Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 26584 depositata il 24 settembre 2020
reati tributari – indebita compensazione – misure cautelari – creazione di società di comodo
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata ordinanza il Tribunale di Milano, costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., rigettava l’istanza di riesame proposta nell’interesse di Z.L. avverso l’ordinanza emessa il 17 febbraio 2020 dal G.i.p. presso il Tribunale di Busto Arsizio, la quale ha applicato al predetto la custodia in carcere per tre ipotesi delittuose di indebita compensazione, ex artt.81 cpv., 110 cod. pen., 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, di cui ai capi 2), 5) e 6) dell’incolpazione provvisoria.
2. Avverso l’indicata ordinanza, Z.L., per il tramite del suo difensore di fiducia, propone ricorso per Cassazione affidato a quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. in relazione alla sussistenza del pericolo di fuga. A tal proposito, il Tribunale cautelare non solo non avrebbe reso alcuna motivazione sul punto, ma dalla presenza dello Z.L. all’estero (Londra), ove si trattenne successivamente alla notizia dell’avvenuta perquisizione, ha illegittimamente desunto il pericolo di inquinamento probatorio, nemmeno ravvisato dal G.i.p. nell’ordinanza genetica.
2.2 Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in relazione all’art. 274, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. con riferimento al pericolo di fuga e alla reiterazione del reato. Secondo quanto accertato dal Tribunale cautelare, che ha recepito la ricostruzione dei fatti fornita dall’ordinanza genetica, la società F. s.r.l. sarebbe lo schermo giuridico mediante il quale l’indagato, in veste di presunto amministratore di fatto, avrebbe compiuto operazioni di acquisto a società titolari di crediti IVA fittizi da portare in compensazione con i debiti di altre società terze; orbene, ad avviso del ricorrente, il fallimento della F. s.r.l., portato all’attenzione del Tribunale, che lo ha degradato a mero “dato pacifico” del “meccanismo in esame”, rappresenta l’occasione che farebbe cessare il disegno criminoso ascritto all’indagato, essendo venuto a mancare lo strumento utilizzato per porre in essere le condotte illecite.
2.3. Con il terzo motivo si eccepisce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), d) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 274, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. e in ordine alla valutazione di concretezza e di attualità del pericolo di reiterazione del reato. Ad avviso de ricorrente, la motivazione sarebbe astratta, laddove ha ravvisto il perdurante pericolo di reiterazione sulla base della “creazione di una rete professionale” e dei precedenti penali dell’indagato, senza collegarli alla funzione concretamente svolta dalla F. s.r.l. Assume il ricorrente che, in assenza dello strumento giuridico societario, mediante il quale l’indagato avrebbe svolto l’attività illecita, la concretezza e l’attualità del pericolo di reiterazione del reato rimarrebbero mere congetture.
2.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 275, comma 3, e 3-bis, 309, comma 9, cod. proc. con riferimento alla presunta adeguatezza della sola misura cautelare inframuraria. Secondo il ricorrente, il richiamo del Tribunale distrettuale alle “capacità operative dimostrate attraverso gli strumenti informatici, utilizzabili anche dal domicilio” sarebbe insufficiente per motivare l’inidoneità delle altre misure per preservare le esigenze cautelari, anche alla luce di un’erronea minimizzazione del fallimento della F. s.r.l., atteso che senza di essa l’indagato non potrebbe più porre in essere la condotta criminosa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Va premesso che il ricorrente – come già avvenuto con l’istanza ex art.309 cod. proc. pen. – non muove alcuna contestazione in ordine alla gravità indiziaria, appuntando le censure solamente con riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari, nonché alla valutazione di adeguatezza della misura in atto.
3. Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, un gruppo di soggetti, tra cui il ricorrente, attraverso l’utilizzo di società di comodo (o fittizie o rilevate in quanto prossime alla decozione, come la F. s.r.1, di cui lo Z.L. era l’amministratore di fatto), aveva creato ex novo crediti i.v.a. inesistenti, che venivano ceduti – con il meccanismo dell’accollo, all’epoca consentito – ad altri soggetti, i quali operavano le indebite compensazioni con i propri debiti, ciò che integra il delitto ex art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000; attraverso tale meccanismo – collaudato, ramificato e sistematico, articolato su strutture personali e societarie utilizzate con professionalità e disinvoltura, protrattosi per un notevole numero di anni -, gli indagati hanno conseguito un profitto, con corrispondente danno all’erario, pari a circa 50 milioni di euro, 13 milioni dei quali derivanti dai reati ascritti al ricorrente ai capi 2), 5) e 6), attuati, appunto, con la cessione dei crediti fittizi, da parte della F. s.r.1, nei confronti di oltre quaranta soggetti.
3. Ciò posto, i primi tre motivi, esaminabili congiuntamente essendo diretti a contestare la ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, anche sotto il profilo dell’attualità e della concretezza, sono infondati.
