Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 2859 depositata il 24 gennaio 2023
Legittima la condanna per il reato di dichiarazione fraudolente mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti anche in caso di autofattura
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 16 dicembre 2021, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Avellino che aveva affermato la penale responsabilità di Pantaleone Dentice per il reato di cui all’art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e lo aveva condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione e alle pene accessorie di cui all’art. 12 d.lgs. n. 74 del 2000 per pari durata.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, Pantaleone Dentice, in qualità di rappresentante legale dell’omonima ditta individuale, al fine di evadere le imposte sui redditi, aveva indicato, nella dichiarazione integrativa relativa all’anno di imposta 2010, presentata il 20 settembre 2012, elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture relative ad operazioni inesistenti, procurandosi indebite deduzioni, pari, ai fini IRPEF, a 211.395,00 euro.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe Pantaleone Dentice, con atto sottoscritto dall’avvocato Felice Carbone, articolando nove motivi.
2.1 Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in relazione al combinato disposto degli artt. 548, 171, lett. d), e 178, lett. c), cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, c) e d), cod. proc. pen., avuto riguardo alla omessa notifica dell’estratto contumaciale.
Si deduce che la Corte d’appello illegittimamente ha rigettato il motivo di gravame con cui si eccepiva la mancata dichiarazione di contumacia dell’imputato e la omessa notifica del relativo estratto contumaciale da parte del Giudice di prima cura, rilevando che, benché l’udienza preliminare ed il decreto di rinvio giudizio fossero successivi all’entrata in vigore della legge 28 aprile 2014, n. 67, le disposizioni vigenti prima dell’entrata in vigore della stessa continuavano ad applicarsi ai procedimenti già in corso.
2.2 Con il secondo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento agli artt. 137 e 142 proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) e d) cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata sottoscrizione dei verbali stenotipici.
Si deduce che erroneamente la Corte territoriale non ha rilevato la nullità dei verbali stenotipici del procedimento in primo grado, che non risultavano sottoscritti né dal Giudice, né dal cancelliere e né dall’ausiliario, in nessuna pagina, compresa l’ultima, in violazione dell’art. 142 cod. proc. pen., che prevede la nullità dei verbali di udienza privi della sottoscrizione del pubblico ufficiale redigente. Si osserva che tale interpretazione è stata condivisa anche dalla giurisprudenza di legittimità, che ha stabilito il principio per cui la nullità può essere eccepita solo laddove manchi la sottoscrizione dell’ultima pagina del verbale (si cita Sez. 6, n. 936 del 31/03/1993, Irrera ed altro, Rv. 194380-01).
2.3 Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in relazione all’art. 429 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) e d) cod. proc. pen., avuto riguardo alla indeterminatezza del capo di imputazione.
Si deduce che il capo di imputazione risulta eccessivamente generico, siccome si è limitato ad individuare la norma violata e a rilevare la presenza di elementi passivi fittizi nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta 2010, e che non vi è stata alcuna allegazione delle fatture che si assumono essere false, né acquisizione delle stesse nel fascicolo per il dibattimento, con conseguente compressione del diritto di difesa.
2.4 Con il quarto motivo, si lamenta violazione di legge, in relazione agli artt. 603 e 178 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), d) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla omessa assunzione di prova liberatoria decisiva, costituita dall’atto amministrativo con cui l’imputato ha definito la pendenza con l’Amministrazione finanziaria.
Si rileva che la Corte d’appello non ha adeguatamente motivato il rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale avanzata dalla difesa, non prendendo in considerazione il fatto dell’avvenuto annullamento del processo verbale di constatazione da parte della Commissione tributaria provinciale di Avellino, e la conseguente necessità di acquisire l’atto con cui l’imputato ha definito la pendenza con l’Amministrazione finanziaria.
2.5 Con il quinto motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla erronea qualificazione giuridica della condotta.
Si deduce che la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto sussistente la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 2 d.lgs. 74 del 2000. Si osserva, difatti, che, ai fini della configurabilità del reato in contestazione con riguardo all’evasione delle imposte sui redditi, rilevano solo le operazioni oggettivamente inesistenti e non anche quelle solo soggettivamente inesistenti (si cita Sez. 3, n. 16768 del 24/01/2019, Barbanti), e che, nella specie, la sentenza impugnata ammette la fittizietà solo soggettiva delle autofatture prodotte, e, quindi, l’effettività delle operazioni riportate in detrazione.
