Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 23402 depositata l’ 11 giugno 2024

confisca per equivalente del profitto del reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’art. 640-bis pen.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 21 settembre 2023 e depositata il 4 ottobre 2023, il Tribunale di Udine, pronunciando in materia di misure cautelari reali, ha respinto la richiesta di riesame presentata nell’interesse di T.P. avverso l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Udine, che ha disposto, nei confronti della stessa, sia il sequestro preventivo a fini di confisca diretta della somma di somma di euro 546.822,00, in caso di impossibilità del sequestro preventivo a fini di confisca diretta di tale somma a carico della ditta “E. srl”

Il sequestro preventivo nei confronti della ricorrente è stato ordinato: 1) a fini di confisca diretta, per i reati di cui agli artt. 483 cod. pen., 13-bis d.l. n. 34 del 2000 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, in relazione alla somma di 29.000,00 euro, avendo riguardo al prezzo pagato alla stessa per il rilascio delle false attestazioni, quale tecnico che aveva asseverato il regolare compimento delle opere appaltate e fatturate, fatto costituente presupposto per la generazione del credito di imposta da c.d. “superbonus” in capo alla società appaltatrice “E. srl”; 2) a fini di confisca per equivalente, per il reato di cui all’art. 640-bis cod. pen., in relazione alla somma di 546.822,00 euro, avendo riguardo al profitto di tale reato, quantificato nei proventi conseguiti dalla società “E. srl” mediante le cessioni a terzi di crediti di imposta generati mediante le false attestazioni sopra indicate, per un valore nominale di 685.827,04.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe T.P., con atto sottoscritto dall’avvocato Pierenrico Scalettaris, articolando un motivo, preceduto da una premessa nella quale si descrive sinteticamente l’evoluzione delle indagini e del procedimento.

Con il motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 56, 640- bis, 640-quater e 322-ter cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta configurabilità del reato di truffa aggravata ai danni dello Stato consumata, e, quindi, all’applicabilità della confisca per equivalente.

Si deduce che erroneamente l’ordinanza impugnata reputa configurabile il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, ritenendo sufficiente, ai fini della sua consumazione, il riconoscimento del credito d’imposta da parte dell’Agenzia delle Entrate, con conseguente ingresso nel cassetto fiscale del (formale) titolare, ed irrilevante, invece, l’utilizzo di tale credito mediante compensazione.

Si osserva che questa soluzione: a) accoglie una nozione giuridica e non economica del patrimonio quale bene giuridico protetto dai reati di truffa; b) presuppone l’impossibilità del recupero della somma una volta venuto ad esistenza il credito, sebbene la disciplina sull’opponibilità all’Erario del credito inesistente attribuisca rilievo, in proposito, alla buona fede e alla diligenza dell’acquirente (art. 121, comma 5, ci.I. n. 34/2020); c) non considera come solo la compensazione effettuata da parte del terzo determini il mancato incameramento o la “rinuncia” alle somme dovute. Si segnala, ancora, che la necessità del danno economico per la P.A., ai fini della configurabilità del reato di truffa aggravata ai danni dello Stato è confermato anche dalla previsione della fattispecie di cui all’art. 316-ter cod pen., la quale è posta a tutela del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione e contiene una clausola di sussidiarietà rispetto al delitto di cui all’art. 640-ter cod. pen.: sulla base di questa disciplina, nel caso di semplice ottenimento del credito di imposta, mentre è ipotizzabile il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche, deve escludersi identica conclusione con riferimento alla truffa aggravata, per la cui consumazione occorre un danno patrimoniale in senso economico.