4. Cominciando dal ritenuto pericolo di recidivanza, va ricordato che l’art. 274, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., nel testo introdotto dalla l. 16 aprile 2015, n. 47, richiede che il pericolo che l’imputato commetta altri delitti sia non solo concreto, ma anche attuale, sicché non è più sufficiente ritenere altamente probabile che l’imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione, ma è anche necessario prevedere, in termini di alta probabilità, che all’imputato si presenti effettivamente un’occasione per compiere ulteriori delitti della stessa specie: la relativa prognosi comporta, in particolare, la valutazione, attraverso la disamina della fattispecie concreta in tutte le sue peculiarità, della permanenza della situazione di fatto che ha reso possibile o, comunque, agevolato la commissione del delitto per il quale si procede. Il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato deve perciò essere inteso non come imminenza del pericolo di commissione di ulteriori reati, ma come prognosi di commissione di delitti analoghi, fondata su elementi concreti – e non congetturali – rivelatori di una continuità ed effettività del pericolo di reiterazione, attualizzata al momento della adozione della misura (Sez. 6, sentenza n. 9894 del 16/02/2016 Rv. 266421), pericolo che va apprezzato sulla base anche della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare (Sez. 6, Sentenza n.3043 del 27/11/2015, Rv. 265618). La sussistenza di un pericolo “attuale” di reiterazione del reato va perciò esclusa soltanto qualora la condotta criminosa posta in essere si riveli del tutto sporadica ed occasionale, dovendo invece essere affermata se – all’esito di una valutazione prognostica fondata sulle modalità del fatto, sulla personalità del soggetto e sul contesto socio-ambientale in cui egli verrà a trovarsi, ove non sottoposto a misure – appaia probabile, anche se non imminente, la commissione di ulteriori reati; ne deriva che il requisito dell’attualità del pericolo può sussistere anche quando l’indagato non disponga di effettive ed immediate opportunità di ricaduta (Sez. 2, Sentenza n. 44946 del 13/09/2016, Rv. 267965, Sez. 2, Sentenza n. 47891 del 07/09/2016, Rv. 268366). In breve: il pericolo di recidivanza deve fondarsi su dati di fatto tangibili, e quindi concreti, esistenti al momento dell’adozione della misura, in questo l’attualità, tali da rendere altamente probabile il verificarsi di un’occasione vicina di reiterazione criminosa.
5. Nel caso in esame, il Tribunale fatto buon governo dei principi ora richiamati, avendo desunto l’attualità del concreto pericolo di recidivanza non solo dalle ben collaudate e radicate modalità operative del gruppo, ma anche – e soprattutto – valorizzando la circostanza che la condotta illecita fosse in pieno svolgimento all’epoca della richiesta della misura, e nonostante il ricorrente avesse avuto conoscenza del presente procedimento penale. In particolare, il Tribunale cautelare ha evidenziato come la creazione di una rete professionale (costituita da procacciatori di clienti, remunerati in percentuale, di società con operatività fittizia alle quali venivano attribuiti crediti i.v.a. inesistenti, di studi di commercialisti presso cui gestire la contabilità e l’invio dei modelli F 24) sia chiaramente dimostrativa di una capacità operativa non certo occasionale, che quindi trascende il momentaneo venir meno di una delle società attraverso cui gli indagati perpetravano gli illeciti. Come osservato dal Tribunale con logica motivazione, il pericolo di recidivanza non è eliminabile solo perché una società sia stata dichiarata fallita, attesa la rete di collaborazioni instaurata dal ricorrente, anche a livello sovranazionale, stante la riferibilità di quote della F. s.r.l. a società inglese, e considerati i precedenti penali di cui è gravato lo Z.L. (già definitivamente condannato per associazione per delinquere, furto, falsi in scrittura privata). La motivazione appare perciò adeguata, immune da vizi logici o da violazioni di legge, sicché merita conferma.
6. Il Tribunale del riesame, inoltre, ha ravvisato, diversamente dal G.i.p., che aveva ritenuto il pericolo di fuga, anche il pericolo di inquinamento probatorio, il che è oggetto di contestazione da parte del ricorrente, secondo cui al Tribunale cautelare sarebbe inibito ravvisare esigenze cautelari che non siano state considerate nell’ordinanza genetica.
7. Al tal proposito, occorre ricordare che le esigenze cautelari previste dall’art. 274 cod. proc. pen. sono pienamente ed autonomamente valutabili dal Tribunale del riesame, nel senso che lo autorizzano, da un lato, ad annullare o riformare il provvedimento in senso favorevole all’indagato anche per motivi diversi da quelli enunciati nell’atto di impugnazione, e, dall’altro, a confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento (cfr. Sez. 1, n. 43014 del 11/10/2005, Saccomanno, Rv. 232707).
8. Va perciò data continuità al principio, che il Collegio condivide, secondo cui in materia di impugnazioni contro provvedimenti de libertate, il Tribunale della libertà, investito in sede di riesame o di appello del tema relativo alla insussistenza della esigenza cautelare ritenuta nella ordinanza, ha il potere di confermare la misura cautelare per esigenze diverse da quelle poste alla base della sua applicazione (Sez. 6, n. 26458 del 12/03/2014, Riva, Rv. 259976; Sez. 5, n. 4446 del 05/12/2006, Semeraro, Rv. 235687).
9. Di conseguenza, non sono ravvisabili la dedotta violazione di legge e l’asserito vizio di omessa motivazione, laddove il Tribunale cautelare, come nella specie, non abbia ritenuto il pericolo di fuga, già individuato dal G.i.p., ma, oltre all’indicato pericolo di recidivanza, abbia altresì ritenuto sussistente il pericolo di inquinamento probatorio, in relazione al quale, il ricorrente non ha elevato nel merito alcuna contestazione.
10. Il quarto motivo è infondato. Il Tribunale cautelare, infatti, ha ritenuto inadeguata la misura degli arresti domiciliari, che non potrebbe adeguatamente fronteggiare il pericolo di recidivanza, attese la capacità operative dimostrate attraverso strumenti informativi, utilizzabili anche dal domicilio, e considerando che la compagna del ricorrente risulta aver svolto attività lavorativa presso la F.. A fronte di una motivazione del genere, immune da illogicità manifeste, a nulla vale obiettare che la F. srl sia stata dichiarata fallita, proprio perché la capacità criminale prescinde dai concreti strumenti attraverso cui essa può manifestarsi, strumenti che, essendo fungibili, ben possono essere sostituiti con altri per la prosecuzione dell’attività criminosa.
11. Per i motivi indicati, il ricorso deve perciò essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p.
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