Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 25730 depositata il 11 giugno 2019
Omesso versamento delle ritenute previdenziali – Piano di rateizzazione – Irrilevanza ai fini della condanna – Sussiste
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’Appello di Firenze con sentenza del 6 luglio 2018, in riforma della sentenza emessa Tribunale di Grosseto, condannava P.N., riconosciute in suo favore le attenuanti generiche, alla complessiva pena di mesi 4 di reclusione ed € 300,00 di multa, relativamente al reato di cui agli art. 81 cod. pen. e 2, legge 638/83, per aver omesso di versare a (omissis) le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori relativamente al periodo (omissis) 2012. Il Tribunale di Grosseto nella prima sentenza del 30 marzo 2017 aveva assolto l’imputata, per non essere la stessa punibile in ragione del pagamento effettuato.
2. Ricorre in cassazione P.N. tramite il suo difensore deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2.1. Inosservanza di norma processuale stabilita a pena di inammissibilità.
L’atto di appello del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Firenze avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per difetto di specificità (sia in fatto sia in diritto), come previsto dalla previgente formulazione dell’art. 581 cod. proc. pen. La Procura Generale si sarebbe limitata a indicare l’articolo di legge violato ed un precedente giurisprudenziale favorevole, senza ulteriori approfondimenti in merito alla norma citata. Anche per quanto attiene ai motivi di fatto si rilevava una totale genericità in ordine alle dichiarazioni del testimone.
2.2. Violazione di legge processuale (art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen.)
La difesa rileva che il Giudice di Appello, in relazione a quanto previsto dall’art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen. avrebbe dovuto, nel caso di specie, procedere alla rinnovazione dell’esame testimoniale del teste S.M., costituendo l’unica prova assunta nel dibattimento di primo grado. Secondo la ricorrente vi sarebbe stata una compressione del diritto di difesa anche in primo grado. Il giudice, infatti, nonostante abbia ammesso la lista dei testimoni predisposta dalla difesa dell’imputata, invitava le parti a formulare le conclusioni non appena esaurita l’escussione del teste M. infine la ricorrente, rilevata la mancata acquisizione nel procedimento di primo grado dei c.d. modelli (omissis) ritiene leso il suo diritto di difesa per non aver potuto escutere i testi indicati nella lista (e già ammessi in primo grado) sull’effettivo pagamento delle retribuzioni ai dipendenti.
2.3. Carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di elemento soggettivo del reato (violazione dell’art. 2, legge 638/1983).
La sentenza della Corte territoriale appare carente sia della necessaria motivazione rafforzata (richiesta per l’ipotesi di riforma dell’assoluzione in primo grado), ma anche dell’osservanza dello standard minimo da rispettare in ordine alla valutazione delle prove in merito sia all’elemento oggettivo sia a quello soggettivo dell’illecito contestato. Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, in particolare, si rileva una mancanza assoluta di motivazione in ordine alla sussistenza del dolo. La sentenza, infatti, dopo aver ritenuto provati i mancati versamenti sulla base della prova testimoniale, si sarebbe occupata solo della causa di non punibilità ex comma 1 bis dell’art. 2 L. 463/1983, senza minimamente affrontare il tema dell’elemento soggettivo e della sua sussistenza nella fattispecie in esame. La ricorrente, richiamando un orientamento della Cassazione in ordine alla possibilità di escludere in presenza di determinati presupposti il dolo generico che integra il delitto di omesso versamento, afferma la plausibilità di una sua carenza di consapevolezza in ordine all’adempimento degli obblighi di cui al contestato art. 2. Tale assenza di valutazione in ordine all’elemento soggettivo del reato farebbe permanere un ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell’imputata ex art. 533 cod. proc. pen.
Inoltre il pagamento rateale, iniziato prima della notifica dell’intimazione (omissis), faceva ritenere l’imputata in buona fede; del resto, il pagamento al concessionario impediva anche un regolare pagamento all'(omissis), anche relativamente alle difficoltà contabili di imputazione dei precedenti pagamenti alla concessionaria della riscossione.
