CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 27606 depositata il 6 ottobre 2020

Reati tributari – Omessa dichiarazione dei redditi – Rilevanza penale – Provvedimento di sequestro preventivo – Competenza territoriale

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Avellino, in sede di riesame, con ordinanza del 26 febbraio 2020, ha rigettato l’istanza di riesame proposta da D.N. avverso il provvedimento di sequestro preventivo disposto dal Giudice per le indagini preliminari di Avellino, relativamente al reato di cui all’art. 5, d. lgs. 74 del 2000.

2. Ricorre in cassazione D.N. deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p.

2.1. Violazione di legge (art. 18 e 5, d. lgs. 74 del 2000, in relazione all’art. 27 del cod. proc. pen.).

Il Tribunale del riesame pur dando atto che dalla visura camerale risulta la sede legale dell’impresa amministrata dall’indagato in Atena Lucana (competenza territoriale del Tribunale di Lagonegro) disattendeva l’eccezione di incompetenza territoriale, rilevando che ad Atena Lucana sussisteva un mero recapito, trattandosi dell’ufficio del consulente fiscale della società.

L’art. 18 del d. lgs. 74 del 2000 prevede la consumazione del reato in accertamento (art. 5, d. lgs. 74 del 2000) nel luogo dove il contribuente ha il domicilio fiscale. Il domicilio fiscale della società era certamente in Atena Lucana e il Tribunale del riesame di Avellino avrebbe dovuto trasmettere gli atti, ex art. 27 cod. proc. pen., al Tribunale di Lagonegro, competente per territorio.

L’impresa, infatti, ben può scegliere il proprio domicilio fiscale dove ritiene opportuno (art. 41 della Costituzione), e risulta noto che molte società decidono di individuare il proprio domicilio fiscale nella sede del proprio contabile. Ciò non comporta, certamente, la irrilevanza del domicilio.

Ha chiesto pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

3. Il ricorso risulta inammissibile perché proposto per vizi della motivazione, con motivi generici e manifestamente infondati.

4. Sia per il sequestro preventivo che per quello probatorio è possibile il ricorso per cassazione unicamente per motivi di violazione di legge, e non per vizio di motivazione.

Nella specie i motivi di ricorso si la competenza territoriale risultano proposti per il vizio di motivazione del provvedimento impugnato (nella valutazione sostanziale del ricorso).

Il ricorso in cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. (Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009 – dep. 11/11/2009, Bosi, Rv. 245093; Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 – dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692).

Tuttavia, nella specie non ricorre una violazione di legge, e nemmeno l’apparenza della motivazione, e conseguentemente il ricorso deve ritenersi manifestamente infondato.

Infatti, il provvedimento impugnato contiene adeguata motivazione, non contraddittoria e non manifestamente illogica, con corretta applicazione dei principi in materia espressi da questa Corte di Cassazione, e rileva come per l’individuazione del domicilio fiscale, al fine della competenza territoriale, deve farsi riferimento al “centro effettivo di direzione e di attività amministrativa dell’impresa, facendo riferimento ai criteri indicati dall’art. 162 d.P.R. n. 917 del 1986 sulla stabile organizzazione”. Nel caso in giudizio la P.G. aveva accertato che l’impresa in oggetto aveva trasferito la propria sede legale (peraltro solo dal 2017) dal Comune di Guardia dei Lombardi a quello di Atena Lucana, dove sussisteva un mero recapito – ufficio del consulente fiscale della società -, mentre l’impresa continuava nella sua attività in Guardia del Lombardi alla via L. (..), luogo dove sono ricoverati gli automezzi e presso il quale l’accesso ispettivo è avvenuto, alla presenza dell’amministratore.

Quello che rileva per la determinazione della competenza territoriale (ex art. 18, comma 2, d. lgs. 74 del 2000), infatti, non è la sede legale formale ma la sede effettiva dell’impresa (sia essa coincidente o no con la sede legale: “In tema di reati tributari, la competenza territoriale per i delitti in materia di dichiarazione riguardanti le imposte relative alle persone giuridiche, si determina con riferimento al luogo in cui queste ultime hanno il domicilio fiscale, e che, di regola, coincide con quello della sede legale, ma che, qualora questa risulta avere carattere meramente fittizio, corrisponde al luogo in cui si trova la sede effettiva dell’ente” (Sez. 3, n. 20504 del 19/02/2014 – dep. 19/05/2014, Cederna e altri, Rv. 25978301; nello stesso senso vedi anche Sez. 3, n. 23784 del 16/12/2016 – dep. 15/05/2017, Mosetter, Rv. 26998301).

4. 1. La stessa relazione governativa di accompagnamento al d.lgs. n. 74 del 2000, evidenzia come il comma 2 dell’art.18 detta “disposizioni specifiche, intese a risolvere in via normativa i problemi connessi all’individuazione del giudice competente in ordine a determinate ipotesi di reato […]. Relativamente ai delitti in materia di dichiarazione, tali problemi si connettono al nuovo sistema di trasmissione dei dati in via telematica attraverso soggetti abilitati: sistema che, ove si abbia riguardo al luogo dal quale la trasmissione parte, consentirebbe, in pratica, all’autore dell’illecito di “scegliersi” il giudice competente con il semplice accorgimento di incaricare della trasmissione stessa un soggetto abilitato che operi nel luogo ritenuto più conveniente; mentre, ove si abbia riguardo al luogo in cui i dati confluiscono, porterebbe all’inaccettabile risultato di concentrare la competenza per tutti i reati presso il Tribunale di Roma, stante la gestione centralizzata del materiale informatico. A fronte di ciò, si è dunque stabilito che i reati in questione debbano considerarsi consumati nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale, salva l’applicabilità del criterio suppletivo del luogo dell’accertamento laddove detto domicilio risulti ubicato all’estero”.

