CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 25990 depositata il 15 settembre 2020
Reati tributari – Utilizzo in compensazione di crediti inesistenti – Sequestro preventivo diretto e per equivalente finalizzato alla confisca – Rateizzazione del debito – Rimozione del sequestro – Esclusione
Ritenuto in fatto
1. Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Pesaro, ha respinto l’istanza di riesame, ex art. 322 cod.proc.pen., avanzato da A.D. avverso l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Pesaro di sequestro preventivo diretto e per equivalente, fino alla concorrenza di € 230.160,17, pari al profitto del reato, come da imputazione cautelare, di cui all’art. 10-quater D.lgs. n. 74/2000, perché, in qualità di legale rappresentante della società S. s.r.l., utilizzava in compensazione crediti inesistenti a seguito dì accollo del debito tributario da parte della Fratelli C. s.n.c. e della J.L. s.r.l., per la somma complessiva di euro 126.248,66, e utilizzava crediti inesistenti anche per la compensazione delle addizionali e dei contributi INPS e INAIL per l’importo di complessivi euro 103.911,51. Accertato in Pesaro il 13/02/2019 e 21/06/2019.
2. Propone ricorso per cassazione l’indagato, a mezzo del difensore di fiducia, e chiede l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod.proc.pen.:
2.1. Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione. Deduce il ricorrente la carenza, la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione dell’ordinanza che, quanto al profilo del dolo del reato avrebbe trascurato il fatto che l’A. aveva chiesto informazioni all’Agenzia dell’Entrate circa l’effettività dei crediti da compensare e solo successivamente alla risposta dell’Agenzia, aveva portato a compensazione i debiti sui quali la stessa Agenzia non aveva sollevato alcuna criticità. Il tribunale avrebbe erroneamente confuso il momento consumativo del reato (l’utilizzazione dei documenti di cui si conosce la falsità) e il successivo ristoro (restituzione dell’indebito) che attiene a un momento successivo e non confermerebbe il dolo. Il Tribunale, inoltre, sarebbe caduto in errore non considerando l’ignoranza dell’A. circa la falsità dei documenti, circostanza questa dimostrata dalla avvenuta presentazione di querela presentata nei confronti della società F.lli C. s.n.c. e J.L. s.r.l.
2.2. Con il secondo motivo deduce una violazione di legge in ordine alla causa di non punibilità ai sensi dell’art. 15 D.Lgs. n. 74/2000. Il Tribunale avrebbe dovuto applicare la causa di non punibilità in questione poiché la Risoluzione Ministeriale (nota dell’Agenzia delle Entrate del 2017) avrebbe un valore meramente interpretativo e l’intervento legislativo con il d.l. 124 del 2019 ne sarebbe la riprova. In presenza di dubbi interpretativi avrebbe dovuto trovare applicazione la causa di non punibilità.
2.3. Con il terzo motivo, denuncia una violazione di legge in ordine all’omessa valutazione dell’importo sequestrato a seguito del pagamento relativo all’indebita compensazione di debiti non tributari (INAIL – INPS) certificati dalle dichiarazioni difensive del Dott. D.B. e dalle indagini difensive di B.C.. Il Tribunale, pertanto, avrebbe errato nel ritenere che il pagamento effettuato dall’A. nel 2019 non fosse riferito al debito tributario.
2.4. Con il quarto motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale e la contraddittorietà della motivazione. Il Tribunale avrebbe errato non riducendo l’importo sequestrato della somma pagata e della conciliazione avvenuta con l’Agenzia dell’Entrate. Il sequestro, infatti, dovrebbe considerare l’effettiva entità del profitto (esclusivo o limitato alla conciliazione accolta).
2.5. Con il quinto motivo deduce la violazione di legge in relazione alla sussistenza della fattispecie di cui all’art. 10 quater d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 in relazione alla compensazione con debiti INPS- INAIL. Secondo il ricorrente il fatto non costituirebbe reato poiché la fattispecie di cui all’art. 10- quater D.Lgs. n. 74/2000 riguarderebbe, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (38042/2019), solamente l’imposta sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto, non anche gli inadempimenti di altro tipo.
2.6. Con il sesto motivo deduce il vizio di assenza di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza con particolare riferimento all’elemento soggettivo del reato. La motivazione dell’ordinanza sarebbe carente in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il Tribunale non avrebbe accertato l’elemento soggettivo, in atto mancante nell’A., come dimostrerebbero le indagini difensive non valutate dal Giudice del Riesame.
3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
4. Va, rammentato che in tema di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc. pen. consente il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Secondo le Sezioni Unite (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710), nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, gli “errores in iudìcando” o “in procedendo”, ma anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, A come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal Giudice (Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093). Non può, invece, essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di cui alla lett. e) dell’art. 606, stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).
6. Ciò posto, tenuto conto dell’ambito cognitivo, il primo, secondo e il sesto motivo di ricorso sono inammissibili perché diretti a censurare la motivazione del provvedimento impugnato in punto elemento soggettivo del reato lamentando il travisamento probatorio. Al contrario l’ordinanza impugnata è sorretta da congrua e adeguata motivazione, che non può dirsi apparente, e il ricorso sollecita alla Corte una nuova e diversa valutazione degli stessi elementi in fatto già valutati dal Tribunale del riesame invocandone una lettura alternativa e più favorevole in relazione al dolo del reato.
Tale valutazione non è, però, consentita in questa sede. La doglianza deve essere disattesa alla luce della motivazione con cui Tribunale del Riesame ha ritenuto sussistente il dolo del reato con motivazione logica, coerente alle emergenze processuali e tutt’altro che assente e/o apparente.
Peraltro, se è vero che, nella valutazione del fumus commissi delicti quale presupposto del sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 1, c.p.p., il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pure sommariamente, le ragioni che rendono allo stato sostenibile l’impostazione accusatoria (tra le altre, Sez. 3, n. 26197 del 05/05/2010, Bressan, Rv. 247694), dall’altro lato, il giudizio in ordine alla misura cautelare reale resta correlato con la fase delle indagini preliminari nella quale, come è noto, la delibazione che viene compiuta è diversa da quella piena della fase del giudizio.
Nella fase delle indagini preliminari, nella quale si inserisce la fase incidentale del riesame del provvedimento cautelare, il giudizio che viene compiuto è un giudizio di apprezzamento della plausibile sussistenza del fatto che non può tradursi in una anticipata decisione sulla responsabilità del soggetto indagato in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria della antigiuridicità penale del fatto (per tutte, Sez. 2, n. 26457 del 22/06/2005, P.M. in proc. Farnitano, Rv. 231959; Sez. U. n. 6 del 27/03/1992, Midolini, Rv. 191327; Sez. 5, n. 6252 del 19/11/1998, Pansini, Rv. 212511).
7. L’ordinanza impugnata ha rilevato che si trattava di compensazioni operate nel 2018, dunque, dopo la nota dell’Agenzia delle Entrate che, nel 2017, aveva chiarito l’impossibilità di operare la compensazione tra soggetti diversi, e che, nonostante l’interlocuzione con l’Agenzia delle Entrate, il pagamento del dovuto non era stato effettuato fino all’agosto 2019, sicché non difettava, secondo il tribunale, l’elemento soggettivo del reato.
Come è noto l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 140 pubblicata in data 15 novembre 2017, con riguardo alla legittimità del pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d’imposta a seguito del c.d. “accollo fiscale”, ha fornito una risposta negativa, ed ha confermato la natura illecita delle compensazioni operate, in quanto l’art. 17 del d.lgs. 241/97, non solo non prevede il caso dell’accollo, ma richiede che la compensazione avvenga unicamente tra i medesimi soggetti. Sul rilievo che si trattava di compensazioni relative all’anno 2018 e dunque operate dopo la citata risoluzione, l’ordinanza impugnata ha argomentato la sussistenza del dolo del reato, la motivazione non solo è presente ma è altresì corretta. Né a diversa conclusione conduce la prospettazione difensiva secondo cui proprio l’incertezza interpretativa aveva indotto il legislatore nel 2019 ad intervenire con la legge (d.l. 124/2019) che espressamente vietava tale compensazione, con ciò traendo la conclusione dell’insussistenza del dolo in presenza di incertezza normativa. Al contrario, come ritenuto dal tribunale di Pesaro, l’intervento legislativo, ha recepito l’interpretazione dell’Agenzia delle entrate chiarendo, a livello normativo, l’illiceità dell’estinzione del debito mediante compensazione derivante da accollo fiscale tra soggetti diversi.
