Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 26087 depositata il 16 settembre 2020
reati tributari – sequestro preventivo, finalizzato alla confisca – utilizzo in compensazione crediti inesistenti
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 5 dicembre 2019, il Tribunale del Riesame di Catania confermava il provvedimento emesso in data 25 ottobre 2019 dal G.I.P. presso il Tribunale di Catania, con il quale, nell’ambito di un’articolata indagine a carico di una pluralità di indagati, era stato disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, delle somme di denaro giacenti su qualsiasi rapporto bancario intestato o comunque riconducibile alla società Z. s.p.a., e, in caso di mancata reperibilità delle somme costituenti il profitto diretto del reato, dei beni mobili, immobili o di altre utilità facenti parte del patrimonio personale degli indagati, sino alla concorrenza della somma di 3.513.186,31 euro. Tale somma veniva individuata quale importo complessivo delle imposte non versate negli anni 2017 e 2018 per effetto della commissione del reato di cui all’art. 10 quater, comma secondo, del d.lgs. n. 74 del 2000, reato ascritto a titolo di concorso anche all’odierno ricorrente R.A., il quale avrebbe contribuito all’attuazione del sistema di illecita estinzione di debiti tributari della Z. s.p.a. utilizzando in compensazione crediti inesistenti, nella sua veste di Presidente del collegio sindacale della Z., nonché di professionista intermediario, tramite il quale erano stati inviati i modelli F24 per la compensazione dei tributi dovuti dalla società con i crediti risultati inesistenti.
2. Avverso l’ordinanza del Tribunale etneo, R.A., tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con cui sono state dedotte l’erronea applicazione degli art. 42 e 110 cod. pen. e 10 quater del d. lgs. n. 74 del 2000, nonché la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, osservandosi come la condotta addebitata al ricorrente fosse farraginosa e non pienamente inquadrabile nella fattispecie contestata, non potendosi in ogni caso applicare a R.A. una responsabilità di posizione, riassumibile nella formula secondo cui egli “non poteva non sapere”.
In particolare, per quanto concerne il profilo di responsabilità addebitato all’indagato per avere, quale intermediario della società, inoltrato il modello F24 dal suo studio professionale, la difesa evidenzia che tale condotta non avrebbe raggiunto la soglia del contributo personale richiesto dall’art. 110 cod. pen., difettando nel caso di specie, oltre al nesso causale, anche l’elemento soggettivo necessario ai fini dell’integrazione della fattispecie; difatti, l’odierno indagato non avrebbe materialmente curato e predisposto la compilazione del modello F24, bensì avrebbe ricevuto lo stesso precompilato con l’unico compito di inoltrarlo dal proprio studio per la compensazione dei tributi, fermo restando che, per espressa previsione contrattuale, il ricorrente non poteva e non doveva prendere visione dei documenti fiscali registrati nelle scritture contabili obbligatorie.
Inoltre, a differenza di quanto sostenuto nell’ordinanza impugnata, R.A. non poteva essere a conoscenza dell’operazione criminosa, non avendo mai rivestito la veste di consulente fiscale della società Z. s.p.a.; di qui l’impossibilità di attribuire al ricorrente un qualsivoglia tipo di responsabilità concorsuale morale. Da ultimo, per quanto concerne la responsabilità attribuita al R.A. in qualità di Presidente del collegio sindacale, la difesa evidenzia che il Tribunale avrebbe omesso di fornire un’adeguata motivazione sulla doglianza con cui era stato sottolineato che il dolo dell’indagato non potesse desumersi dalla qualifica da lui rivestita, in quanto il collegio sindacale, nella sua totalità, era rimasto all’oscuro dei dettagli dell’operazione, come riferito anche dal coindagato G.A..
A tutto voler concedere, in capo all’indagato potrebbe invece attribuirsi una mera responsabilità colposa, per aver omesso di vigilare sulla corretta applicazione delle norme di legge e di essersi affidato ai visti di conformità apposti dalla società di revisione contabile, in relazione alle operazioni di compensazione. Tuttavia, non essendo prevista alcuna responsabilità a titolo di colpa per il reato di cui all’art. 10 quater D. Lgs n. 74 del 2000, nel caso di specie, avrebbe dovuto essere escluso il concorso ex art. 110 cod. pen. di R.A. nella condotta delittuosa posta in essere dall’intraneus, ovvero dal soggetto tenuto a presentare le dichiarazioni o comunque di quello tenuto al pagamento delle imposte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. In via preliminare, occorre richiamare la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656), secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.
