CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 25992 depositata l’ 8 luglio 2021, n. 25992
Reati tributari – Evasione IVA – Dichiarazione infedele – Utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti – Confisca – Pagamento del debito tributario – Revoca
Ritenuto in fatto
1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Como, ha ridotto la pena inflitta a B.M., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ad anni uno e mesi due di reclusione in relazione al reato di cui agli artt. 81 comma 2 cod.pen., 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, quale legale rappresentante della Confezioni I. s.n.c., esercente l’attività di etichettatura, per avere utilizzato, in sede di dichiarazioni annuali ai fini dell’imposta sul valore aggiunto relative agli anni 2011 e 2012, n. 13 fatture per operazioni oggettivamente inesistenti con conseguente evasione di iva per gli importi indicati nel capo di imputazione. Fatto commesso nel 2012, 2013.
1. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi enunciati nei limiti necessari per la motivazione come disposto dall’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen. in relazione all’affermazione della responsabilità penale. Argomenta il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe confermato il giudizio di penale responsabilità dell’imputato per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, sull’erroneo convincimento della non esistenza delle prestazioni oggetto delle fatture contestate e ciò sulla base di un p.v.c. che richiamava in larga parte altro p.v.c. non acquisito in atti elevato a carico delle società emittenti denunciate per la violazione dell’art. 81 cit. presso l’autorità giudiziaria di Trani, senza che nei confronti di costoro fosse stata accertata la responsabilità per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti; sulla ritenuta, ma non dimostrata, inesistenza della società emittente D. srl, sull’errore meramente formale della numerazione di due fatture su tredici contestate, sull’inesistenza dei contratti di appalto e dei prospetti ore lavorate/lavoratori in dipendenza delle commesse commissionate dalle cooperative, laddove, invece, dalle prove assunte sarebbe dimostrata l’esistenza delle prestazioni fatturate.
2.3. Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen. in relazione alla motivazione di rigetto della richiesta di revoca della confisca nonostante la produzione di documenti attestanti il pagamento del debito tributario, avendo il ricorrente provveduto, ai sensi dell’art. 6 del d.l. 119/2018, presentato i modelli per l’adesione e provveduto al pagamento degli importi dovuti mediante F23 con indicazione dei codici tributo, documenti prodotti in udienza.
Considerato in diritto
2. Il ricorrente ripropone i medesimi argomenti già dedotti in appello con riguardo all’affermazione della responsabilità, senza confrontarsi con le puntuali risposte fornite dalla Corte territoriale, il che costituisce causa d’inammissibilità del ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838) ed è anche diretto a richiedere una lettura dei fatti alternativa (sulla realtà delle prestazioni oggetto delle fatture utilizzate nella dichiarazione) a quella già effettuata dai giudici di appello.
Deve osservarsi, infatti, che le censure proposte dal ricorrente non sono consentite nel giudizio di legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la valutazione del fatto, come pure l’apprezzamento del materiale probatorio profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito, che ha fornito una congrua e adeguata motivazione, immune da incongruenze di ordine logico. Quanto alla violazione del canone di valutazione della prova testimoniale, deve rilevarsi che, in tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto, rispetto alla quale non può prospettarsi la violazione della legge processuale, essendo riconducibile la stessa nell’alveo del vizio di motivazione, e pertanto la valutazione dell’attendibilità delle persona offesa può essere esaminata, in sede di legittimità entro i limiti dell’illogicità, contraddittorietà e carenza della motivazione (Sez. 2. n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575) che neppure sono prospettate.
3. La motivazione della Corte d’appello, in continuità con quella del Tribunale appare del tutto logica e coerente, avendo logicamente argomentato, sulla scorta degli elementi presenti nel panorama probatorio.
Segnatamente, la fittizietà delle prestazioni indicate nelle fatture è stata ritenuta sulla scorta della genericità della descrizione delle prestazioni, mancando in fattura il riferimento ai contratti di appalto o subappalto a cui ineriva la prestazione, mancanza di documentazione a supporto, in assenza di dati tecnici, quali i lavoratori impiegati, le ore lavorate, tipologia delle lavorazioni eseguite. Alcune fatture contabilizzate dalla società del ricorrente ed emesse da W.W. risultavano essere state emesse da questi e contabilizzate da altre società che le avevano, anche loro, utilizzate, ed ancora, la D. srl, le cui fatture emesse erano state anche contabilizzate da altre società, non aveva dipendenti, né alcuna struttura aziendale. Le fatture n. 32/2011 e 112/20011 risultano essere state emesse nei confronti di altro e diverso soggetto.
A ciò si aggiunge che la documentazione sui prospetti delle ore lavorate e dei lavoratori impiegati era stata predisposta solo successivamente all’accertamento fiscale.
4. La motivazione appare del tutto congrua e adeguatamente motivata è la fittizietà delle operazioni indicate nelle 13 fatture contabilizzate e utilizzate nelle dichiarazioni fiscali a fini iva, e la censura difensiva, al netto della richiesta di rivalutazione del fatto, non coglie neppure nel segno poiché i giudici del merito hanno dimostrato la fittizietà sulla scorta di elementi probatori tratti dalla testimonianza del teste C. e del consulente della difesa e dei riscontri documentali tratti da accertamenti incrociati, sicché nessuna presunzione tributaria è stata utilizzata per addivenire all’affermazione di responsabilità. Né, sotto altro profilo, è necessario, per la prova del reato contestato di dichiarazione fraudolenta mediate utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, l’affermazione della responsabilità dell’emittente la fattura per operazione inesistente.
5. E’ fondato il secondo motivo di ricorso.
Costituisce ius receptum il principio secondo cui, in tema di reati tributari, la disposizione di cui all’art. 12-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, introdotta dal d.lgs. n.158 del 2015, secondo cui la confisca diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prezzo del reato «non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro», deve essere intesa nel senso che la confisca – così come il sequestro preventivo ad essa preordinato – può essere adottata anche a fronte dell’impegno di pagamento assunto, producendo tuttavia effetti solo ove si verifichi l’evento futuro ed incerto costituito dal mancato pagamento del debito (Sez. 3, n. 28488 del 10/09/2020, D’Angela, Rv. 280014 – 01; Sez. 3, n. 6246 del 11/10/2018, Budino, Rv. 274856 – 01; Sez. 3, n. 18034 del 05/02/2019, Castiglioni, Rv. 275951 – 01).
Ciò significa che il sequestro e la conseguente confisca devono essere conservati fino all’integrale effettivo pagamento della somma evasa, potendo le rate già versate essere considerate solo ai fini della riquantificazione della misura, da cui la conseguenza che a fronte di allegato pagamento, spetta al giudice del merito ogni determinazione del quantum di confisca (e prima ancora di mantenimento del sequestro qualora esistente) e la revoca di questa in caso di integrale pagamento del debito tributario.
La corte territoriale, di fronte al motivo di appello specifico della difesa, ha ritenuto la documentazione “a tal fine non sufficiente” ed ha, di fatto, omesso di rispondere.
La sentenza va pertanto annullata limitatamente alla determinazione della confisca con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano.
Ai sensi dell’art. 624 cod.proc.pen. deve essere dichiarata irrevocabile l’affermazione di responsabilità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla disposta confisca e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità.
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