CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 24600 depositata il 1° settembre 2020
Reati tributari – Evasione IVA – Utilizzo di fatture per operazioni inesistenti – Reato in forma associativa – Provvedimenti di custodia cautelare e arresti domiciliari – Legittimità
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 4 dicembre 2019 il Tribunale di Venezia ha rigettato l’istanza di riesame proposta dai ricorrenti avverso l’ordinanza emessa in data 6 novembre 2019 dal Giudice per le indagini preliminari di Verona di applicazione della custodia cautelare in carcere per P.B. e degli arresti domiciliari per K.G. e V.V..
2. K.G. presenta tre motivi di ricorso.
Con il primo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione, in ordine all’insussistenza del reato associativo. Espone che la circostanza secondo cui le società intermediatrici operavano anche con altri soggetti rispetto alla S.O., indipendentemente dal fatto che non versavano l’IVA, costituiva la prova che non sussisteva alcuna organizzazione a delinquere, perché, altrimenti, avrebbero lavorato solo per i partecipanti al sodalizio. Ritiene l’ordinanza viziata nella motivazione per la mancata distinzione dei presupposti del reato dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 e del reato associativo.
Con il secondo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla partecipazione all’associazione a delinquere. Riferisce di essere un’imprenditrice straniera che aveva assunto il ruolo di legale rappresentante della S.O., dopo avervi investito una ragguardevole somma. Contesta l’interpretazione della conversazione intercettata (progr. 5172 del 10/04/2019, pag. 42 dell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari). Censura la decisione laddove aveva ritenuto che la disponibilità della somma di € 7.500,00 era illecita, perché non aveva redditi, e ricorda il cospicuo investimento nella S.O.
Con il terzo eccepisce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari. Gli arresti domiciliari erano stati confermati per evitare contatti con l’esterno e tra i coindagati, contatti che potevano essere utili per l’ulteriore protrazione del reato. Ricorda che le era stata mantenuta la facoltà di comunicare con terzi.
3. P.B. presenta due motivi.
Con il primo denuncia il vizio di motivazione in ordine al reato associativo.
Lamenta, in particolare, che il Tribunale del riesame non si era confrontato con il risultato della consulenza tecnica secondo cui i prezzi del prodotto erano in linea con il mercato. La S.O. aveva legittimamente portato in detrazione le somme pagate alle società che commercializzavano il carburante. La restituzione alla S.O. della somma in contanti di € 20.000,00 era all’evidenza incompatibile con l’evasione dell’IVA. Ritiene la motivazione congetturale.
Con il secondo eccepisce la violazione di legge ed il vizio di motivazione perché all’amministratrice di diritto e a quella di fatto erano stati applicati gli arresti domiciliari.
4. V.V. eccepisce la violazione di legge in ordine al reato associativo, perché non vi erano elementi a suo carico, in particolare non era stato menzionato nelle intercettazioni. Nelle note di replica alla requisitoria scritta del Procuratore generale insiste su tale tema.
Considerato in diritto
5. I ricorsi sono infondati.
Tutti i ricorrenti sono indagati per il reato di associazione a delinquere ,a cui si aggiungono, per G. e B. due episodi ai sensi dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 per V.,un episodio ai sensi dell’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000.
Secondo l’ipotesi investigativa, gli indagati avevano compiuto sistematiche frodi dell’IVA nelle transazioni relative ad acquisti di prodotti petroliferi effettuati dalla S.O., interponendo tra questa ed il reale fornitore alcune società fittizie che avevano assunto il debito IVA senza versare nulla all’Erario. Gli indici dei meccanismi truffaldini risiedevano nel costante aumento di profitti della S.O. in un settore caratterizzato da ristretti margini di guadagno, nelle analisi dei conti correnti bancari che avevano mostrato forti movimentazioni in entrata ed uscita in sostanziale pareggio, nell’emissione di fatture inesistenti da parte di società cartiere. Era stato conseguito un doppio profitto illecito: i beni erano stati acquistati e rivenduti ad un prezzo estremamente vantaggioso e la società poteva rivendicare un credito IVA contabilizzato illegittimamente. Le intercettazioni avevano corroborato il quadro indiziario. Nel corso dell’interrogatorio di garanzia, i ricorrenti si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Le perquisizioni avevano dato esito positivo per cospicue somme di contanti nella disponibilità del B. (€ 16.160) e della G. (€ 7.500).
Il Tribunale del riesame ha affermato che la S.O., pur essendo formalmente amministrata dalla G., era di fatto amministrata dal B. e dalla F.I., come emerso dalle eloquenti intercettazioni ambientali in cui i primi due o tutte e tre parlavano delle modalità della fatturazione ai fini dell’evasione dell’IVA. La situazione era talmente compromessa che pure le dipendenti si erano rese conto della frode. La decisione è molto dettagliata nel riportare le conversazioni rilevanti, che non possono essere sindacate in questa sede, perché costituiscono una questione di fatto rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, a meno di una manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite che qui non è stata prospettata (tra le tante, Cass., Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D’Andrea, Rv. 268389).
Quanto a V., non decisiva è la circostanza che il suo nome non sia comparso nelle intercettazioni, poiché egli era il legale rappresentante dell’O.P. S.r.l. e della T.R. P. S.r.l., società cartiere ad esclusivo vantaggio della S.O..
La motivazione relativa alla gravità indiziaria dell’associazione a delinquere finalizzata al compimento dei reati tributari è particolarmente diffusa ed appare immune da censure.
Solido e razionale è pure il percorso logico che ha portato all’applicazione della custodia cautelare in carcere per il B., considerato il promotore dell’organizzazione, ed agli arresti domiciliari per gli altri due, che pur essendo dei prestanome, avevano fornito al sodalizio un contributo attivo, stabile e decisivo. In particolare, la G. aveva partecipato alle discussioni del B. e della F., mentre il V. aveva creato due nuove identiche società interposte, subito dopo i controlli fiscali del febbraio 2019, in modo da consentire al sodalizio di continuare ad operare con nuove compagini societarie che davano meno nell’occhio.
L’adeguatezza delle misure è stata ben spiegata nell’ordinanza genetica con riferimento al diverso ruolo assunto dai tre, perché il B. aveva una rete di contatti da recidere nettamente, mentre gli altri due costituivano figure minori di prestanome. La decisione è quindi immune dalle censure sollevate.
Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 646 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att., cod. proc. pen.
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