2.6 Con il sesto motivo, si lamenta violazione di legge, in relazione agli 521 e 597, comma 1, cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata riqualificazione del fatto nella figura delittuosa di cui all’art. 8 d.lgs. 74 del 2000.
Si evidenzia che la Corte d’appello ha escluso la riqualificazione del fatto nella figura di cui all’art. 8 d.lgs. 74 del 2000, non considerando che i documenti mendaci, come in genere avviene nel settore dei rottami ferrosi, erano costituiti da autofatture, emesse dall’imputato, siccome titolare della ditta cessionaria del bene ed unico soggetto obbligato a liquidare l’IVA, in sostituzione del cedente.
2.7 Con il settimo motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. e agli artt. 132 e 133 pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., avuto riguardo alla determinazione della pena.
Si deduce che la Corte territoriale ha ritenuto corretta la determinazione della pena come irrogata in primo grado ricorrendo ad una formula di stile, in violazione dei principi di proporzionalità ed adeguatezza, affermati anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle Corti europee.
2.8 Con l’ottavo motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. e agli artt. 132 e 133 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., avuto riguardo al diniego della sospensione condizionale della pena.
Si deduce che la sentenza impugnata ha omesso ogni motivazione in ordine al diniego della sospensione condizionale della pena, omettendo anche qualunque riferimento ai criteri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen.
2.9 Con il nono motivo, si lamenta violazione di legge, con riferimento all’art. 125, comma 3, proc. pen., agli artt. 132 e 133 cod. pen. e all’art. 12 d.lgs. n. 74 del 2000, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., avuto riguardo alla durata delle pene accessorie irrogate.
Si deduce che la sentenza impugnata non ha motivato in ordine a qualità e quantità delle pene accessorie irrogate, in contrasto con le indicazioni della giurisprudenza di legittimità, la quale ritiene applicabili, in materia, i principi in tema di valutazione discrezionale della pena di cui agli artt. 132 e ss. cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel complesso infondato per le ragioni di seguito indicate.
2. Manifestamente infondate sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano l’omessa notifica dell’estratto contumaciale, deducendo che il procedimento è iniziato prima dell’entrata in vigore della legge 28 aprile 2014, 67, istitutiva del processo in assenza in luogo di quello contumaciale, sebbene l’azione penale sia stata esercitata dopo detta entrata in vigore.
Invero, come precisato dall’art. 15-bis, comma 1, della legge n. 67 del 2014, i.nserito dalla legge 11 agosto 2014, n. 118, «le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l’imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto irreperibilità». Ora, nella specie, l’avviso di conclusione delle indagini preliminari è stato notificato il 27 gennaio 2015, e l’udienza preliminare ed il decreto di rinvio a giudizio sono del 15 giugno 2016. Risulta, quindi, evidente che alla data di entrata in vigore della legge n. 67 del 2014, l’imputato non poteva essere già stato dichiarato contumace. Di conseguenza, correttamente al procedimento in esame non è applicabile la disciplina del processo in contumacia e, quindi, non spettava all’imputato la notifica dell’estratto contumaciale.
3. Manifestamente infondate sono anche le censure formulate nel secondo motivo, che contestano la mancata dichiarazione di nullità dei verbali stenotipici del procedimento in primo grado, perché non sottoscritti né dall’ausiliario, né dal cancelliere, né dal Giudice.
In effetti, costituisce principio giurisprudenziale consolidato, dal quale non emerge né è indicata ragione per discostarsi, quello in forza del quale, in tema di documentazione degli atti, le carenze od omissioni nella trascrizione o sottoscrizione dei verbali stenotipici delle udienze dibattimentali non danno luogo ad alcuna nullità, atteso che l’art. 142 cod. proc. pen. prevede come causa di nullità della documentazione delle attività processuali soltanto la mancata sottoscrizione del verbale riassuntivo d’udienza da parte dell’ausiliario del giudice che lo ha redatto, mentre la trascrizione stenotipica delle udienze o il testo delle relative registrazioni costituiscono documenti che devono essere uniti agli atti del processo insieme ai nastri e, come tali, è sempre possibile procedere a una loro rilettura o trascrizione (cfr., tra le tante, Sez. 1, n. 857 del 15/05/2019, dep. 2020, Gentile, Rv. 278084-01, nonché Sez. 6, n. 26018 del 10/03/2008, Borrata, Rv. 241043-01).
