CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 25530 depositata il 6 luglio 2021
Reati tributari – Presentazione dichiarazione – Affidamento incarico ad un professionista – Omissione – Responsabilità penale del legale rappresentante
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 7 novembre 2019 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del 5 novembre 2018 del Tribunale di Pavia, in forza della quale M.E., nella qualità di legale rappresentante della s.r.l. E.. corrente in Pavia, era stato condannato – previo riconoscimento delle attenuanti generiche ed esclusione della contestata recidiva – alla pena, sospesa, di mesi otto di reclusione oltre alle sanzioni accessorie, per il reato di cui all’art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 relativamente all’omessa presentazione delle dichiarazioni annuali dei redditi e Iva per l’anno 2012.
2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su un motivo di impugnazione.
2.1. In particolare il ricorrente, deducendo vizio motivazionale e travisamento della prova in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato, ha osservato che dalla stessa lettura congiunta delle due sentenze conformi non si ravvisava la prova certa della sussistenza del dolo specifico in capo all’imputato, laddove al contrario doveva evincersi l’affidamento incolpevole nel professionista incaricato della tenuta delle scritture contabili. Invero, dato il tenore delle comunicazioni intercorse col professionista, emergeva la buona fede dell’imputato, che aveva confidato nella prosecuzione del rapporto e che, proprio per l’affidamento dell’incarico, non poteva avere piena contezza dell’imposta dovuta e del superamento della soglia di punibilità.
Allo stesso tempo l’accertato stato di decozione della società di cui l’imputato era legale rappresentante non poteva di per sé comportare l’esistenza di finalità elusive nei riguardi del Fisco.
Né l’elemento soggettivo poteva dirsi integrato dall’eventuale consapevolezza della mancata adeguata compilazione della dichiarazione fiscale, mentre in ogni caso era stata sottolineata la condotta irreprensibile dell’odierno ricorrente. Né, infine, sussistevano elementi sintomatici circa l’eventuale condotta improntata all’evasione fiscale, come poteva ricavarsi anche dalla decisione di affidare ad un professionista la cura della propria contabilità.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. In relazione alla censura azionata, è nozione comune, invero fatta propria anche dai Giudici del merito, che in tema di reati tributari l’affidamento ad un professionista, dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione (art. 5, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), in quanto, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale e non delegabile il relativo dovere; tuttavia,-la prova del dolo specifico di evasione non deriva dalla semplice violazione dell’obbligo dichiarativo né da una culpa in vigilando sull’operato del professionista, che trasformerebbe il rimprovero per l’atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo, ma dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione dell’imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale (Sez. 3, n. 37856 del 18/06/2015, Porzio, Rv. 265087).
A questo riguardo, infatti, l‘obbligo della presentazione della dichiarazione dei redditi incombe direttamente sul contribuente e, in caso di persone giuridiche, su chi ne abbia la legale rappresentanza, tenuto a sottoscrivere la dichiarazione a pena di nullità. Il fatto che il contribuente (la persona giuridica nel caso di specie) possa avvalersi di persone incaricate della materiale predisposizione e trasmissione della dichiarazione non vale a trasferire su queste ultime l’obbligo dichiarativo che fa carico direttamente al contribuente il quale, in caso di trasmissione telematica della dichiarazione, è comunque obbligato alla conservazione della copia sottoscritta della dichiarazione. L’adempimento formale fa così carico al contribuente, il quale deve essere a conoscenza delle relative scadenze e può anche giovarsi, a fini penali, del termine di novanta giorni concesso dalla legge in caso di infruttuoso superamento del termine. Ne consegue che il sol fatto di aver affidato ad un professionista il compito di predisporre e trasmettere la dichiarazione dei redditi non è circostanza che giustifica di per sé la violazione dell’obbligo o possa escludere la consapevolezza della inutile scadenza del termine (così, in motivazione, Sez. 3, n. 37586 cit.; cfr. altresì Sez. 3, n. 9417 del 14/01/2020, Quattri, Rv. 278421).
4.1.1. Ciò posto, è altresì vero che la prova del dolo specifico di evasione, nel delitto di omessa dichiarazione, può essere desunta dall’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta (Sez. 3, n. 18936 del 19/01/2016, V., Rv. 267022).
In specie, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi.
In proposito, infatti, l’odierno ricorrente non ha mai neppure allegato di non essere a conoscenza dell’attività svolta dalla società di cui era legale rappresentante, sì che per definizione era al corrente anche della situazione contabile (a questo proposito, per completezza, va così ricordato che nel delitto di omessa dichiarazione il superamento della soglia rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa ha natura di elemento costitutivo del reato e, come tale, deve formare oggetto di rappresentazione e volizione, anche a titolo di dolo eventuale, da parte dell’agente, così Sez. 3, n. 7000 del 23/11/2017, dep. 2018, Venturini, Rv. 272578). D’altronde il ricorrente ha inteso contestare solamente l’esistenza dell’elemento soggettivo del reato, nulla eccependo in questa sede circa la sussistenza degli ulteriori elementi costitutivi della fattispecie.
Per quanto riguardava l’affidamento dell’incarico professionale, la sentenza ha altresì osservato che non risultavano intervenuti ulteriori contatti col professionista, se non altro per verificare l’invio della dichiarazione (onere tra l’altro di pertinenza proprio dell’imputato, v. supra), ovvero per accertare l’esistenza di ulteriori adempimenti.
D’altro canto, proprio in relazione all’elemento soggettivo del reato e contrariamente ai rilievi in proposito formulati dal ricorrente, in tema di omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte del professionista a ciò incaricato, la prova del dolo specifico in capo al contribuente può desumersi anche dal comportamento successivo del mancato pagamento delle imposte dovute e non dichiarate, dimostrativo della volontà preordinata di non presentare la dichiarazione (Sez. 3, n. 16469 del 28/02/2020, Veruari, Rv. 278966).
In proposito, ancorché privo di rilievo penale per il mancato superamento della soglia di punibilità, il comportamento del ricorrente si era mantenuto costante anche nell’anno d’imposta successivo, replicando la condotta omissiva e quindi corroborando l’affermata presenza del fine di evasione, confermato anche dal mancato successivo adempimento delle obbligazioni fiscali. A nulla rilevando in proposito la condotta mantenuta nel corso delle indagini e nel processo.
4.1.2. In definitiva, il ricorso non si confronta appieno col percorso argomentativo complessivamente seguito dai Giudici del merito, altresì ponendosi in contrasto con ribaditi principi più volte fissati da questa Corte di legittimità. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.
5. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
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