Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 28573 depositata il 2 luglio 2019
Evasione Iva – Speciale tenuità del fatto – Recidivo – Fattispecie
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Bologna, con la sentenza del 17 luglio 2018, ha confermato la condanna inflitta a S.G. alla pena di 4 mesi di reclusione, con la sospensione condizionale della pena, per il reato D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 10-ter, per non aver versato, quale legale rappresentante della Fortitudo pallacanestro società sportiva, entro il 27 dicembre 2010, l’Iva relativa al periodo di imposta 2009, per un ammontare di Euro 256.528,00, dovuta in base alla dichiarazione presentata dall’imputato.
La contestazione è stata modificata all’udienza del 23 febbraio 2017.
2. Il difensore di S.G. ha proposto il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna del 17 luglio 2018.
2.1. Con il primo motivo si deducono i vizi di violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, di violazione di legge processuale, con riferimento agli artt. 187, 190, 192 c.p.p. e art. 194 c.p.p., e s.s., della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Dopo aver riportato la motivazione della sentenza di appello, si invoca l’applicazione dei principi espressi dalla sentenza della Corte di Cassazione, sez. 3, n. 5905 del 7 febbraio 2014, non massimata, e da Cass. Sez. 3 del 27 marzo 2018 n. 20725, sull’elemento soggettivo del reato e sulla crisi di liquidità.
Secondo il ricorrente, la Corte di appello non avrebbe valutato i principi della giurisprudenza in tema di crisi di liquidità ed elemento soggettivo del reato, si sarebbe limitata a ritenere irrilevanti i motivi relativi alla mancata corresponsione del tributo, omettendo l’analisi del complesso delle risultanze dibattimentali.
Nel caso in esame si sarebbe verificata una situazione di portata non transitoria, non altrimenti evitabile e fronteggiabile, sfociata nel fallimento della società, tale da concretizzare l’impossibilità ad adempiere per la situazione di irreversibile dissesto, non di crisi di liquidità dell’impresa.
Tale situazione risulterebbe dalla sentenza del Tribunale, sarebbe documentata dalla sentenza di fallimento acquisita agli atti e non sarebbe stata valutata dalla Corte di appello.
La Corte di appello non avrebbe valutato poi la pregressa crisi che attanagliò la società, i tentativi del ricorrente di sistemare le pendenze tramite l’immissione di finanza personale (cfr. all. 3), la presentazione dei piani di ristrutturazione dei debiti e le ulteriori rateizzazioni, poi naufragate per il sopravvenuto dissesto.
L’apporto finanziario del ricorrente è stato riferito dal teste Sp. ma la Corte di appello ha dato prevalenza all’assenza del dato documentale rispetto alla prova dichiarativa, in contrasto con i principi in tema di prova.
La Corte di appello non avrebbe valutato neanche il piano di ristrutturazione dei debiti L. Fall., ex art. 67 e le ulteriori rateizzazioni attuate (all. 3), che sarebbero segni tangibili dell’insussistenza dell’elemento soggettivo.
La Corte di appello avrebbe erroneamente applicato i principi della giurisprudenza quanto alla ritenuta irrilevanza del pagamento del debito verso l’Enpals, dotato di analoga rilevanza penale; come risulta dall’esame dell’imputato e dall’esame del teste S., il pagamento dei contributi previdenziali dei dipendenti ha posto il ricorrente in una condizione di inesigibilità della condotta, per l’impossibilità di un simultaneo adempimento di entrambe le pretese.
Tale circostanza di fatto non sarebbe stata valutata dalla Corte di appello.
La società era pertanto in una situazione di oggettiva impossibilità di adempiere agli obblighi fiscali per l’irreversibile e repentina crisi che l’aveva coinvolta e si trovava in quelle condizioni tali da avere una positiva valutazione ai fini dell’esclusione del dolo.
