CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 27588 depositata il 6 ottobre 2020
Omessi versamenti delle ritenute previdenziali – Carenza di fondi della società e degli imputati – Prova dell’impossibilità oggettiva di adempiere alle obbligazioni previdenziali – Forza maggiore, su un piano distinto e logicamente antecedente rispetto alla configurabilità dell’elemento soggettivo – Evento, naturalistico o umano, tale da fuoriuscire dalla sfera di dominio dell’agente
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 25 giugno 2019 la Corte di Appello di Brescia, in riforma della sentenza assolutoria del 4 aprile 2018 del Tribunale di Brescia resa in esito a giudizio abbreviato, ha condannato gli odierni ricorrenti, nella loro qualità di legali rappresentanti della s.n.c. E. di G. G. & c., alla pena, sospesa, rispettivamente di mesi due di reclusione ed euro 150 di multa quanto a G. G., e di mesi uno giorni dieci di reclusione ed euro 100 di multa quanto a A. e G. G., in favore dei quali era disposta anche la non menzione della condanna, per il reato di cui agli artt. 81 e 110 cod. pen. nonché 2, comma 1 – bis, del decreto legge 12 settembre 1983 n. 463, conv. in legge 11 novembre 1983, n. 638, in relazione agli omessi versamenti delle ritenute previdenziali operate nel periodo maggio/ottobre 2012.
A tutti erano riconosciute le attenuanti generiche, giudicate in equivalenza alla contestata recidiva per G. G..
2. Avverso la predetta decisione gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione articolato su due motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo di ricorso è stata censurata la violazione della legge penale, attesa la carenza dell’elemento soggettivo del reato.
Era infatti emersa la presenza di una giustificazione contingente, in ragione della carenza di fondi della società e degli imputati, sì che era stata data prova dell’impossibilità oggettiva di adempiere alle obbligazioni previdenziali, stante l’acclarata crisi economica della società. Né agli imputati era riuscito di reperire le risorse necessarie per il corretto adempimento degli obblighi contributivi.
2.2. Col secondo motivo, quanto alla manifesta illogicità della motivazione, la responsabilità degli imputati era stata ravvisata nel fatto che essi avevano proseguito il pagamento delle retribuzioni ai propri dipendenti, mentre ciò era avvenuto – in considerazione altresì dello scarso numero di costoro – per assicurare il soddisfacimento di esigenze costituzionalmente rilevanti. In ogni caso non era stato considerato che erano stati posti in essere tentativi di tutelare i posti di lavoro, ed in realtà era stata disattesa la condotta diligente e di buona fede sicuramente tenuta dagli imputati.
2.3. E’ stata altresì depositata memoria difensiva.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità dei ricorsi.
Considerato in diritto
4. I ricorsi sono inammissibili, ancorché debba procedersi a correggere la pena inflitta ai ricorrenti.
4.1. In relazione al primo motivo di ricorso, è nozione consolidata di questa Corte che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico, ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso ad es. di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare (Sez. 3, n. 43811 del 10/04/2017, Agozzino, Rv. 271189).
Al riguardo, secondo la prospettazione difensiva la situazione di crisi di impresa avrebbe impedito, in termini di assoluta impossibilità, di adempiere agli obblighi contributivi; impedimento che il giudice di merito avrebbe dovuto apprezzare.
In proposito, peraltro, non può che essere nuovamente ricordato che è proprio la “forza maggiore” a configurarsi come un evento, naturalistico o umano, tale da fuoriuscire dalla sfera di dominio dell’agente e tale da determinarlo incoercibilmente (vis maior cui resisti non potest) verso la realizzazione di una determinata condotta, attiva od omissiva, la quale, conseguentemente, non può essergli giuridicamente attribuita (cfr. Sez. 5, n. 23026 del 3/04/2017, Mastrolia, Rv. 270145). La forza maggiore si collocherebbe pertanto su un piano distinto e logicamente antecedente rispetto alla configurabilità dell’elemento soggettivo, ovvero nell’ambito delle situazioni in grado di escludere finanche la cd. suitas della condotta.
In fatto, peraltro, doveva escludersi siffatta situazione di impossibilità, atteso che rappresenta circostanza pacifica l’avvenuta erogazione, alla scadenza mensile della relativa obbligazione retributiva e per tutti i mesi dell’omesso versamento contestato, dello stipendio ai dipendenti; segno, evidentemente, che la crisi di liquidità non era affatto assoluta e che, pertanto, l’impresa non si trovava in quella situazione di impossibilità di compiere scelte alternative, ovvero nella condizione di una condotta (omissiva) irresistibilmente coartata verso un determinato risultato o effetto (il mancato versamento delle ritenute previdenziali). Ciò che, pertanto, consente di rilevare la palese insussistenza, nella specie, di una situazione di “forza maggiore”.