4. Manifestamente infondate ancora sono le censure enunciate nel terzo motivo, che contestano la mancata dichiarazione della nullità dell’imputazione, perché indica genericamente la norma violata e perché non sono allegate le fatture ritenute mendaci.
In giurisprudenza, si è già precisato che, in tema di reati tributari, la mancanza nel capo di imputazione di una specifica e analitica indicazione di tutte le fatture ritenute falsificate o contraffatte non comporta alcuna genericità o indeterminatezza della contestazione del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, allorché tali documenti siano agevolmente identificabili attraverso il richiamo ad una categoria omogenea che ne renda comunque possibile la individuazione (così Sez. 3, n. 20858 del 07/11/2017, dep. 2018, Dorini, Rv. 272788-01, la quale ha ritenuto sufficiente il fatto che il capo di imputazione fosse corredato di prospetti contenenti gli importi riferiti a ciascuna prestazione fatturata, nonché i nominativi della società emittente).
Nella specie, alla richiesta ed al decreto di rinvio a giudizio, come osserva la sentenza impugnata, era allegato l’elenco delle fatture ritenute mendaci, con indicazione puntuale per ciascuna di esse, tra l’altro, della data di emissione, dell’imponibile e del soggetto emittente. Né può refluire sulla precisione del capo di imputazione la mancata acquisizione al fascicolo per il dibattimento delle fatture che si assumono falsificate, poiché non occorre certo la presenza fisica delle stesse agli atti del processo per assicurare la comprensione dell’accusa.
5. Prive di specificità sono le censure proposte con il quarto motivo, che contestano il rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale avente ad oggetto l’atto con il quale l’imputato ha definito la sua pendenza con l’Amministrazione finanziaria.
Da un lato, infatti, entrambi i giudici di merito si sono confrontati con la sentenza della Commissione Tributaria di annullamento del processo verbale di constatazione, dando una spiegazione in ordine alla non decisività di tale pronuncia. Dall’altro, il ricorrente non spiega nemmeno perché l’atto con il quale l’imputato ha definito la sua pendenza con l’Amministrazione finanziaria avrebbe un significato dimostrativo autonomo rispetto alla sentenza della Commissione Tributaria, e concretamente rilevante ai fini della presente decisione.
6. Infondate sono le censure formulate con il quinto motivo, che contestano la configurabilità del reato, deducendo che l’inesistenza soggettiva delle operazioni documentate dalle fatture non esclude l’esistenza e la rilevanza dei costi ai fini delle imposte sui redditi, e, quindi, non integra un’evasione di queste. Appare utile premettere che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti sussiste sia nell’ipotesi di inesistenza oggettiva dell’operazione, cioè quando non sia stata posta mai in essere nella realtà, sia in quella di inesistenza soggettiva, ossia quando l’operazione vi sia stata ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura, sia infine nel caso di sovrafatturazione qualitativa, nel quale la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti, in quanto oggetto di repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale (cfr., tra le tante, 3, n. 1998 del 15/11/2019, dep. 2020, Moiseev, Rv. 278378-01, e Sez. 3, n. 28352 del 21/05/2013, Ì Custodi, Rv. 256675-01).
Ora, anche a voler ipotizzare che l’inesistenza soggettiva delle operazioni documentate dalle fatture non esclude l’esistenza e la rilevanza dei costi ai fini delle imposte sui redditi, la situazione è comunque diversa nel caso di specie.
Invero, per quanto emerge dalla sentenza impugnata, le fatture: -) risultano emesse con riferimento a numerosissime persone anziane, titolari esclusivamente di redditi di pensione, e quasi tutte decedute nel 2010 o comunque poco tempo dopo il rilascio della fattura (una anche prima); -) non hanno allegato il documento di identità del venditore; -) risultano tutte pagate tramite cassa contanti; -) ammontano complessivamente, sebbene per un solo anno, il 2010, all’importo di 492.998,50 euro.
