CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 27557 depositata il 5 ottobre 2020
Reati tributari – Frode fiscale continuata e bancarotta fraudolenta patrimoniale – Imputazione dei reati – Amministratore di fatto – Esclusione – Mancata prova dell’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Trento sez. dist. di Bolzano, in riforma della pronunzia di primo grado appellata dal pubblico ministero, ha condannato O.H. per i reati di frode fiscale continuata e bancarotta fraudolenta patrimoniale commessi nella gestione della O.S. s.r.I., fallita nel corso del 2014, In tale senso la Corte territoriale ha ritenuto l’imputato responsabile dei reati contestatigli in qualità di amministratore di fatto della fallita in relazione alla distrazione di materiali e servizi dalla stessa acquistati e fatturati in favore della ditta individuale a lui intestata.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato articolando due motivi. Con il primo deduce vizi di motivazione. In particolare lamenta il difetto della specifica confutazione, in violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata, delle argomentazioni dispiegate dal giudice di primo grado per escludere in capo all’imputato la qualifica di amministratore di fatto della fallita, desunta dalla Corte territoriale in maniera comunque apodittica, in ragione della mera contabilizzazione a carico della società dei beni e servizi asseritamente destinati ai cantieri della ditta individuale. Con il secondo motivo viene invece dedotta erronea applicazione della legge penale in relazione all’affermata configurabilità del reato di frode fiscale, in riferimento a fatture per operazioni solo soggettivamente inesistenti ad oggetto costi effettivamente sostenuti dalla fallita e dunque, non fittizi.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti.
2. Pregiudiziale risulta l’esame del secondo motivo, che è peraltro infondato.
Ai sensi dell’art. 1 lett. a) d. lgs. n. 74/2000 devono intendersi soggettivamente inesistenti le fatture caratterizzate dalla divergenza tra la rappresentazione documentale e la realtà attinente ad uno dei soggetti che intervengono nell’operazione, non potendo limitarsi tale ipotesi al solo caso in cui l’inesistenza soggettiva si riferisce all’emittente il documento, ma ricorrendo anche laddove vi sia un’interposizione fittizia di una qualsiasi delle parti effettive dell’operazione contrattuale.
In tal senso questa Corte ha avuto ripetutamente modo di precisare che soggettivamente inesistente è l’operazione non realmente intercorsa tra i soggetti che figurano quale emittente e percettore della fattura. La diversità può riguardare chi abbia emesso il documento ma non abbia in realtà effettuato alcuna prestazione, ovvero il caso in cui essa sia stata effettuata non in favore di colui che risulta destinatario del documento fiscale. In tal caso la diversità riguarda il destinatario della fattura, che quindi la utilizza pur non essendo committente, né beneficiario di alcuna prestazione, annotando nella contabilità i costi sostenuti ed i crediti d’IVA senza che ciò corrisponda ad una operazione realmente intercorsa tra le parti: il beneficiario reale della prestazione è un altro (Sez. 3, n. 10394 del 14/01/2010, Gerotto, Rv. 246327), mentre nel documento è indicato un soggetto che non ha preso parte all’operazione economica. Quando la falsità ha ad oggetto l’indicazione dei soggetti tra i quali è intercorsa l’operazione (“soggetti diversi da quelli effettivi”, cfr. Sez.3, n. 27392 del 27/04/2012, P.M. in proc. Bosco e altro, Rv. 253055), viene integrato il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti (ex multis Sez. 3, n. 20353 del 17/03/2010, Bizzozzero e altro, Rv. 247110; Sez. 3, n. 19012 del 11/02/2015, Spinelli e altro, Rv. 263745; Sez. 3, n. 34534 del 21/04/2017, Matracchi, Rv. 270962; Sez. 3, n. 49806 del 18/05/2018, Scaletta, Rv. 274744; Sez. 3, n. 53319 del 28/09/2018, Tarquini, Rv. 275178; Sez. 3, n. 4236 del 18/10/2018, dep. 2019, Di Napoli, Rv. 275692; Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, dep. 2020, Moiseev, Rv. 278378; Sez. 3, n. 10916 del 12/11/2019 – dep. 2020, Bracco, non massimata).
