CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 23179 depositata il 23 maggio 2018
Omesso versamento ritenute previdenziali – Applicazione della normativa previgente con l’applicazione della disciplina del reato continuato per il caso di plurime condotte omissive – Non sussiste – Reato già perfezionato, nel momento e nel mese in cui l’importo non versato, superi l’importo di 10.000 euro – Irrilevanti le ulteriori omissioni nei mesi successivi dello stesso anno – Reato unitario a consumazione prolungata – Individuazione del termine di prescrizione – Norma più favorevole individuata in quella previgente
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 21 settembre 2017, la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano che aveva condannato C.F., nella qualità di legale rappresentante della “C.A.O. srl”, in ordine al reato di cui agli artt. 81 comma 2 cod. pen. e 2 d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito dalla legge 11 novembre 1983, n. 638 per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori per il periodo agosto-dicembre 2010, per un ammontare complessivo di € 26.347,00, alla pena sospesa di mesi cinque di reclusione e € 700 di multa.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp.att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione all’erronea applicazione dell’art. 2 comma 4 cod.pen. e art. 2 legge n. 638 del 1983 in relazione alla motivazione con riferimento agli artt. 132 e 133 cod.pen. sulla determinazione della pena e degli aumenti per la continuazione.
Assume il ricorrente che la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto il reato di omesso versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, come modificato a seguito del d.lgs n. 8 del 2016, quale reato unico a consumazione prolungata, qualora l’importo sia superiore a € 10.000,00, laddove la corte avrebbe dovuto confrontare, ai sensi dell’art. 2 comma 4 cod.pen., le diverse normative succedutesi nel tempo e addivenire alla conclusione che quella in vigore al momento del fatto era la più favorevole, da cui la conclusione che le ulteriori omissioni dopo la prima avrebbero dovuto essere poste in continuazione interna determinando un trattamento sanzionatorio più favorevole nel quale doveva essere individuata la pena base e quantificati gli ulteriori aumenti per la continuazione.
2.2. Violazione di legge in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche fondato unicamente sul precedente penale.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego di sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria ai sensi dell’art. 53 della legge n. 689 del 1981.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
4. Il primo e secondo motivo di ricorso sono inammissibili per la proposizione di censure manifestamente infondate, la sentenza deve essere annullata in accoglimento del terzo motivo di ricorso che è fondato.
5. E’ manifestamente infondata la censura devoluta nel primo motivo di ricorso in relazione alla quantificazione della pena in conseguenza della configurazione del reato, a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs 15 gennaio 2016, n. 8, quale reato unico a consumazione progressiva (Sez. 3, n. 37232 del 11/05/2016, Lanzoni, Rv 268308) e invoca l’applicazione del vecchio regime con l’applicazione della disciplina del reato continuato per il caso di plurime condotte omissive.
A seguito di depenalizzazione del reato di cui all’art. 2, comma 1-bis d.l. 12.9.1983 n. 463, conv. in I. 11.11.1983 n. 638, per effetto dell’art. 3 comma 6 d.lgs 15 gennaio 2016, n. 8, il delitto di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali, di cui all’art. 2, comma 1-bis d.l. 12.9.1983 n. 463, conv. in legge 11/11/1983 n. 638, è stato sostituito dalla seguente formulazione: «L’omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1, per un importo superiore a euro 10.000 annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032. Se l’importo omesso non è superiore a euro 10.000 annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000. Il datore di lavoro non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto della violazione».
Stabilendo che l’omesso versamento delle ritenute previdenziali integra reato ove l’importo sia superiore a quello di 10.000 euro annui, il legislatore non si è limitato semplicemente ad introdurre un limite di “non punibilità” delle condotte lasciando inalterato, per il resto, l’assetto della precedente figura normativa (che, come noto, nessun limite prevedeva), ma ha configurato tale superamento, strettamente collegato al periodo temporale dell’anno, quale vero e proprio elemento caratterizzante il disvalore di offensività che viene a segnare, tra l’altro, il momento consumativo dello stesso (Sez. 3, n. 37232 del 11/05/2016, Lanzoni, Rv 268308).
In altri termini, il reato deve ritenersi già perfezionato, in prima battuta, nel momento e nel mese in cui l’importo non versato, calcolato a decorrere dalla mensilità di gennaio dell’anno considerato, superi l’importo di 10.000 euro senza che, peraltro, attesa, come si è detto, la necessaria connessione con il periodo temporale dell’anno, le ulteriori omissioni che seguano nei mesi successivi dello stesso anno sino al mese finale di dicembre possano “aprire” un nuovo periodo e, dunque, dare luogo, in caso di secondo superamento, ad un ulteriore reato. Tali omissioni, infatti, contribuiscono ad accentuare la lesione inferta al bene giuridico per effetto del già verificatosi superamento dell’importo di legge sicché, da un lato, non possono semplicemente atteggiarsi quale post factum penalmente irrilevante e, dall’altro, approfondendo il disvalore già emerso non possono segnare in corrispondenza di ogni ulteriore mensilità non versata, un ulteriore autonomo momento di disvalore (che sarebbe infatti assorbito da quello già in essere). Ricorre, in realtà dunque, a ben vedere, alla stessa stregua di altre figure criminose una fattispecie caratterizzata dalla progressione criminosa nel cui ambito, una volta superato il limite di legge, le ulteriori omissioni nel corso del medesimo anno si atteggiano a momenti esecutivi di un reato unitario a consumazione prolungata la cui definitiva cessazione viene a coincidere con la scadenza prevista dalla legge per il versamento dell’ultima mensilità, ovvero, come noto, con il termine del 16 del mese di gennaio dell’anno (Sez. 3, n. 37232 del 11/05/2016, Lanzoni, cit.).