Sulla base di ciò – con riferimento ai delitti previsti nel capo I, e cioè i delitti in dichiarazione – il reato si considera consumato nel luogo in cui il soggetto ha domicilio fiscale che costituisce il criterio principale attributivo della competenza per territorio.

Va subito chiarito che la disposizione (art. 18, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000), nella sua formulazione, non opera un rinvio formale o materiale a disposizioni di un altro atto normativo.

La prima conseguenza che occorre trarre, dal punto di vista dell’interpretazione, è che quando la legge penale o processuale penale richiama termini o istituti che traggono origine da altri rami del diritto, senza ricorrere alla tecnica del rinvio, il significato dei termini non va desunto esclusivamente dall’ordinamento richiamato, ma va attribuito tenendo conto delle esigenze proprie dell’ordinamento richiamante.

E’ evidente, pertanto, che i risultati dell’interpretazione non possono porsi in insanabile contrasto con l’ordinamento penale che tali concetti o istituti richiama per il perseguimento dei propri scopi.

Sarebbe allora del tutto contraddittorio ritenere che il legislatore si sia posto il problema di evitare che il contribuente, nella prospettiva di incorrere nella leva penale per i reati in materia di dichiarazione, scegliesse il giudice competente inoltrando la comunicazione telematica da un luogo piuttosto che da un altro, determinando di volta in volta la consumazione del reato, per poi consentire, attraverso un particolare “criterio di collegamento” interno, il perseguimento, di volta in volta, del medesimo scopo consentendo al contribuente di scegliere, anche in virtù di determinazioni successive attraverso il continuo mutamento della sede legale, il domicilio fiscale.

Del resto, non si riscontrino, sul punto, sostanziali diversità tra le esigenze dell’ordinamento penale ed esigenze dell’ordinamento tributario in quanto l’art. 58, comma 3, d.P.R., n. 600 del 1973 stabilisce, per le persone giuridiche, che il domicilio fiscale è quello del luogo ove si trova la sede legale o, in mancanza, quella amministrativa. Nel caso in cui anche questa manchi il domicilio è nel comune ove vi è una sede secondaria o una stabile organizzazione ovvero, infine, ove viene svolta l’attività prevalente.

La sede tuttavia è il luogo in cui l’ente ha il centro principale della sua attività e tale luogo – indicato nell’atto costitutivo, nello statuto e riportato nel registro delle imprese – può essere diverso da quello in cui convenzionalmente è stata stabilita la sede legale, per cui in tal caso rimane solo il dato formale della indicazione “legale” della sede ma questa è, secondo il principio di effettività, altrove.

Il principio di effettività, che non è smentito dalla disciplina tributaria, è pienamente recepito dal diritto civile (settore dell’ordinamento a sua vota richiamato dal diritto tributario) e processuale civile, dove per sede (effettiva) si intende il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente (Infatti, anche per la dichiarazione di fallimento si deve guardare alla sede effettiva per individuare la competenza territoriale: “In tema di individuazione del tribunale competente a dichiarare il fallimento, ai sensi dell’art. 9, comma 1, l.fall., la presunzione iuris tantum di coincidenza della sede effettiva con la sede legale è superabile attraverso prove univoche che dimostrino che il centro direzionale dell’attività dell’impresa è altrove e che la sede legale ha carattere solo formale o fittizio, rilevando a tal fine, in particolare, la mancanza di una concreta struttura operativa presso la sede legale, sicché debba riconoscersi che detta sede sia solo un mero recapito. Nella specie, la S.C. ha considerato decisiva l’ubicazione della sede legale presso lo studio di un commercialista e la circostanza che gli atti di gestione e le decisioni effettive per la vita dell’impresa erano assunti altrove” Sez. 1, Sentenza n. 16116 del 14/06/2019, Rv. 654533 – 01;

stesse considerazioni anche nel settore tributario nel quale si è sempre utilizzata la nozione di sede effettiva: “In tema di IRES, ai fini dell’individuazione della residenza fiscale delle società ed enti, in base all’art. 73 – già 87 -, comma 3, del d.P.R. n. 917 del 1986 la nozione di sede dell’amministrazione, in quanto contrapposta alla sede legale, è assimilabile alla sede effettiva di matrice civilistica, intesa come il luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative, di direzione dell’ente e di convocazione delle assemblee e, quindi, come luogo stabilmente utilizzato per l’accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente. Fattispecie in tema di estero-vestizione di una società-madre avente sede in Olanda in cui la S.C., cassando la sentenza della C.T.R., ha ritenuto la nazionalità italiana ed inglese dei suoi amministratori non sintomatica dell’ubicazione della sede effettiva in Italia” Sez. 5, Sentenza n. 15184 del 04/06/2019, Rv. 654132 – 01).

5. Conseguentemente l’ordinanza impugnata, con applicazione corretta della giurisprudenza in materia di questa Corte Suprema, con accertamenti in fatto insindacabili in sede di legittimità (e peraltro neanche contestati, limitandosi il ricorrente a richiamare solo il dato formale della sede), ha individuato la sede effettiva per la determinazione della competenza territoriale, ex art. 18, comma 2, d. lgs. 74 del 2000, motivando sul punto adeguatamente e senza contraddizioni o manifeste illogicità.

Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di € 3.000,00, e delle spese del procedimento, ex art 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.