2.2. Con il secondo motivo, si deducono i vizi di violazione di legge processuale, con riferimento all’art. 649 c.p.p. ed all’art. 4 del protocollo 7 della Cedu, ed il vizio della motivazione nella parte in cui non è stata dichiarata la non procedibilità dell’azione penale a seguito dell’irrogazione delle sanzioni tributarie per lo stesso fatto, irrogazione effettuata dall’agenzia delle entrate (all. 4). Si richiamano i principi espressi dalla sentenza Grande Stevens della Cedu.
La Corte di appello avrebbe omesso di valutare la questione, rilevabile in ogni stato e grado del processo e pertanto deducibile per la prima volta anche nel giudizio di legittimità.
Si richiamano poi le altre sentenze della Cedu e della Corte di giustizia dell’unione Europea sul rapporto tra sanzioni tributarie e divieto di bis in idem; si invoca l’applicazione dei principi espressi da tali sentenze al fine di ottenere l’annullamento della sentenza della Corte di appello di Bologna.
2.3. Con il terzo motivo si deducono i vizi di violazione di legge sostanziale, in relazione all’art. 131-bis c.p. e della motivazione quanto al rigetto dell’applicazione della particolare tenuità del fatto, nonostante il modesto scostamento dalla soglia di punibilità, per altro elevata nel 2015.
Si rileva poi l’illegittimità del rigetto; la Corte di appello avrebbe ritenuto sussistente l’abitualità del comportamento perché il ricorrente è stato condannato con decreto penale di condanna per lo stesso fatto, laddove, secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, l’abitualità sussiste solo se l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame.
2.4. È stata poi depositata una memoria a sostegno del primo e del terzo motivo di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. È inammissibile il primo motivo con cui si deduce il vizio di violazione di legge processuale di cui all’art. 606 c.p.p., lett. c); tale vizio sussiste solo per l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o di decadenza. Le norme invocate dalla difesa non prevedono, in caso di inosservanza, nessuna delle sanzioni descritte nella lett. c) dell’art. 606 c.p.p..
2. È manifestamente infondato il primo motivo con cui si deduce il vizio della motivazione.
2.1 In punto di diritto, secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 37424 del 28/03/2103, Romano, Rv. 255757), a cui si aderisce, il reato D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 10-ter è punibile a titolo di dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte.
La prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto.
Il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale.
Hanno altresì affermato le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta.
2.2. Essendo il reato de quo a dolo generico, l’elemento soggettivo è integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità.
Il mancato pagamento alla scadenza del termine concretizza il dolo; come correttamente osservato da Cass. Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, Mondini, Rv. 265262, la scelta di non pagare l’imposta dovuta prova il dolo.
Le ragioni collegate alla scelta imprenditoriale attengono ai motivi a delinquere e non escludono minimamente la sussistenza del dolo.
2.3. Come correttamente affermato dalla sentenza Mondini, alla cui motivazione si rimanda per la ricostruzione sistematica, la forza maggiore sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità.
Poiché la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, la Corte di Cassazione ha sempre escluso che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante (Cass. Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986).
2.4. Orbene, la Corte di appello ha correttamente applicato la norma con una motivazione esente da vizi.
È pacifico che il ricorrente per sua scelta non abbia versato l’Iva, pur essendo consapevole delle conseguenze.
La Corte di appello ha escluso che la crisi aziendale, poi sfociata nello stato di insolvenza che ha generato il fallimento in epoca successiva alla scadenza del termine rilevante ex art. 10-ter, non sia imputabile al ricorrente, posto che la gestione della società risale al 2007-2008 e l’iva avrebbe dovuto essere versata nel 2010, essendo relativa all’anno di imposta del 2009; inoltre la situazione patrimoniale della società risultava dai bilanci, come emerso dalla deposizione del teste S.R., invocata anche dalla difesa.
2.5. Correttamente poi la Corte di appello ha ritenuto che alcuna concreta misura sia stata realizzata.
I documenti che la Corte di appello non avrebbe valutato sono tutti successivi alla scadenza del termine per il pagamento dell’Iva: non può pertanto in alcun modo dedursi un travisamento della prova per omissione in quanto la prova non può in alcun modo ritenersi rilevante e decisiva, nè dotata di una forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento del giudice del merito.