6. Quanto sopra comporta che il reato debba essere considerato unitario e dunque non deve essere operato l’aumento per la continuazione. La nuova disposizione è norma più favorevole applicabile ai sensi dell’art. 2 comma 4 cod.pen. ai procedimenti in corso, per l’ovvia conseguenza che nell’arco annuale in cui rileva l’omissione non deve essere operato l’aumento per la continuazione che, secondo la vecchia formulazione dell’art. 2 cit, era conseguente alla consumazione mese per mese della fattispecie di reato. Mentre nel precedente assetto normativo il reato si consumava in corrispondenza di ogni omesso versamento mensile (cfr., da ultimo, Sez.3, n. 26732 del 05/03/2015, P.G. in proc. Bongiorno, Rv. 264031) e ciò comportava l’applicazione della disciplina del reato continuato, nell’attuale e nuovo la consumazione appare coincidere, secondo una triplice diversa alternativa, o con il superamento, a partire dal mese di gennaio, dell’importo di euro 10.000 ove allo stesso non faccia più seguito alcuna ulteriore omissione, o con l’ulteriore o le ulteriori omissioni successive, sempre riferite al medesimo anno ovvero, definitivamente e comunque, laddove anche il versamento del mese di novembre sia omesso, con la data del 16 dicembre (S.U., n. 10424 del 18/01/2018, Del Fabro, Rv. 272163 cfr. par. 5).
Se per individuare il termine di prescrizione, norma più favorevole deve essere individuata in quella previgente, secondo cui il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali (art. 2, D.L. 12 settembre 1983, n. 463, conv. in legge 11 novembre 1983, n. 638), in quanto reato omissivo istantaneo, si consumava nel momento in cui scadeva il termine utile concesso al datore di lavoro per il versamento, attualmente fissato, dall’art. 2, comma primo, lett. b) del D.Lgs. n. 422 del 1998, al giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi, essendo irrilevante, ai fini dell’individuazione del momento consumativo, che la data per adempiere al pagamento sia fissata nei tre mesi successivi alla contestazione della violazione, poichè la pendenza di tale termine determina esclusivamente la sospensione del corso della prescrizione per il tempo necessario a consentire al datore di lavoro di avvalersi della causa di non punibilità di cui all’art. 2, comma primo bis, del citato D.L. (Sez. 3, n. 26732 del 05/03/2015, Rv. 264031), in relazione alla disciplina del trattamento sanzionatorio, norma più favorevole deve essere individuata in quella oggi vigente per effetto della modifica del d.lgs n. 8 del 2016 in ragione della configurazione del reato quale unitario a consumazione progressiva (S.U., n. 10424 del 18/01/2018, Del Fabro, Rv. 272163 cfr. par. 5).
Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha correttamente considerato il reato quale reato unitario ed ha, conseguentemente, applicato la pena senza operare l’aumento per la continuazione. La censura appare manifestamente infondata.
7. Il secondo motivo di ricorso è, anch’esso, manifestamente infondato.
La corte territoriale ha negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in ragione del precedente penale e della non esiguità degli importi non versati.
La Corte milanese si è attenuata al principio di diritto, costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere la possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo e altri, Rv. 252900). Il riconoscimento o meno di tale circostanza è un giudizio di fatto che compente alla discrezionalità del giudice, sottratto al controllo di legittimità, in presenza di congrua motivazione. Peraltro, nel menzionato giudizio il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod.pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchè anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione del reato può essere sufficiente a riconoscerle ovvero ad escluderle (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi e altri, Rv. 242419).
Sulla scorta di tali principi, si appalesano all’evidenza prive di base solida le doglianze mosse dal ricorrente laddove la Corte territoriale, in risposta ai motivi d’appello, ha evidenziato l’assenza di elementi positivi ed ha indicato ben due elementi negativi.
8. Fondato è, invece, il terzo motivo di ricorso.
La sentenza impugnata nell’escludere la conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, ex art. 53 delle legge n. 689 del 1981, in ragione della prognosi negativa di adempimento della sanzione pecuniaria fondata sull’assenza di dimostrazione di attività lavorativa lecita svolta dall’imputato (pag. 5), non ha fatto corretta applicazione dell’indirizzo ermeneutico espresso da S.U. n. 24476 del 2010, secondo cui la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria è consentita anche in relazione a condanna inflitta a persona in condizioni economiche disagiate, in quanto la prognosi di inadempimento, ostativa alla sostituzione in forza dell’art. 58, secondo comma, legge 24 novembre 1981 n. 689 (“Modifiche al sistema penale”), si riferisce soltanto alle pene sostitutive di quella detentiva accompagnate da prescrizioni, ossia alla semidetenzione e alla libertà controllata, e non alla pena pecuniaria sostitutiva, che non prevede alcuna particolare prescrizione. Nell’enunciare tale principio, le S.U. citate hanno affermato che, nell’esercitare il potere discrezionale di sostituire le pene detentive brevi con le pene pecuniarie corrispondenti, il giudice deve tenere conto dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., tra i quali è compreso quello delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale dell’imputato, ma non quello delle sue condizioni economiche (S.U. n. 24476 del 22/04/2010, Gagliardi, Rv. 247274; Sez. 3, n. 17103 del 08/03/2016, Bolognini, Rv. 266639; Sez. 6, n. 36639 del 10/07/2014, Sgura, Rv. 260333).
9. Conclusivamente la sentenza va annullata con rinvio limitatamente alla concedibilità della sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano, nel resto il ricorso va dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 624 cod.proc.pen. va dichiarata l’irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della responsabilità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla concedibilità della sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Dichiara l’irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della responsabilità.
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