Si precisa che il fatto, nella specie, si caratterizza per tre segmenti logicamente e cronologicamente distinti. Il primo segmento ha ad oggetto l’espletamento della pratica per l’ottenimento dei crediti di imposta, nel quale si colloca la (ipotizzata) falsa asseverazione effettuata dall’attuale ricorrente, e la generazione del credito di imposta in capo alla società appaltatrice “E. srl”, mediante il meccanismo dello “sconto” in fattura, a norma dell’art. 121, comma 1, lett. a), d.l. n. 34/2020. Il secondo segmento è relativo alle cessioni dei crediti di imposta così maturati dalla ditta appaltatrice a terzi, avvenute per un valore nominale di 685.827,04, e in cambio di corrispettivi per un totale di 546.822,00 euro; all’esito di tale condotta, sarebbe configurabile, al più, una truffa in danno dei terzi cessionari, ma non certo una truffa in danno dello Stato, in quanto questo non avrebbe ancora subito alcun pregiudizio economico. Il terzo segmento è costituito dalla effettuazione, da parte dei terzi acquirenti della “E. s.r.l.” o dei loro ulteriori cessionari, delle compensazioni degli indicati crediti di imposta; solo dopo questa ulteriore vicenda, si verifica il danno a carico dell’Erario (in concreto avvenuto per il modesto importo di 27.060,00 euro, questa essendo la somma complessiva delle compensazioni eseguite), e, quindi, la configurabilità di una truffa aggravata a norma degli artt. 48 e 640-bis cod. pen., in linea con la elaborazione giurisprudenziale (si cita Sez. 2, n. 31211 del 22/07/2013).

Si rileva, a questo punto, che la confisca per equivalente è prevista in relazione al reato cui all’art. 640-bis cod. pen., ma non anche con riguardo al tentativo e che, secondo un principio affermato anche dalle Sezioni Unite, «quando il legislatore indica nominativamente un determinato delitto, intende riferirsi solo al delitto consumato, mentre, quando richiama una categoria di delitti non specificati, si riferisce sia a quelli consumati che a quelli tentati» (così Sez. u, n. 40985 del 24/09/2018).

Si precisa, ancora, che: a) non risultano presenti al fascicolo querele dei cessionari dei crediti di imposta generati in capo ad “E. srl”, con conseguente difetto di procedibilità per il reato di truffa semplice; b) all’attuale ricorrente  sono  state  sequestrate  liquidità  per  il  complessivo  importo di 204.321,51 euro; c) il profitto ottenuto mediante il reato di truffa aggravata, pari a 27.060,00 euro, è da ripartire tra i tre indagati ritenuti concorrenti nel delitto.

CONSIDERATO IN DIRITTO 

1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito precisate.

2. Le censure contestano il provvedimento impugnato esclusivamente nella parte in cui ha confermato, a carico dell’attuale ricorrente, il sequestro disposto a fini di confisca per equivalente, fino a concorrenza del valore di 546.822,00 euro, quale profitto del reato di cui all’art. 640-bis pen., individuato nei proventi conseguiti dalla società “E. srl” mediante le cessioni a terzi di crediti di imposta fittizi, generati mediante le false attestazioni relative alla regolare realizzazione delle opere indicate nelle fatture emesse dalla precisata impresa.

Le censure, precisamente, assumono che il sequestro per equivalente è illegittimo perché, nella specie, non sono configurabili né il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato di cui all’art. 640, secondo comma, numero 1, cod. pen., né il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’art. 640-bis cod. pen., ossia le uniche fattispecie che rendono ammissibile tale tipo di misura cautelare, a norma dell’art. 640-quater cod. pen.

Si segnala, in particolare, che i reati di cui all’art. 640, secondo comma, numero 1, cod. pen., e di cui all’art. 640-bis cod. pen. non sono configurabili nella forma consumata, ma semmai nella forma tentata, perché, nella vicenda in esame, non si è verificato alcun pregiudizio patrimoniale ai danni dello Stato: le condotte ipotizzate, per come ricostruite nell’ordinanza impugnata, hanno determinato la nascita di un credito nei confronti dello Stato, ma non (ancora) un’effettiva perdita economica per lo stesso, verificandosi questa solo a seguito della riscossione del credito o del suo utilizzo mediante compensazione. 

