CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 24640 depositata il 3 giugno 2019, n. 24640
Rapporto di lavoro – Utilizzo di lavoratori somministrati in violazione del limite del 2% imposto dal CCNL degli autoferrotranvieri – Trattamento sanzionatorio
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 14 dicembre 2016, il Tribunale di Bari condannava R.G., riconosciute le attenuanti generiche, alla pena di euro 74.697,33 di ammenda (così rettificato l’originario importo indicato nel dispositivo della sentenza di euro 121.050,00), in quanto ritenuto colpevole del reato di cui agli art. 4 comma 1 lett. a), 20 comma 3 e 4, e 18 comma 2 del d.lgs. 276/2003, contestatogli per avere, quale Presidente del C.D.A. della società “STP” s.p.a., utilizzato lavoratori somministrati dall’agenzia “L.”, in violazione del limite del 2% imposto dal C.C.N.L. degli autoferrotranvieri, posto che: nel mese di luglio 2013, su un organico di 134 autisti, venivano utilizzati 19 lavoratori somministrati, con una percentuale del 14,17%; nel mese di agosto 2013, su un organico di 133 autisti, venivano utilizzati 22 lavoratori somministrati, con una percentuale del 16,54%, nel mese di settembre 2013, su un organico di 133 autisti, venivano utilizzati 32 lavoratori somministrati, con una percentuale del 24,06% e, infine, nel mese di ottobre 2013, su un organico di 133 autisti, venivano utilizzati 36 lavoratori somministrati, con una percentuale del 27,06%, fatti questi accertati in Bari il 29 luglio 2014.
2. Avverso la sentenza del Tribunale pugliese, G., tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Con il primo, la difesa deduce la violazione degli art. 6 della C.E.D.U., dell’art. 111 Cost. e dell’art. 521 cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, rilevando che il Tribunale aveva condannato l’imputato per un fatto diverso da quello contestatogli, attribuendogli cioè non la condotta attiva ascrittagli, cioè l’utilizzo di lavoratori somministrati in misura eccedente i limiti consentiti dal C.C.N.L.), ma una sorta di culpa in vigilando ai sensi dell’art. 40 cod. pen., invocando cioè la sua posizione di garanzia e in definitiva condannandolo per una presunta condotta omissiva.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’erronea applicazione degli art. 27 Cost., 40 cod. pen. e 18 comma 2 del d. lgs. n. 276 del 2003, oltre che la mancanza di motivazione, evidenziando che, in ogni caso, alcun obbligo di controllo esser imposto a G. in ordine al corretto ricorso al lavoro somministrato, posto che il CCNL stabilisce esclusivamente la misura percentuale entro cui è possibile fare ricorso al lavoro somministrato, senza individuare eventuali profili di responsabilità individualizzanti, tali da giustificare un eventuale giudizio di responsabilità omissiva, non avendo l’imputato poteri di sorveglianza rispetto alle iniziative dell’amministratore delegato, avv. M..
Con il terzo motivo, infine, oggetto di censura sono nuovamente la violazione dell’art. 6 della C.E.D.U., dell’art. 111 Cost. e dell’art. 521 cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, nonché del diritto di difesa, osservandosi al riguardo che, sebbene a G. fosse contestata l’ipotesi di somministrazione irregolare ex art. 18 comma 2 del d. lgs. n. 276 del 2003, l’imputato è stato ritenuto colpevole della più grave fattispecie autonoma di somministrazione fraudolenta di cui all’art. 28 del d. lgs. n. 276 del 2003, non essendosi considerato che la fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 18 comma 2, seppur aggravata ai sensi dell’art. 28, non è più prevista dalla legge come reato, per effetto dell’art. 1 del d. lgs. n. 8 del 2016.
In ogni caso, si evidenzia che il reato di somministrazione fraudolenta, sebbene anch’esso di natura contravvenzionale, si caratterizza per il dolo specifico, nel caso di specie non sussistente, essendo stata ravvisata solo una culpa in vigilando, che non si concilia con la volontà di eludere il contratto collettivo.
Da ultimo, la difesa osserva che il Tribunale ha compiuto un errore di calcolo nella determinazione della pena, non avendo operato il giudizio di bilanciamento delle attenuanti generiche con la fattispecie di cui all’art. 28, che configura, secondo autorevole dottrina, un’aggravante del reato di cui all’art. 18 comma 2, risultando peraltro la pena finale indicata nel dispositivo (euro 121.050,00) in contrasto con quella indicata nella parte motiva della sentenza (euro 74.697,33).
Considerato in diritto
La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perché il fatto non è previsto come reato.
1. Prima di soffermarsi sulla tipo di rilevanza della condotta contestata, occorre premettere che, a differenza di quanto dedotto nel ricorso, il giudizio sulla sussistenza del fatto e sulla sua riconducibilità all’imputato non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede, avendo il Tribunale richiamato gli esiti della visita ispettiva eseguita dalla Direzione Territoriale del Lavoro di Bari, da cui è emerso la società “STP”, esercente attività di trasporto in aree urbane e suburbane, nel periodo da luglio a ottobre 2013, ha fruito del servizio di somministrazione di lavoro a tempo determinato aggiudicato all’Agenzia L. s.p.a., superando il limite imposto dal contratto collettivo nazionale di categoria degli autoferrotranvieri, nella misura analiticamente riportata nell’imputazione. Ragionevolmente la condotta in esame è stata addebitata all’odierno ricorrente, il quale, nella veste di Presidente del C.d.A. della “STP”, rivestiva una posizione di garanzia rispetto all’osservanza degli obblighi imposti alla società anche in tema di ricorso alla procedura di somministrazione del lavoro interinale, a nulla rilevando che il contratto per l’affidamento del servizio in questione sia stato sottoscritto dall’amministratore delegato della società, avv. V.M., nei confronti del cui operato G. aveva comunque dei doveri di vigilanza, tanto più ove si consideri che nel contratto sottoscritto dall’avv. M. non vi era alcuna indicazione specifica sul numero dei lavoratori da somministrare.
Né risulta configuratale nel caso di specie alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, posto che la condanna risulta coerente con il tenore dell’imputazione, avente ad oggetto un fatto che, almeno all’epoca della sua commissione, era qualificato come reato contravvenzionale, per la cui sussistenza era dunque sufficiente anche un profilo di colpa, fermo restando che la descrizione della condotta era idonea a consentire il pieno dispiegamento delle prerogative difensive, tanto è vero che il Tribunale ha potuto confrontarsi con tutte le deduzioni articolate dalla difesa, pur nell’ambito del giudizio abbreviato.
2. Ciò posto, deve tuttavia rilevarsi che, come evidenziato anche dal Procuratore generale, il fatto per cui si è proceduto allo stato non assume più rilevanza penale, posto che il contestato art. 18 comma 2 del d. lgs. n. 276 del 10 settembre 2003, nel delineare il trattamento sanzionatorio, prevede per le condotte ivi contestate, tra cui la somministrazione di lavoratori oltre i limiti consentiti, l’applicazione in via esclusiva della pena pecuniaria dell’ammenda. Trova pertanto applicazione nel caso di specie la previsione di cui all’art. 1 comma 1 del d. lgs. n. 8 del 15 gennaio 2016, secondo cui “non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda“, non rientrando il fatto per cui si procede tra le fattispecie escluse dalla depenalizzazione, ai sensi dell’elenco allegato al predetto d. lgs. n. 8/2016. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perché il fatto non è previsto come reato. In forza degli art. 8 e 9 del d. lgs. n. 8/2016, si impone infine la trasmissione degli atti all’Autorità amministrativa (Direzione Territoriale del Lavoro di Bari) per quanto di competenza.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto come reato. Atti all’Autorità Amministrativa.
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