Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 26401 depositata il 4 luglio 2024

falsa attestazione nella relazione per il concordato

RITENUTO IN FATTO

1. Il difensore di F.F., avv. F.A., ricorre per cassazione avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello di Genova, in parziale riforma della decisione con la quale il Tribunale di Genova ha affermato la penale responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di falso in attestazioni e relazioni di cui all’art. 236-bis del D. 16 marzo 1942, n. 267 e lo ha condannato alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 34.000,00 di multa, nonché al risarcimento del danno in favore della curatela fallimentare, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato e ha revocato le statuizioni civili.

2. Con il primo motivo, proposto per violazione di legge e vizio di motivazione, lamenta che la corte territoriale ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato per intervenuta prescrizione del reato, senza considerare che, in ragione della mancanza di un idoneo compendio istruttorio, si era accertato, ai fini civili, il difetto degli elementi oggettivo e soggettivo del

3. Con il secondo motivo, proposto per violazione di legge e vizio di motivazione, lamenta che la corte d’appello ha dichiarato il delitto estinto per decorso del termine di prescrizione, senza tener conto che il compendio probatorio aveva dimostrato il difetto degli elementi costitutivi del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è fondato.

2. La corte territoriale, dopo aver dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato per intervenuta prescrizione del reato, ha proceduto ad accertare la sussistenza della fattispecie civilistica dell’illecito aquiliano, escludendola per mancanza di prova «della coscienza e volontà» della condotta addebitata all’imputato, così non facendo corretta applicazione del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, affermato da Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274, secondo cui, pur ricorrendo una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 comma secondo, cod. proc. pen. qualora emergano dagli atti circostanze idonee a escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale.

3. All’imputato è stato contestato di aver redatto, in qualità di professionista incaricato, una relazione nel corpo della quale erano esposte false informazioni relative alla procedura di concordato preventivo riguardante la società di capitali T. s.r.l.

Giova evidenziare che la corte d’appello, nel dare atto della causa estintiva del reato per intervenuta prescrizione verificatasi nelle more del giudizio di secondo grado, non ha compiuto, ai fini degli effetti civili, attività ulteriori rispetto al compendio probatorio già in atti, limitandosi a constatare la sussistenza di circostanze emergenti idonee ad escludere l’esistenza del fatto, circostanze che ha individuato nell’assenza di elementi probatori in grado di dare certezza della consapevolezza dell’imputato in merito alla falsità dei dati sulla base dei quali aveva redatto la sua relazione.

Invero, i giudici d’appello hanno dato atto della circostanza  che nè il precedente  professionista attestatore, né il legale rappresentante della società – che aveva trasmesso gli atti all’imputato – avevano avuto dubbi in merito alla genuinità dei dati risultanti dai documenti messi a loro disposizione dalla società.

In breve, dunque, la corte territoriale ha escluso la sussistenza di «elementi obiettivamente apprezzabili non solo per sostenere, sotto il profilo materiale, la falsità delle attestazioni contenute nelle relazioni […]», ma anche di emergenze necessarie a provare «la coscienza e volontà del mendacio» attribuito al F.F..

4. Ne deriva che, nel caso di specie, appare riscontrabile una mancanza di omogeneità tra le statuizioni, penali e civili, adottate nella sentenza in verifica.

Invero il compendio probatorio valutato nei termini di cui innanzi avrebbe dovuto comportare l’assoluzione dell’imputato nel merito, in ragione della regola probatoria di cui all’art. 530, comma 2, cod. proc. pen. e, di conseguenza, la revoca delle statuizioni civili pronunciate dal primo giudice, il quale aveva condannato il F.F..

Diversamente, la corte territoriale, richiamato il percorso seguito dal giudice di primo grado e, quindi, dando per provata l’attribuibilità all’imputato del delitto contestatogli, ha dichiarato prescritto il reato e, diversamente, ha escluso, quanto agli effetti civili, l’esistenza di un compendio probatorio idoneo a ritenere raggiunta la prova della condotta di falso addebitata, là dove, invece, in presenza della causa estintiva del delitto per intervenuta prescrizione, la valutazione a fini civilistici delle risultanze istruttorie che porti all’accertamento della mancanza di responsabilità penale, anche per insufficienza o contraddittorietà delle prove, esplica i suoi effetti sulla decisione penale, con la conseguenza che deve essere pronunciata, in tal caso, la formula assolutoria nel merito.

6. Dalle suesposte considerazioni consegue che, assorbito il secondo motivo di ricorso, l’impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio “perché il fatto non sussiste”, con conseguente revoca delle statuizioni civili.

P.Q.M. 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste