Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 26866 depositata il 16 giugno 2019

Indebita compensazione – Momento consumativo – Presentazione dell’ultimo modello F24 – Anno interessato – Sussiste

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, in parziale riforma della decisione resa dal g.u.p. del Tribunale di Roma all’esito del giudizio abbreviato e appellata dall’imputato, la Corte di appello di Roma dichiarava non doversi procedere nei confronti di V.R. in relazione al reato di all’art. 10 quater d.lgs. n. 74 del 2000 quanto all’annualità del 2007 perché estinto prescrizione e, per l’effetto, quanto alla residua annualità del 2008, rideterminava la pena in sei mesi di reclusione, con i doppi benefici di legge.

2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per Cassazione affidato a quattro motivi.

2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 157 e ss. cod. pen. con riferimento al delitto di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000. Assume il ricorrente che, in relazione al sopravvissuto capo F) di imputazione relativo all’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, il reato de quo, pur non avendo i giudici di merito individuato la data di consumazione, risulterebbe pacificamente prescritto in data antecedente a quella di pronuncia della impugnata sentenza, ossia, al più tardi (ossia facendo decorrere il termine di prescrizione dal 31 dicembre 2008) in data 16/09/2016, tenendo conto del periodo di sospensione pari a due mesi e sedici giorni.

2.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 24, comma 2, Cost. e 429 lett. c) cod. proc. pen. Il ricorrente si duole della mancanza di chiarezza e precisione nella formulazione dei capi di imputazione, che, a seguito della declaratoria per prescrizione della maggior parte dei reati originariamente contestati, non consentirebbe una ricostruzione del fatto residuo; peraltro, a tal proposito l’impugnata sentenza si è limitata a un rinvio per relationem alla decisione di primo grado, senza fornire una specifica motivazione.

2.3. Con il terzo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. con riguardo agli artt. 192 cod. proc. pen. e 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000. Ad avviso del ricorrente, difetterebbe un concreto accertamento circa l’inesistenza oggettiva o soggettiva delle fatture in questione, che ha determinato l’impossibilità di accertare, come indebito, l’utilizzo del credito IVA de quo. In particolare, la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente motivato in ordine sia alla provenienza del credito IVA utilizzato nel 2008, sia alla conoscenza, da parte dell’imputato, dell’inesistenza delle operazioni di cui alle fatture e note di credito in questione, conoscenza che è stata desunta unicamente dalla carica apicale rivestita dal R.

2.4. Con il quarto motivo si censura la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed c) cod. proc. pen. in relazione all’art. 62-bis cod. pen. Osserva il ricorrente che il giudice di seconde cure, nella determinazione della pena, si è limitato a ridurre la pena per effetto della declaratoria di prescrizione, senza alcuna valutazione in ordine all’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche, da riconoscersi sulla base del leale comportamento processuale, dell’incensuratezza e dell’assenza di una concreta ed effettiva capacità criminale dell’imputato.

3. Il ricorso è fondato in relazione al primo motivo, con conseguente assorbimento dei motivi ulteriori.

3.1. Invero, l’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000 punisce “chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione” o “crediti non spettanti” (comma 1), ovvero “crediti non dovuti” (comma 2). In ogni caso la condotta punita è l’omesso versamento dell’imposta, attuato mediante una peculiare modalità, ossia l’indebita compensazione di crediti, non spettanti o non dovuti. Il momento consumativo del reato, quindi, va individuato nella presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato, essendo questa la condotta con la quale si realizza l’indebita compensazione, ai sensi della normativa fiscale relativa (art. 17 d.lgs. n. 241 del 1997, art. 17) (in questo senso Sez. 3, n. 4958 dell’11/20/2018, dep. 01/02/2019, non massimata, e, in precedenza, Sez. 3, n. 45234 del 21/06/2016, Filograna, non massimata). Infatti, ciò che penalmente rileva è il momento del mancato versamento causato dall’indebita compensazione e non già quello della successiva dichiarazione reddituale, perfezionandosi la condotta decettiva del contribuente proprio per effetto dell’utilizzo del modello di versamento in questione (così Sez. 3, n. 4958 del 2019, non massimata).

3.2. Nel caso in esame, dagli atti emerge che la società ha effettivamente utilizzato in compensazione, fino alla data del 17/06/2008, l’importo di 516.407,94 euro, originato dalle illecite compensazioni (perché relative a crediti IVA fittizi) per le annualità 2002, 2003 e 2004. Ne segue che il termine massimo di prescrizione, pari a sette anni, cui devono aggiungersi due mesi e sedici giorni a titolo di sospensione, decorrente dal 17/06/2008, era maturato prima della pronuncia della sentenza impugnata.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il residuo reato estinto per inscrizione.