Invero la corresponsione, ogni mese, delle retribuzioni, non ha consentito di dimostrare la dedotta situazione di impossibilità di adempimento delle obbligazioni previdenziali alla scadenza del termine mensile. Pertanto la sentenza impugnata ha correttamente evidenziato la mancata prova della condizione di assoluta illiquidità, tra l’altro nella sua reale efficienza causale rispetto alla condotta omissiva. Con la conseguenza che, anche a voler ritenere dimostrata l’impossibilità del versamento alla scadenza del termine per gli adempimenti contributivi, l’agente doveva avere previsto come risultato certo che, a fronte della reiterazione, mese dopo mese, del pagamento delle retribuzioni, non avrebbe potuto adempiere agli obblighi contributivi, essendo necessario procedere all’ulteriore pagamento delle spettanze dei lavoratori; ciò che del resto è stato apertamente rivendicato, anche in ragione della tutela costituzionale del lavoro e della retribuzione ivi spettante al prestatore dell’attività (v. anche infra).
4.1.1. In ogni caso, ai fini della sussistenza del reato, non è richiesto il fine di evasione, tantomeno l’intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto, il dolo del reato in questione essendo integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento anti-doveroso di volontario contrasto con il precetto violato.
4.1.2. In definitiva, quindi, la forza maggiore sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità, e non può quindi ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente.
In tal modo è stato sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880; Sez. 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822).
Nei reati omissivi integra pertanto la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856). Sì che: a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la suitas della condotta; b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità; c) non si può invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dai mancati accantonamenti e dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità; d) l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico.
4.1.3. Al contrario, i ricorrenti hanno operato altre scelte imprenditoriali, omettendo di versare tempestivamente all’Istituto previdenziale quanto già avrebbe dovuto essere accantonato in suo favore, ed in ogni caso scegliendo i creditori da soddisfare e comunque disegnando la scaletta dei propri impegni economici secondo necessità aziendale e non secondo gli obblighi di legge. In tal modo collocandosi al di fuori del perimetro della forza maggiore, ed integrando sicuramente l’elemento soggettivo del reato alla stregua delle considerazioni che precedono.
4.2. In relazione al secondo motivo di censura, e fatti salvi i rilievi già svolti, va invero aggiunto che, in ipotesi di conflitto tra l’obbligo contributivo e il diritto dei lavoratori a percepire la retribuzione agli stessi spettante, non illogicamente è stato ritenuto di dover accordare prevalenza a quello che, solo, riceve, secondo la non irragionevole scelta del legislatore, una tutela penalistica attraverso la previsione della fattispecie incriminatrice qui in rilievo. Pertanto, dinnanzi al contestuale sorgere delle due obbligazioni, l’imprenditore avrebbe dovuto accantonare le somme corrispondenti al debito previdenziale, onde provvedere al versamento entro il sedici del mese successivo (cfr. amplius, in motivazione, Sez. 3, n. 56432 del 18/07/2017, Franzini, non mass.; più recentemente, Sez. 3, n. 36421 del 16/05/2019, Tanghetti, Rv. 276683). Tra l’altro l’omesso versamento delle ritenute effettuate a fini contributivi sulle retribuzioni effettivamente corrisposte si traduce nella distrazione ad altri fini di somme di denaro astrattamente di pertinenza del lavoratore dipendente, il che confligge in astratto con la tesi della crisi di liquidità, logicamente contraddetta dalla disponibilità del danaro sufficiente al pagamento delle retribuzioni (così, in motivazione. Sez. 3, n. 36421 cit.).
4.3. La sentenza impugnata si presenta pertanto del tutto esente da censura al riguardo, avendo così correttamente applicato i principi ripetutamente fatti propri dalla pressoché unanime giurisprudenza di legittimità.
Alla stregua di ciò, le impugnazioni in proposito non possono che essere dichiarate manifestamente infondate, con la conseguente inammissibilità dei ricorsi.
Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. ed a carico di ciascun ricorrente, l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
4.4. Va peraltro infine osservato che la Corte territoriale, benché il procedimento di primo grado si fosse svolto col rito abbreviato, non ha operato l’obbligatoria, e quindi indefettibile, riduzione di un terzo sul trattamento sanzionatorio infine determinato.
Al riguardo, infatti, la riduzione del terzo della pena correlata al giudizio abbreviato va operata anche in caso di condanna in sede di appello a seguito di impugnazione del Pubblico ministero avverso la sentenza di proscioglimento pronunciata con il rito speciale (Sez. 6, n. 34559 del 10/05/2012, V., Rv. 253277; Sez. 3, n. 13812 del 12/02/2008, Giacometti, Rv. 239685).
4.4.1. In proposito la Corte – attesa la natura meramente aritmetica del calcolo – può prendere direttamente i relativi provvedimenti, disponendo la relativa riduzione del terzo delle pene inflitte.
In tal modo le pene irrogate sono rispettivamente rettificate in mesi uno e giorni dieci di reclusione ed euro 100,00 di multa per G. G., nonché in giorni ventisei di reclusione ed euro 66,00 di multa sia per G. che per A. G..
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Visto l’art. 619, comma 2, c.p.p., rettifica le pene irrogate in mesi uno e giorni dieci di reclusione ed euro 100,00 di multa per G. G., giorni ventisei di reclusione ed euro 66,00 di multa per G. G. e G. A..
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