Non può invece essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui alla lett. E) dell’art. 606 cod. proc. pen. (in tal senso, cfr. Sez. Un. n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710).
2. Tanto premesso, deve ritenersi che nel caso di specie non sia configurabile né una violazione di legge, né un’apparenza di motivazione, avendo il Tribunale del Riesame sufficientemente illustrato le ragioni poste a fondamento della’ propria decisione, confrontandosi adeguatamente con i temi proposti dalla difesa.
Occorre evidenziare, in ogni caso, che le censure difensive riguardano solo la eventuale partecipazione di R.A. alla condotta illecita per cui si procede, condotta che, invero, nella sua componente oggettiva, non risulta contestata, dovendosi in proposito solo rimarcare che i fatti contestati, oggetto di un’attività di verifica dell’Agenzia delle Entrate di Catania, concernono un meccanismo di frode fiscale realizzato attraverso l’illecito utilizzo degli istituti giuridici dell’accollo e della compensazione dei debiti tributari; al centro di tale meccanismo vi era la società Z. s.p.a., caseificio con sede in Zafferana Etnea, con un volume di affari nel 2018 di 46.565.753, che tra il 2017 e il 2018, aveva estinto in massima parte i propri debiti tributari, accollandoli a società terze e utilizzando in compensazione crediti di imposta che tuttavia si erano rivelati falsi.
Orbene, secondo la prospettazione accusatoria, R.A. avrebbe contribuito a tale meccanismo illecito, sia nella veste di Presidente del collegio sindacale, sia in qualità di professionista intermediario, occupandosi in tal senso della trasmissione telematica dei modelli di versamento F24 utilizzando per portare i crediti iva indebitamente compensati per gli anni 2017 e 2018.
Ciò posto, nel replicare alle deduzioni difensive, con cui è stata rimarcata la estraneità di R.A. al meccanismo illecito, organizzato in maniera autonoma da G.A., rappresentante legale della Z., i giudici cautelari hanno richiamato le dichiarazioni proprio di G.A., da cui si evincerebbe che, nel corso della realizzazione dell’operazione, i consulenti della Z., tra cui figurava anche R.A., ne furono informati, anche se l’accollo fu deciso su proposta di professionisti esterni alla società, tanto è vero che il ricorrente era stato incaricato di provvedere alla trasmissione dei modelli F24, adempimento questo indispensabile ai fini del completamento dell’operazione illecita.
Ha evidenziato al riguardo il Tribunale come fosse impensabile che R.A., operatore del settore e dunque conoscitore delle dinamiche sottese alla complessa operazione tributaria realizzata, abbia adempiuto all’incombente demandatogli rimanendo all’oscuro dell’obiettivo illecito perseguito, tanto più che egli ebbe modo di consultare la documentazione sottostante, rivelatasi carente e irregolare, il che avrebbe dovuto suscitare in lui delle preoccupazioni, a prescindere dalle rassicurazioni atecniche di G.A., a ciò dovendosi solo aggiungere che, nella sua ulteriore qualità Presidente del collegio sindacale, R.A. era gravato anche da ben precisi doveri di controllo, che, ai sensi dell’art.2403 cod. civ., non si esauriscono certo nel prestare aprioristica fiducia in tutte le operazioni o comunicazioni più o meno formali dell’amministratore della società, ma si estrinsecano nell’obbligo di vigilare costantemente sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e, in particolare, sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento.
Tali considerazioni hanno indotto a ritenere configurabile, almeno in questa fase, il concorso di R.A. nel reato, quantomeno in termini di dolo eventuale, atteggiamento psicologico non incompatibile con lo schema del reato di indebita compensazione (cfr. Sez. 3, n. 1722 del 25/09/2019, dep. 2020, Rv. 277507).
3. Ora, pur nella sua estrema sintesi, il percorso argomentativo della ordinanza impugnata resiste alle obiezioni della difesa, che, peraltro con frequenti richiami fattuali, sollecitano una diversa lettura del materiale indiziario disponibile, che non è consentita in questa sede, per cui, fermo restando che le doglianze sollevate dalla difesa ben potranno essere sviluppate, soprattutto a livello probatorio, nelle successive evoluzioni del procedimento penale in corso, deve ribadirsi che il provvedimento impugnato risulta sorretto da un apparato motivazionale non apparente e non irrazionale, concernendo in ogni caso le censure difensive aspetti che ruotano nell’orbita non tanto della violazione di legge, ma piuttosto della manifesta illogicità o della erroneità della motivazione, profilo questo tuttavia non deducibile con il ricorso per cassazione proposto contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio.
4. Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse di R.A. deve essere quindi rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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