Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 26180 depositata il 3 luglio 2024
indebita percezione di erogazioni pubbliche
RITENUTO IN FATTO
1. G.R. è stato citato a giudizio con decreto del 12 dicembre 2014 del Pubblico Ministero del Tribunale di Napoli per rispondere del reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche di cui all’art. 316-ter cod. pen., in quanto, nella qualità di pescatore marittimo, beneficiario di un contributo una tantum per la riconversione professionale in ambiti diversi dalla pesce marittima, erogato dal FEP-Campania in data 5 ottobre 2012, avrebbe omesso di comunicare alla Regione Campania, quale ente erogatore del contributo medesimo, la ripresa entro cinque anni dalla cancellazione dal registro dei pescatori marittimi (avvenuta il 16 ottobre 2012) dell’attività di pescatore professionale, conseguendo indebitamente la somma di 40.000 euro; fatto accertato in Napoli in data 7 novembre 2012 (data dell’accredito del contributo).
2. Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 9 giugno 2021, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.
3. La Corte di appello di Napoli, con la pronuncia impugnata, ha confermato la sentenza di primo grado, appellata dall’imputato, che ha condannato al pagamento delle spese processuali.
4. L’avvocato G. B., difensore dell’imputato, ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l’annullamento, deducendo tre motivi di ricorso.
Con unico motivo, il difensore deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la carenza, la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione.
Premette il difensore che l’imputato ha ottenuto il predetto contributo, in quanto ha dichiarato di aver cessato l’attività di pescatore professionale, e che il decreto dirigenziale che ha disposto l’erogazione del contributo ha precisato che la ripresa dell’attività di pescatore professionale nei cinque anni successivi alla cancellazione dal registro dei pescatori marittimi avrebbe comportato la decadenza dal contributo percepito.
Dall’istruttoria dibattimentale, tuttavia, sarebbe emerso che l’imputato è stato trovato a bordo di un peschereccio solo nel corso del controllo dell’8 luglio 2013 e, dunque, questa circostanza isolata sarebbe del tutto inidonea a comprovare che lo stesso abbia ripreso l’attività di pescatore professionale.
La Corte di appello, dunque, con motivazione meramente apparente e manifestamente illogica, avrebbe ignorato le censure svolte dalla difesa e avrebbe ignorato che il decreto dirigenziale con il quale è stato concesso il contributo una tantum al G.R. espressamente stabilisce a pag. 2, al punto b) che «il requisito di pescatore professionale richiede lo svolgimento dell’attività di pesca quale esclusiva o prevalente attività lavorativa, in quanto la stessa impegna il sottoscritto almeno per il maggior periodo di tempo dell’anno e costituisce la maggior fonte di reddito».
Nell’istruttoria dibattimentale i testi E.L. e P.V., peraltro, avrebbe affermato che vi erano stati altri controlli del motopeschereccio intestato al fratello dell’imputato e che in tali occasioni il ricorrente non era a bordo dell’imbarcazione.
La Corte di appello, dunque, avrebbe dovuto prosciogliere l’imputato perché il fatto non sussiste, in quanto il ricorrente non ha violato il divieto di riprendere l’attività di pescatore professionale.
5. Non essendo stata richiesta la trattazione orale del procedimento, il ricorso è stato trattato con procedura scritta.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 7 maggio 2024, il Procuratore generale, nella persona del dr. R.G., ha chiesto il rigetto del ricorso.
Con conclusioni scritte depositate in data 15 maggio 2024 l’avvocato B. ha chiesto di annullare la sentenza impugnata in quanto il fatto non sussiste.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere accolto.
2. Con unico motivo il ricorrente ha dedotto l’insussistenza del reato
3. Il motivo è fondato.
3.1 Secondo quanto accertato dalle sentenze di merito, l’imputato ha indebitamente percepito il contributo una tantum erogato in data 5 ottobre 2012 per la riconversione professionale in ambiti diversi dalla pesca marittima, in quanto ha omesso di comunicare la ripresa dell’attività di pescatore entro cinque anni dalla cancellazione dal registro dei pescatori marittimi, ripresa accertata in data 8 luglio 2013.
Il contributo sarebbe stato, dunque, originariamente spettante, ma sottoposto a revoca per effetto della ripresa dell’attività dichiarata come cessata.
3.2 La condotta di indebita ritenzione di contributi pubblici legittimamente percepiti, tuttavia, non è ascrivibile all’ambito applicativo del reato di cui all’art. 316-ter pen.
La fattispecie di indebita percezione di erogazioni pubbliche – rubricata, fino all’entrata in vigore del d.l. 25.2.2022, n. 13 (le cui modifiche sono state poi recepite nell’art. 28-bis d.l. 27.1.2022, n. 4, convertito con modifiche dalla L. 28.3.2022, n. 25), «indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato» – è stata introdotta dall’art. 4, della legge 29 settembre 2000, n. 300, di ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari (PIF) delle Comunità europee, fatta a Bruxelles il 26.7.1995,
L’art. 1 della «Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee» del 26 luglio 1995 obbligava, tra l’altro, gli Stati membri a considerare reati, nei rispettivi ordinamenti, ogni azione o omissione intenzionale di utilizzo o presentazione di documenti falsi, inesatti, o incompleti, cui consegua la percezione o la ritenzione illecita di fondi provenienti dal bilancio delle Comunità europee.
Il legislatore italiano, tuttavia, nell’introdurre l’art. 316-ter cod. pen. non ha attribuito rilievo penale alla condotta di indebita ritenzione degli aiuti, ma solo al loro indebito conseguimento.
Il reato è, dunque, configurabile a fronte di dichiarazioni mendaci e della produzione di falsa documentazione per ottenere l’erogazione di erogazioni pubbliche e non già con riferimento a una dichiarazione veritiera, ma non integrata successivamente dalla comunicazione di sopravvenienza di cause di decadenza (sempre che la stessa non riguardi ulteriori tranches di un rapporto continuativo). La condotta di omessa informazione successiva alla regolare percezione del contributo pubblico, dunque, non integra il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen., ma al più il delitto di cui all’art. 316-bis cod. pen., ove si sia in presenza di un’erogazione fondata su un vincolo di destinazione.
3.3 Non ricorre, del resto, nel caso di specie l’elemento di fattispecie dell’acquisizione del contributo pubblico mediante l’«utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute», in quanto il mendacio (conseguente all’omissione della comunicazione doverosa) sarebbe, infatti, solo successivo all’erogazione.
Il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, peraltro, si consuma nel momento e nel luogo in cui avviene il conseguimento indebito dell’erogazione (ex plurimis: Sez. 6, n. 2125 del 24/11/2021, Bonfanti, Rv. 282675 – 02; Sez. 6, n. 12625 del 19/02/2013, Degennaro, Rv. 254490 – 01; conf. Sez. 6, n. 9060 del 30/11/2022 (dep. 2023), GSE s.p.a., Rv. 284336 – 01) nel caso di specie l’erogazione, per accertato dalle sentenze di merito, è avvenuta «in un’unica soluzione» (e, dunque, non era periodica o, comunque, frazionata in una pluralità di rate).
Le vicende risolutorie successive alla percezione dell’erogazione pubblica possono, dunque, rilevare sul piano amministrativo e civile, ma non su quello penale.
4. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere annullata perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.