3. Il sequestro è stato disposto in funzione dell’adozione della confisca per equivalente del profitto del reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’art. 640-bis pen., sicché la disposizione normativa di riferimento per l’adozione di tale tipologia di misura è costituita dall’art. 640-quater cod. pen.

L’art. 640-quater cod. pen., attraverso il rinvio all’art. 322-ter cod. pen., prevede l’applicabilità della confisca per equivalente con specifico riferimento ai reati di cui agli articoli 640, secondo comma, numero 1, cod. pen., e 640-bis cod. pen., oltre che per il reato di frode informatica di cui all’art. 640-ter cod. pen. 

Estranei al catalogo dei reati per i quali l’art. 640-quater cod. pen. prevede la confisca per equivalente, quindi, sono i delitti di truffa consumata diversi da quelli previsti dall’art. 640, secondo comma, numero 1, cod. pen., e dall’art. 640- bis cod. pen., e, in generale, tutti i delitti di truffa tentata, anche se riferiti alle fattispecie appena indicate. A tale ultimo proposito, appare utile rappresentare che l‘autonomia del delitto tentato rispetto al delitto consumato costituisce principio generale consolidato, affermato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite proprio in tema di applicazione della confisca (cfr. Sez. U, n. 40985 del 19/04/2018, Di Maro, Rv. 273752-01, in motivazione, spec. §§ 5, 5.1 e 5.2).

Né,  ovviamente,  è  possibile  ipotizzare  un’applicazione  analogica  della previsione di cui all’art. 640-quater cod. pen., stante il divieto posto dall’art. 14 preleggi in relazione alle leggi penali.

Di conseguenza, la questione della qualificazione giuridica della concreta fattispecie in esame in termini diversi da quelli della truffa aggravata ai danni dello Stato, a norma dell’art. 640-bis cod. pen., o, eventualmente, a norma dell’art. 640, secondo comma, numero 1, cod. pen., è dirimente ai fini dell’applicabilità del sequestro funzionale alla successiva confisca per equivalente.

4. Ai fini della consumazione del reato di truffa, non è sufficiente l’assunzione di un debito da parte del raggirato, ma è necessaria l’effettiva perdita del bene oggetto dell’obbligazione da parte del medesimo soggetto, attesa la previsione del requisito del “danno”.

Il principio è stato affermato in maniera espressa dalle Sezioni Unite con riferimento alla truffa realizzata mediante titoli di credito: «Poiché la truffa è reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell’autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo, nell’ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non già quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l’obbligazione della datio di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato. Ne consegue che, qualora l’oggetto materiale del reato sia costituito da titoli di credito, il momento della sua consumazione è quello dell’acquisizione da parte dell’autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o utilizzazione, poiché solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell’agente e nel contempo diviene definitiva la potenziale lesione del patrimonio della parte offesa» (così la massima ufficiale di Sez. u, n. 18 del 21/06/2000, Franzo, Rv. 216429-01; cfr. di recente, nel medesimo senso.  Sez. 2, n. 31652 del 28/04/2017, Sanfilippo, Rv. 270606-01).

Detto principio, inoltre, ha trovato puntuale applicazione anche in materia di truffa aggravata ex art. 640, secondo comma, numero 1, cod. pen. Si è infatti affermato che il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, perpetrato attraverso l’illegittima attività di “discarico” di cartelle esattoriali relative a sanzioni amministrative, si consuma non già nel momento dell’accoglimento della relativa richiesta con emissione del provvedimento di sgravio, ma in quello successivo della cancellazione dal ruolo delle cartelle di pagamento da parte dell’agente della riscossione, poiché solo allora, con la definitiva rinuncia alla riscossione del credito, può dirsi definitivamente conseguito l’ingiusto profitto con conseguente danno per l’amministrazione (Sez. 2, n. 29688 del 28/05/2019, Colaneri, Rv. 276750-01).