La motivazione è presente e non è per nulla apparente.
8. Anche il terzo motivo è inammissibile perché chiaramente diretto ad una rivalutazione della congruità della motivazione nella parte in cui ha respinto la valenza dell’allegato pagamento di parte del debito tributario non considerando, secondo la censura, le indagini difensive. Il provvedimento impugnato ha ritenuto che, sulla scorta degli atti, non vi fosse prova che il pagamento di cui si discute fosse riferibile al debito tributario oggetto di incolpazione, ed ora il ricorrente chiede a Questa Corte di legittimità di valutare la decisione alla luce dei documenti che allega. Rivalutazione che è preclusa in questa fase nella quale il vizio di travisamento probatorio, riconducibile alla lett. e) dell’art. 606 cod.proc.pen. non è proponibile.
9. Il quarto motivo di ricorso, ribadito nella memoria difensiva, con cui il ricorrente si duole della mancata riduzione dell’ammontare del sequestro in relazione a quando si è impegnato a pagare in forza dì conciliazione, è manifestamente infondato alla luce dell’orientamento consolidato di questa Corte di legittimità.
Quanto al rapporto tra confisca (somma confiscabile e previamente sequestrabile) e accordo con l’erario, questa Corte di legittimità ha avuto modo di chiarire che la disposizione di cui al comma secondo dell’art. 12-bis del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 n. 74 del 2000, introdotta dal d.lgs. n.158 del 2015, secondo cui la confisca diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prodotto del reato “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”, deve essere intesa nel senso che la confisca – così come il sequestro preventivo ad essa preordinato – può essere adottata anche a fronte dell’impegno di pagamento assunto, producendo tuttavia effetti solo ove si verifichi l’evento futuro ed incerto costituito dal mancato pagamento del debito (Sez. 3, n. 42470 del 13/07/2016, Orsi, Rv. 268384; Sez. 3, n. 5728 del 14/01/2016, Orsetto, Rv. 266037).
Si è specificato, in particolare, che la locuzione “non opera” non significa affatto che la confisca, a fronte dell’accordo rateale intervenuto, non possa essere adottata ma che la stessa non divenga, più semplicemente, efficace con riguardo alla parte “coperta” da tale impegno, salvo ad essere “disposta”, come recita il comma 2 dell’art. 12-bis cit., allorquando l’impegno non venga rispettato e il versamento “promesso” non si verifichi.
In tale ambito si è, altrettanto, specificato che solo l’integrale pagamento del debito tributario, in virtù della necessità di evitare la sostanziale duplicazione dello stesso, può condurre alla non operatività della confisca e, correlativamente, alla obliterazione del sequestro imposto a tal fine, essendo invece insufficiente la mera ammissione ad un piano rateale di pagamento o il parziale pagamento effettuato a tale ultimo titolo (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 5681 del 27/11/2013, Crocco, Rv. 258691).
Ed infatti, solo col pagamento del debito viene meno qualsiasi indebito vantaggio da aggredire col provvedimento ablatorio, di tal che un successivo provvedimento comporterebbe una inammissibile duplicazione della sanzione.
Nel caso in esame l’impegno a pagare il debito tributario non esclude il mantenimento del sequestro, che potrà essere ridotto dal giudice della cautela allorché l’ammontare di questo risulti sproporzionato.
10. Il quinto motivo di ricorso con cui si deduce la violazione di legge in relazione all’erronea interpretazione di cui all’art. 10 quater d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, è inammissibile perché non devoluto al tribunale del riesame il cui giudizio è pur sempre ancorato al principio devolutivo. L’effetto devolutivo del riesame deve, infatti, essere inteso nel senso che il Tribunale è tenuto, indipendentemente dalla prospettazione del ricorrente, a valutare esclusivamente la sussistenza dei presupposti della misura cautelare, sotto il profilo del fumus commissi delicti e, nel caso del sequestro preventivo, del periculum in mora o della confiscabilità dei beni sequestrati; non essendo tenuto, invece, a procedere all’analisi di aspetti ulteriori (Sez, 3, n. 35083 del 14/04/2016, Talano Rv. 267508 – 01, Sez. 3, 6 maggio 2015, n. 40534) qualora non espressamente dedotti.
11. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, sì dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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