Per altro, risulta dalla sentenza che i documenti sono stati valutati e ritenuti irrilevanti perché successivi alla scadenza del termine per il pagamento.
2.6. Correttamente la Corte di appello ha ritenuto non concretamente valutabile la deposizione del teste S.R., perché del tutto generica l’esistenza di un atto di ripianamento del capitale se non supportata dal relativo documento che renda concreta l’affermazione quanto all’entità ed alla effettività di tale ripianamento.
2.7. Quanto infine al pagamento di altro debito la cui omissione avrebbe avuto rilevanza penale, oltre alla genericità del rilievo ed alla mancanza di allegazioni sul punto, la decisione della Corte di appello è corretta non essendo invocabile la forza maggiore, essendo dipesa dallo stesso ricorrente la condizione della scelta; inoltre la scelta incide sul motivo, ma non sul dolo.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
3.1. Dal documento allegato al ricorso risulta che le sanzioni tributarie sono state emesse nei confronti della società.
3.2. Vanno pertanto ribaditi i principi espressi da Cass. Sez. 3, n. 35156 del 01/03/2017, Palumbo, Rv. 270913, in tema di confisca, e da Cass. Sez. 3, n. 54372 del 16/10/2018, Benedetti, sul reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater: non sussiste la violazione del principio del ne bis in idem convenzionale, come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo nella causa A e B c. Norvegia del 15 novembre 2016, nel caso in cui con la sentenza di condanna per reati tributari commessi in qualità di amministratore di una società sia disposta, nei confronti della società, anche la sanzione tributaria.
Le sanzioni conseguenti alle violazioni tributarie sono state disposte nei confronti della persona giuridica e non della persona fisica: sono dunque insussistenti i presupposti per ravvisare una duplicazione di sanzioni nei confronti del medesimo soggetto a seguito delle medesime condotte, difettando il connotato ineludibile della identità dei soggetti sanzionati.
Per ragioni di sintesi, si richiama la motivazione delle suindicate sentenze.
4. Il terzo motivo è fondato.
4.1. Nel rigettare la richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p., la Corte di appello di Bologna ha ritenuto sussistente la abitualità in base alla precedente condanna per lo stesso reato.
4.2. Però, effettivamente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591-01, hanno affermato il principio per cui ai fini del presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p., il comportamento è abituale quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame. In motivazione, la Corte ha chiarito che, ai fini della valutazione del presupposto indicato, il giudice può fare riferimento non solo alle condanne irrevocabili ed agli illeciti sottoposti alla sua cognizione – nel caso in cui il procedimento riguardi distinti reati della stessa indole, anche se tenui – ma anche ai reati in precedenza ritenuti non punibili ex art. 131-bis c.p..
Pertanto, si impone l’annullamento della sentenza limitatamente alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto con rinvio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto e rinvia sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 30949 depositata il 17 luglio 2023 - La pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sè ostativa alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per…
- Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 36401 depositata il 26 agosto 2019 - La causa di non punibilità della "particolare tenuità del fatto", prevista dall'art. 131-bis c.p., è applicabile soltanto alla omissione per un ammontare vicinissimo…
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 38744 depositata il 20 settembre 2019 - Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis cit., costituiscono causa…
- Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 26084 depositata il 16 settembre 2020 - Per la configurabilità del reato di omessa dichiarazione ex art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 e succ. mod., è soltanto necessario che l'imposta evasa, con riferimento a…
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 44865 depositata il 25 novembre 2022 - Ai fini dell'applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 novembre 2020, n. 32393 - Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 -bis cod. pen., non osta, in astratto, che il reato sia posto in…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Le liberalità diverse dalle donazioni non sono sog
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 7442 depositata…
- Notifica nulla se il messo notificatore o l’
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5818 deposi…
- Le clausole vessatorie sono valide solo se vi è ap
La Corte di Cassazione, sezione II, con l’ordinanza n. 32731 depositata il…
- Il dipendente dimissionario non ha diritto all’ind
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 6782 depositata…
- L’indennità sostitutiva della mensa, non avendo na
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 7181 depositata…