Né il principio in questione può ritenersi in contrasto con quello espresso da Sez. 2, n. 37138 del 13/06/2023, Mati, non massimata, richiamato dall’ordinanza impugnata. Invero, la decisione appena citata ha sì ritenuto consumato il reato a seguito del riconoscimento del credito di imposta, siccome immediatamente monetizzabile, ma avendo riguardo alla diversa figura delittuosa della indebita percezione di erogazioni pubbliche di cui all’art. 316-ter cod. pen.

5. L’ordinanza impugnata ritiene configurato il reato di cui all’art. 640-bis pen. in ragione della costituzione del credito fiscale fittizio, a seguito della falsa asseverazione effettuata dall’attuale ricorrente in ordine al regolare compimento delle opere per le quali è previsto il riconoscimento fiscale del c.d. “superbonus”, e della successiva cessione di tale credito a terzi, affermando inoltre espressamente che è irrilevante per la consumazione della fattispecie l’utilizzo dello stesso in compensazione.

Il Tribunale precisa, inoltre, con riguardo alla vicenda in esame, che: a) il credito di imposta fittizio generato mediante le false asseverazioni, è stato pari a 1.028.650,00 euro; b) la società “E. srl” ha ceduto a terzi una parte di questo fittizio credito di imposta, precisamente per un valore nominale di 685.827,04, in cambio di corrispettivi per 546.822,00 euro; c) i cessionari hanno portato in compensazione fiscale i crediti fittizi acquistati per l’importo di (soli) 27.000,00 euro.

Sulla base di questi elementi, il Tribunale ritiene che il profitto del reato di cui all’art. 640-bis cod. pen. è pari a 546.822,00 euro, ossia al ricavato delle cessioni a terzi dei crediti fittiziamente generati; ed è per questa ragione che ha confermato il sequestro a fini di confisca per equivalente fino a concorrenza del valore di 546.822,00 euro nei confronti dell’attuale ricorrente.

6. In forza del principio giuridico indicato in precedenza al 4, la soluzione accolta dall’ordinanza impugnata risulta errata.

Invero, solo quando i crediti ceduti sono stati materialmente riscossi o compensati può dirsi realizzato il danno per lo Stato, per essersi verificata la concreta perdita del denaro, siccome erogato a rimborso di un credito fittizio ovvero non incassato per effetto di compensazione con un credito fittizio. E solo quando si è realizzato il danno per lo Stato è configurabile il reato di truffa ex art. 640-bis cod. pen.; prima del verificarsi del danno per lo Stato, può sussistere solo il tentativo del reato di cui all’art. 640-bis cod. pen., o, eventualmente, la truffa in danno dei cessionari.

Di conseguenza, se il reato di cui all’art. 640-bis cod. pen. è configurabile solo con riguardo alle operazioni fraudolente nelle quali il credito fittizio è stato riscosso o utilizzato in compensazione, il relativo profitto corrisponde esclusivamente ai proventi conseguiti attraverso le cessioni dei crediti d’imposta fittizi alle quali siano seguiti la riscossione o l’utilizzo mediante compensazione di tali crediti.

7. L’erronea prospettiva accolta dall’ordinanza impugnata impone di annullare la stessa con rinvio per un nuovo giudizio, al fine di accertare l’entità dei proventi conseguiti attraverso le cessioni dei crediti fittizi alle quali siano seguiti la riscossione o l’utilizzo mediante compensazione di tali crediti.

Solo questi proventi, infatti, possono essere qualificati come profitto del reato di cui all’art. 640-bis cod. pen., e solo in relazione ad essi, quindi, è consentita dall’art. 640-quater cod. pen. la confisca per equivalente, premessa necessaria per l’applicazione della misura cautelare del sequestro preventivo ex art. 321, commi 2 e 2-bis, cod. proc. pen.

P.Q.M. 

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Udine competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen.