CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 26236 depositata il 8 giugno 2018
Reati tributari – Indebita compensazione – Crediti inesistenti – Superamento della soglia di rilevanza penale – Comportamento colposo del commercialista incaricato – Configurazione del dolo eventuale in capo al legale rappresentante – Esclusione
Ritenuto in fatto
1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Bari confermava la decisione resa dal tribunale di Foggia, appellata dall’imputato, che aveva condannato R.A. alla pena di giustizia in relazione a due violazioni dell’art. 10 quater d.lgs. n. 74 del 2000, perché, in qualità di amministratore e legale rappresentate della società B.S. s.r.l., non versava le somme dovute a titolo di imposta utilizzando, nei modelli di pagamento F24 relativi agli anni di imposta 2009 e 2010, compensazioni per crediti inesistenti o non spettanti per un valore di euro 221.717,81, quanto al 2009, e di euro 346.551,18, quanto al 2010; il tribunale, peraltro, mandava assolto M.C.R., imputato dei medesimi reati, per non aver commesso il fatto, non rivestendo più, all’epoca dei fatti, la qualifica di amministratore e legale rappresentate della società.
2. Avverso l’indicata sentenza l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge, con riguardo agli artt. 43 cod. pen. e 10 quater d.lgs. n. 74 del 2000 e vizio motivazionale in relazione alla ritenuta sussistenza del dolo eventuale. Assume il ricorrente che, alla luce delle risultanze probatorie e dei principi elaborati dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, l’A. poteva essere consapevole che il commercialista non registrasse le fatture, ma non anche che portasse in compensazione, e a breve distanza temporale l’uno dall’altro, quale credito IVA, il medesimo importo già compensato nell’anno 2008 sotto la gestione del R.. Del resto, l’A. aveva poi revocato il commercialista e presentato ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale tramite altro commercialista, a conferma dell’insussistenza del dolo.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge e vizio motivazionale in ordine al trattamento sanzionatorio. La Corte territoriale, per un verso, avrebbe errato nella determinazione della pena, non dando il giusto peso al ritenuto dolo eventuale, per altro verso, avrebbe omesso di pronunciarsi in ordine alla richiesta di sostituzione della pena detentiva breve con la pena pecuniaria.
1. Il primo motivo di ricorso è fondato, con conseguente assorbimento del secondo.
2. In primo luogo va precisato che delitto di indebita compensazione, punito dall’art. 10 quater d.lgs. n. 74 del 2000, dal punto di vista dell’elemento soggettivo, richiede il dolo generico, che si realizza allorquando l’agente, in maniera deliberata, ometta il versamento delle somme dovute, utilizzando in compensazione crediti che sa non essere spettanti, rappresentandosi altresì il superamento della soglia di 50 mila euro annui. Trattandosi di dolo generico, non vi sono, perciò, ostacoli per la confutabilità del dolo eventuale.
In via generale, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, va osservato che il dolo eventuale ricorre quando l’agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell’evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi; ricorre invece la colpa cosciente quando la volontà dell’agente non è diretta verso l’evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l’evento illecito, si astiene dall’agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 – dep. 18/09/2014, Espenhahn, Rv. 261104).
Come precisato dalle Sezioni Unite, per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa e a tal fine l’indagine giudiziaria, volta a ricostruire l’iter e l’esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell’agente; c) la durata e la ripetizione dell’azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell’evento; g) le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento (cosiddetta prima formula di Frank).
Di conseguenza, occorre rifuggire dalla tendenza a ricondurre nel fuoco del dolo eventuale ogni comportamento improntato a grave azzardo, quasi che la distinzione tra dolo e colpa sia basata su un dato “quantitativo” della violazione del dovere di diligenza, piuttosto che su un accurato esame delle specificità del caso concreto, attraverso il quale pervenire al dato differenziale di fondo: ossia attribuire o meno al soggetto attivo un atteggiamento di volizione della condotta.
3. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha ravvisato il dolo eventuale, sulla base del fatto che l’A. avesse avuto da tempo notizia di una cattiva e disordinata gestione della contabilità che lo riguardava, essendosi accorto che il professionista, all’uopo incaricato, non la conduceva in maniera attenta, perché non registrava le fatture che gli faceva recapitare.
Una motivazione del genere non appare far buon governo dei principi sopra indicati.
In primo luogo, per come accertato dai giudici di merito, in capo al commercialista pare prefigurabile un atteggiamento meramente colposo, concretizzatosi in una disordinata tenuta della contabilità della società dell’A.; non è dato comprendere, pertanto, come l’atteggiamento colposo del professionista possa prefigurare, in capo al cliente, un atteggiamento doloso.
In secondo luogo, l’A. era venuto a conoscenza del fatto che il commercialista non annotasse regolarmente, nella contabilità, le fatture; ma tale circostanza è affatto diversa dalla contestazione mossa all’imputato, ad oggetto l’indebita compensazione di crediti inesistenti. In altri termini, non si vede come, dall’essere venuto a conoscenza del fatto che il commercialista non annotasse le fatture, l’A. potesse anche rappresentarsi l’indebita compensazione del credito fiscale, superiore alla soglia di 50 mila euro annui.
Del resto, la confusione tra dolo e colpa è presente sin dalla sentenza di primo grado, in cui, in maniera contraddittoria, dopo aver individuato, a carico dell’A., una culpa in eligendo e/o in vigilando in ordine all’operato del commercialista, si è affermato che l’imputato dovesse rispondere del reato in esame a titolo di dolo eventuale.
Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza in ordine alla sussistenza del dolo, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari.
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