2.4. Illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1 bis, d.l. 11/09/1983 n. 463.
La ricorrente prospetta, infine, una questione di costituzionalità della norma penale, per violazione dell’art. 3 della Costituzione sia sotto il profilo dell’uguaglianza e sia della ragionevolezza, e al diritto di difesa cui all’art. 24, Cost.; tale incostituzionalità deriverebbe da un confronto fra diverse disposizioni legislative che evidenzia una evidente disparità di trattamento tra analoghe situazioni di fatto; infatti a seguito del pagamento delle somme dovute si esclude la punibilità o si attenua il fatto, nei reati fiscali (art. 13 e 13 bis, del d.lgs. 74/2000), ma il pagamento anche se tardivo nelle omissioni dei contributi (omissis) non esclude la punibilità e non rappresenta un’attenuante.
Ha chiesto pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi e per genericità.
Il pagamento dei contributi (omissis), come adeguatamente evidenziato nella sentenza impugnata, risulta avvenuto dopo la scadenza del termine di tre mesi dalla diffida dell’(omissis), e, nel ricorso in cassazione, tale dato non è neanche contestato: «In materia di omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione entro il quale il datore di lavoro può provvedere al pagamento ha natura perentoria, essendo ad esso collegato l’effetto della non punibilità e della sospensione della prescrizione che, diversamente, comporterebbe la proroga sine die dell’esercizio dell’azione penale» (Sez. 3, n. 30178 del 17/01/2017 – dep. 16/06/2017, Strazza, Rv. 27025701).
Inoltre l’ammissione al pagamento rateale, come nel caso in odierno giudizio, non esclude l’esistenza del reato: «In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali, l’ammissione al pagamento rateale del debitore che non ha provveduto all’integrale versamento del dovuto non esclude l’esistenza del reato, non incidendo l’intervenuta novazione sul disvalore penale del fatto» (Sez. 3, n. 10188 del 07/02/2018 – dep. 06/03/2018, Ferrari, Rv. 27249401).
4. La decisione impugnata poi adeguatamente motiva, senza illogicità e senza contraddizioni sull’ammissibilità dell’appello della Procura Generale perché, anche se sintetico, conteneva tutti gli elementi in fatto e in diritto per la specificità dell’impugnazione; infatti il punto decisivo sollevato con l’atto di appello era solo quello del pagamento dei contributi previdenziali dopo il termine dei tre mesi dall’intimazione (omissis).
5. Relativamente al pagamento delle retribuzioni ai dipendenti la sentenza impugnata rileva con motivazione logica e non contraddittoria come il teste funzionano (omissis) si è richiamato ai modelli (omissis) presentati dalla P.
Per la questione posta con il ricorso in cassazione dell’escussione dei testi della difesa, per la eventuale prova del mancato pagamento delle retribuzioni, si deve rilevare che l’imputata sia nella memoria e sia nelle conclusioni a verbale non ha mai fatto richiesta di rinnovo dell’istruttoria dibattimentale in appello. Nella memoria si era sostenuto solo l’inammissibilità dell’appello.
Del resto, non sussiste una diversa valutazione della prova testimoniale (che imponeva un rinnovo delle prove dichiarative anche d’ufficio) tra il primo grado e il giudizio di appello, ma solo una diversa valutazione giuridica (il pagamento dopo i tre mesi dall’intimazione quale effetto estintivo del reato).
6. La questione di costituzionalità in considerazione dell’inammissibilità risulta preclusa: «L’inammissibilità del ricorso per cassazione, dovuta alla manifesta infondatezza o alla genericità dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto d’impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare ammissibile una questione di legittimità costituzionale (nella fattispecie, sollevata nella requisitoria del P.G.)» (Sez. 6, n. 22439 del 15/05/2008 – dep. 04/06/2008, P.M. in proc. Balbi De Caro e altri, Rv. 24051301).
7. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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