Gli elementi appena indicati, in effetti, consentono legittimamente di affermare la falsità ideologica delle fatture anche sotto il profilo oggettivo dell’entità dei costi, quanto meno in parte. Invero, la fittizietà soggettiva della fattura può legittimamente essere considerata indizio, non certo risolutivo, ma nemmeno del tutto irrilevante, in ordine alla inaffidabilità complessiva della stessa, e, quindi, alla inesistenza dell’operazione, quanto meno negli esatti termini economici documentati. Inoltre, e soprattutto, risulta abnorme l’indicazione di pagamenti per cassa contanti di somme pari a 492.998,50 euro nell’arco di un solo anno di esercizio, il 2010.
7. Infondate sono anche le censure esposte nel sesto motivo, che contestano la mancata riqualificazione del fatto a norma dell’art. 8 lgs. n. 74 del 2000, deducendo che i documenti mendaci sono costituita da autofatture formate dal medesimo soggetto che le ha poi utilizzate in dichiarazione.
Costituisce principio ampiamente consolidato in giurisprudenza quello secondo cui, in tema di reati tributari, la disciplina in deroga al concorso di persone nel reato prevista dall’art. 9 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 non si applica al soggetto che cumuli in sé la qualità di emittente e quella di amministratore della società utilizzatrice delle medesime fatture per operazioni inesistenti, né al consulente fiscale che con il primo concorra, quale extraneus, nella commissione di ciascuno dei reati oggetto di volontà comune, in considerazione della natura paritaria del titolo di responsabilità previsto dall’art. 110 cod. pen. (così, tra le tantissime, Sez. 3, n. 34021 del 29/10/2020, Rossinelli, Rv. 280370-01, e Sez. 3, n. 5434 del 25/10/2016, dep. 2017, Ferrari, Rv. 269279-01).
Il medesimo principio deve trovare applicazione anche nel caso di autofattura, quale è quella rilasciata dal titolare della ditta cessionaria di un bene ed unico soggetto obbligato a liquidare l’IVA in sostituzione del cedente. Anche in questo· caso, infatti, la medesima persona prima forma, a suo nome, e in applicazione di una espressa previsione di legge, la fattura, il cui contenuto e mendace, e, poi, ancora agendo in proprio, utilizza la stessa in una dichiarazione fiscale a sua firma, al fine di evadere le imposte dovute.
Di conseguenza, deve affermarsi che in caso di autofattura mendace poi utilizzata dal medesimo soggetto sono configurabili sia il reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, sia il reato di cui all’art. 2 del medesimo d.lgs. Nella specie, pertanto, del tutto legittimamente è stato contestato e ritenuto il delitto di dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000.
8. Manifestamente infondate sono le censure enunciate nel settimo motivo, che contestano la determinazione della pena, deducendo che la quantificazione della stessa è stata giustificata sulla base di una mera formula di stile.
La sentenza impugnata, infatti, correttamente rileva che la pena, fissata in un anno e sei mesi di reclusione, è stata determinata in misura corrispondente al minimo edittale.
9. Diverse da quelle consentite sono le censure proposte con l’ottavo motivo, che contestano la mancata applicazione della sospensione condizionale della pena.
Va innanzitutto rilevato che il beneficio della sospensione condizionale della pena non è stato richiesto né con l’atto di appello, né nel giudizio di secondo grado. Inoltre, la sentenza di primo grado aveva già espressamente precisato che non vi erano le condizioni per la concessione del beneficio in discorso perché l’imputato ne aveva già usufruito in due precedenti occasioni.
10. Manifestamente infondate, infine, sono le censure esposte nel nono motivo, che contestano la misura delle pene accessorie, deducendo che la stessa è stata fissata senza l’offerta di alcuna motivazione.
La sentenza impugnata, infatti, ha osservato che l’entità delle pene accessorie è proporzionata ai fatti. E tanto è ampiamente sufficiente, specie se si considera che le pene accessorie sono state determinate in misura prossima al minimo edittale e comunque non superiore alla media edittale.
11. Alla complessiva infondatezza delle censure segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La costituzione del rapporto processuale di impugnazione, per essere le censure nel complesso non manifestamente infondate, non determina l’applicazione della prescrizione, perché: -) la condotta illecita di presentazione della dichiarazione integrativa è stata consumata il 20 settembre 2012; -) il termine di prescrizione per il reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 computando l’interruzione, è pari a dieci anni; -) deve aggiungersi un ulteriore periodo di sospensione pari a complessivi 229 giorni, per due rinvii di udienza, uno dal 22 giugno 2018 al 26 novembre 2018, l’altro dal 26 aprile 2019 all’ 11 ottobre 2019.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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