E’, dunque, irrilevante che la fallita abbia eventualmente ed effettivamente sostenuto il costo, una volta accertata che la stessa non è stata la reale cessionaria dei beni e dei servizi acquistati, circostanza che nel caso di specie il ricorrente nemmeno ha seriamente messo in dubbio, mentre la sentenza impugnata ha dimostrato come la reale destinataria delle operazioni fatturate sia stata la ditta individuale dell’imputato.
3. Colgono invece nel segno le doglianze proposte con il primo motivo di ricorso.
All’O. è stata contestata la responsabilità per i reati di frode fiscale continuata e bancarotta descritti nell’editto imputativo, rispettivamente, ai capi 1) e 3), in concorso con la moglie K.E., amministratrice di diritto della O.S. s.r.I., ed il figlio e nella sua qualità di amministratore di fatto della società. Qualifica che il giudice di primo grado ha ritenuto non essere stata provata, ragion per cui assolveva l’imputato.
Nel ribaltare il verdetto di primo grado, la Corte territoriale – benchè sollecitata dal pubblico ministero nell’atto d’appello a non limitarsi esclusivamente a verificare l’attribuibilità all’O. della qualifica di amministratore di fatto della fallita, ben potendo egli rispondere dei reati contestatigli anche in qualità di concorrente extraneus – si è concentrata esclusivamente sulla prova della suddetta qualifica, ritenendo raggiunta la prova dello stabile coinvolgimento dell’imputato nella gestione della fallita e, conseguentemente, la sua responsabilità concorsuale in qualità di intraneus nella commissione dei delitti per cui si procede.
Conclusione che, come denunziato dal ricorrente, non è stata sostenuta da idonea motivazione, non essendosi i giudici d’appello fatti carico dell’obbligo di confutare gli argomenti posti alla base della decisione riformata. Infatti, la sentenza impugnata si limita a richiamare apoditticamente sul punto le dichiarazioni del curatore fallimentare e l’informativa dell’Agenzia delle Dogane, senza tenere conto della argomentata svalutazione operata dal G.u.p. delle conclusioni raggiunte tanto dal primo, quanto dalle seconda, soprattutto in riferimento all’irrilevanza, stante la struttura della società, dei ruoli “operativi” svolti dall’imputato.
La Corte territoriale ha altresì esaltato il fatto che l’O. sia stato l’effettivo destinatario delle operazioni soggettivamente inesistenti e della distrazione, omettendo però di spiegare le ragioni per cui tale circostanza, nel contesto dato, sarebbe di per sé sintomatica, secondo il consolidato insegnamento del giudice di legittimità, dell’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, ancorchè non di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma quantomeno dell’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale, in grado di giustificare l’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto (ex multis Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 256534).
In altri termini, non è dubbio che l’essere stato l’O. – come detto coniuge dell’amministratore di diritto – il destinatario dei beni oggetto delle imputazioni può essere valorizzato come indice del suo coinvolgimento quale concorrente nella consumazione dei reati addebitatigli, ma non è in grado di per sé di esaurire, sul piano logico ed alla luce dei principi testè evocati, la prova dell’assunzione della qualifica dalla quale i giudici del merito hanno fatto dipendere l’affermazione della sua responsabilità per entrambi i reati contestati.
4. Alla luce degli evidenziati vizi motivazionali la sentenza impugnata deve dunque essere annullata. Deve peraltro rilevarsi che, con riferimento alle condotte di frode fiscale contestate al capo 1) realizzate nella dichiarazione dei redditi del 2012, è nel frattempo maturato il termine di prescrizione, anche tenendo conto dei 41 giorni di sospensione (dal 24 maggio 2016 al 5 luglio 2016) conseguenti al rinvio del giudizio di primo grado per l’adesione del difensore dell’imputato all’astensione delle udienze, ma non dell’ulteriore rinvio di quella del 4 ottobre 2016, in quanto sollecitato dal patrono di parte civile senza che quello dell’imputato vi abbia espressamente aderito (ex multis Sez. 3, n. 51589 del 28/09/2017, S., Rv. 271804).
Pertanto, limitatamente al reato relativo alla dichiarazione del 2012 l’annullamento deve essere disposto senza rinvio per la ragione esposta, mentre, in riferimento agli altri reati di cui al capo 1) ed a quello di cui al capo 3), con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Trento.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al capo 1), limitatamente all’anno di imposta 2011, per essere il reato estinto per prescrizione. Annulla la medesima sentenza, in riferimento ai residui reati, con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Trento.
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