacato di legittimità nei procedimenti penali avverso i provvedimenti cautelari reali, che ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., circoscrive il ricorso per cassazione soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge, la dedotta violazione di legge non è fondata.
L’ordinanza impugnata è sorretta da adeguata, e dunque non apparente, motivazione che si pone in linea con gli arresti della giurisprudenza di questa Corte di legittimità formatasi a partire dalla nota S.U. Lucci.
Costituisce insegnamento di questa Suprema Corte, in tema di reati tributari, che il profitto confiscabile, anche nella forma per equivalente, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036; Sez. 3, n. 11836 del 04/07/2012, Bardazzi, Rv. 254737; Sez. 5, n. 1843 del 10/11/2011, Mazzieri, Rv. 253480; Sez.3, n.1820 del 27/11/2013, Rv.257918; più in generale, sulla riconducibilità al profitto del “risparmio di spesa, Sez. U, n. 38343, n. 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261117).
In tale ambito, le Sezioni Unite Lucci hanno affermato che ove il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (Sez. Un., n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437). Proprio la natura fungibile del bene, che, come sottolineato dalle Sezioni Unite Lucci, si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, è tale da perdere – per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo – qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica, rende superfluo accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita; “ciò che rileva”, proseguono le Sezioni Unite, è che “le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo“.
Non di meno, proprio in ragione di ciò, ed in senso esattamente corrispondente, seppure a contrario, al principio enunciato dalle Sezioni Unite, deve escludersi l’apprensione delle somme giacenti sul conto corrente laddove vi sia la prova che tali somme non possano proprio in alcun modo derivare dal reato. In tale ambito, nel solco delle Sezioni Unite è stato, poi, ulteriormente precisato che la natura fungibile del denaro non consente la confisca diretta delle somme depositate su conto corrente bancario dell’imputato, ove si abbia la prova che le stesse non possono in alcun modo derivare dal reato e costituiscano, pertanto, profitto dell’illecito; e tanto in senso esattamente corrispondente, seppure a contrario, al principio enunciato dalle SU Lucci, perché, ove si abbia la prova che le somme non possano proprio in alcun modo derivare dal reato, le stesse neppure possono, evidentemente, rappresentare il risultato della mancata decurtazione del patrimonio quale conseguenza del mancato versamento delle imposte (ovvero, in altri termini del “risparmio di imposta” nel quale la giurisprudenza ha costantemente identificato il profitto dei reati tributari), e, quindi, non sono sottoponibili a sequestro difettando in esse la caratteristica di profitto, pur sempre necessaria per potere procedere, in base alle definizioni e ai principi di carattere generale, ad un sequestro in via diretta (cfr Sez.3, n.8995 del 30/10/2017, Rv.272353; Sez.3, n. 41104 del 12/07/2018, Vincenzini Rv.274307; – 01; Sez. 3 n. 6348 del 04/10/2018, Torelli, Rv. 274859 – 01). Allo stesso modo è illegittima l’apprensione diretta delle somme di denaro entrate nel patrimonio dell’imputato in base ad un titolo lecito, ovvero in relazione ad un credito sorto dopo la commissione del reato, laddove non risulti provato che tali somme siano collegabili, anche indirettamente, all’illecito commesso sentenza (Sez. 6, n. 6816 del 29/01/2019 Sena, Rv. 275048 – 01).
5. Con riferimento al caso in esame è possibile, dunque, affermare che – laddove il profitto del reato sia costituito da denaro non più fisicamente identificabile – è sempre legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, senza che sia necessaria la dimostrazione del nesso di derivazione dal reato, delle somme di denaro di valore corrispondente che siano attribuibili all’indagato, cioè che siano presenti sui conti o sui depositi nella disponibilità diretta o indiretta dell’indagato al momento della commissione del reato ovvero al momento del suo accertamento. La medesima forma di sequestro è legittima anche sulle somme di valore corrispondente accreditate su quei conti o su quei depositi in epoca posteriore al momento della commissione o dell’accertamento del reato, purché si tratti di numerano che risulti dimostrato essere in qualche modo collegabile al reato, perciò allo stesso legato da un rapporto di derivazione anche indiretta.
Quanto a questo secondo aspetto, l’ordinanza impugnata ha svolto due profili argomentativi: sotto un primo profilo ha argomentato che quanto sequestrato costituiva profitto del reato in quanto il risparmio di spesa, risparmio di spesa che aveva consentito la prosecuzione dell’attività imprenditoriale, ma ha anche evidenziato che il ricorrente poteva vantare titoli solo apparentemente leciti per giustificare la non sequestrabilità delle somme depositate successivamente alla prima esecuzione del sequestro operato sul conto corrente. In altri termini era mancata la prova, di cui è onerato il ricorrente, che le somme di denaro sequestrate successivamente avessero titolo lecito sicchè non potevano essere ritenute di derivazione dal reato contestato.
6. Conclusivamente è sempre legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, senza che sia necessaria la dimostrazione del nesso di derivazione dal reato, delle somme di denaro di valore che siano presenti sui conti correnti o sui depositi nella disponibilità diretta dell’indagato al momento della commissione del reato ovvero al momento del suo accertamento; la medesima forma di sequestro è legittima anche sulle somme di valore corrispondente accreditate su quei conti o su quei depositi in epoca posteriore al momento della commissione o dell’accertamento del reato, salvo che l’indagato dimostri che l’accrescimento del conto corrente sia dovuto a titolo lecito essendo illegittima l’apprensione diretta delle somme di denaro entrate nel patrimonio dell’imputato in base ad un titolo lecito la cui allegazione è onere di questi.
7. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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