Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 23657 depositata il 7 agosto 2020
reati tributari – responsabilità penale del liquidatore – ricorso contro provvedimenti di sequestro
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 17 dicembre 2019, il Tribunale di Catania ha respinto l’istanza di riesame proposta da L.G. avverso il decreto con cui il g.i.p. aveva disposto il sequestro preventivo di somme di denaro e beni del ricorrente in funzione della confisca per equivalente del profitto dei reati oggetto di indagine al medesimo ascritti, vale a dire quelli di cui agli artt. 10 bis e 10 ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, commessi quale liquidatore della Compagnia M.C. Srl.
2. Avverso l’ordinanza, a mezzo del difensore fiduciario, ha proposto ricorso per cassazione il suddetto indagato, lamentando la violazione degli artt. 43 cod. pen., 10 bis e 10 ter d.lgs. 74 del 2000, nonché la mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione per essere stato ritenuto il fumus commissi delicti in base alla mera titolarità della carica di liquidatore al momento della scadenza dei termini per effettuare i versamenti salva la dimostrazione – nella specie ritenuta insussistente – di un errore sul fatto o della riconducibilità dell’inadempimento tributario a caso fortuito o forza maggiore. Questa regola di giudizio – allega il ricorrente – contrasta con il principio costituzionale secondo cui la responsabilità penale è personale e con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, fondato anche sull’art. 36 d.P.R. 602 del 1973 e sulla corretta interpretazione dell’istituto del dolo eventuale, per il cui il liquidatore risponde dei reati in esame solo qualora distragga l’attivo della società in liquidazione dal fine di pagamento delle imposte, destinandolo a scopi differenti, ciò che nella specie non era avvenuto. L’indagato, anzi, aveva assunto la carica pochi giorni prima della scadenza del versamento delle ritenute certificate, conseguendo peraltro il potere di firma sui conti correnti della società tre giorni dopo tale scadenza e, in ogni caso, non v’era nelle casse sociali provvista sufficiente. Quanto all’omesso versamento dell’IVA, lo stesso era imputabile al mancato accantonamento dell’imposta indiretta incassata, condotta ascrivibile al precedente amministratore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con riguardo alla responsabilità penale del liquidatore di società per il mancato versamento delle imposte sulla medesima gravanti, allorquando il debito contributivo si sia formato nel periodo di gestione di precedente organo amministrativo e l’omissione sia dovuta ad assenza della necessaria provvista non imputabile al liquidatore, la giurisprudenza di questa Corte si è mossa lungo direttrici non univoche, ma – come più oltre si dirà – il punto non è tuttavia dirimente ai fini della decisione del presente ricorso.
2. Secondo un primo indirizzo, in particolare affermato per il reato di omesso versamento dell’IVA di cui all’art. 10-ter, d.lgs. 74 del 2000, e sostanzialmente fatto proprio dall’ordinanza impugnata, risponde quantomeno a titolo di dolo eventuale il soggetto che, subentrando ad altri nella carica di amministratore o liquidatore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, omette di versare all’Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto attraverso tale condotta lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze (Sez. 3, n. 34927 del 24/06/2015, Alfieri, Rv. 264882; Sez. 3, n. 38687 del 04/06/2014, Decataldo, Rv. 260390; Sez. 3, n. 3636 del 09/10/2013, dep. 2014, Stocco, Rv. 259092).
Con più recente decisione, emessa in relazione all’analogo delitto di omesso versamento delle ritenute certificate ed invocata in ricorso, si è invece affermato il principio secondo cui, in tema di reati tributari, il liquidatore di società risponde del delitto previsto dall’art. 10-bis del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non per il mero fatto del mancato pagamento, con le attività di liquidazione, delle imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori, ma solo qualora distragga l’attivo della società in liquidazione dal fine di pagamento delle imposte e lo destini a scopi differenti (Sez. 3, n. 21987 del 28/04/2016, Bareato, Rv. 267337). In motivazione, la conclusione è ricavata dalle limitazioni fissate, dall’art. 36 del d.P.R. 602 del 1973, alla responsabilità in proprio del liquidatore, che sussiste solo qualora egli non provi di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci e creditori ovvero di aver soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Benché tale disposizione – che, peraltro, riguarda l’obbligo civilistico solidale del pagamento dei tributi non versati – si riferisca esclusivamente alle imposte sui redditi, il principio di cui essa è espressione risponde all’esigenza di non gravare chi assuma la carica di liquidatore di una società di responsabilità per omessi pagamenti dovuti all’insufficienza di risorse che spesso caratterizza la fase liquidatoria e rispetto ai quali nessuno specifico motivo di rimprovero può essere mosso all’agente. Tale disciplina e la citata giurisprudenza di legittimità che ne ha fatto applicazione si muovono, dunque, in quella prospettiva di non imputabilità della condotta (per causa di forza maggiore od assenza di elemento soggettivo) che il ricorrente ha posto a base del ricorso per lamentare l’illegittimità ed il difetto di logica motivazione della decisione di merito che non ha invece considerato quei profili.
3. Ciò premesso in diritto, osserva tuttavia il Collegio come l’ordinanza impugnata, pur affermando di aderire al maggioritario orientamento più sopra richiamato – peraltro recentemente ribadito da Sez. 3, n. 54699 del 09/11/2019, Terenzio, n.m. – adduca plurime argomentazioni tratte dalla specificità del caso sub iudice (in particolare, la specifica competenza tecnica dell’indagato, ragioniere, e la condotta del tutto insensibile all’adempimento degli obblighi fiscali da lui tenuta anche successivamente alla scadenza dei termini per i mancati versamenti oggetto di contestazione) per affermare come nella specie non possa allo stato escludersi la sussistenza del dolo, né affermarsi l’imputabilità della condotta omissiva a caso fortuito o forza maggiore.
4. Com’è noto, il ricorso per cassazione proposto contro provvedimenti adottati in sede di impugnazione in materia di sequestri è consentito – a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. – soltanto per violazione di legge e, quanto alla giustificazione della decisione, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini, Rv. 248129).
Posto, dunque, che il provvedimento impugnato – con motivazione effettiva, che il ricorrente contesta nel merito, espressamente deducendone la contraddittorietà e la manifesta illogicità – ha escluso che emergesse “ictu oculi” il difetto di elemento soggettivo dell’imputato rispetto alla condotta illecita, sul piano oggettivo non contestata, al medesimo ascritta, l’ordinanza impugnata non è sul punto censurabile. Essa, invero, si è attenuta al consolidato orientamento secondo cui in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al “fumus” del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata; ne consegue che lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato, purché esso emerga “ictu oculi” (Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi e a., Rv. 266896; Sez. 6, n. 16153 del 06/02/2014, Di Salvo, Rv. 259337; Sez. 4, Sentenza n. 23944 del 21/05/2008, Di Fulvio, Rv. 240521). Non essendo consentito il sindacato sulla motivazione, il Collegio non può pertanto compiere un più penetrante esame circa la logicità delle argomentazioni addotte a sostegno della conclusione.
5. Il ricorso va conseguentemente rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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