CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 29169 depositata il 19 giugno 2018
Socio amministratore – Reato di appropriazione indebita – Somme destinate a pagare i contributi Inps della domestica – Onere probatorio – Intensità del dolo protratto per anni – Attenuanti generiche – Esclusione
Ritenuto in diritto
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Como del 5 aprile 2016, che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva affermato la responsabilità di S.D.N., per i reati di appropriazione indebita aggravata commessi da maggio 2006 a febbraio 2012, e, concesse le attenuanti generiche, ritenute equivalenti alla contestata aggravante, ritenuta la continuazione con i fatti giudicati con altra sentenza definitiva, l’aveva condannata alla pena di mesi quattro di reclusione ed euro 200 di multa, già ridotta per il rito, quale aumento sulla pena già inflitta con la sentenza definitiva.
All’imputata si addebita di essersi appropriata, nella veste di socio amministratore della A.B. s.n.c., delle somme che mensilmente riceveva da R.A., al fine di effettuare i versamenti relativi ai contributi Inps e di pagare il TFR alla collaboratrice domestica rumena di quest’ultimo.
2. Ricorre per cassazione il difensore dell’imputata deducendo:
1) violazione degli artt. 157 e 161 secondo comma cod. pen. poiché il reato di appropriazione indebita contestato al capo A dell’imputazione e commesso da maggio 2006 a dicembre 2008, si sarebbe estinto per prescrizione, intervenuta nelle more della stesura della motivazione della sentenza di appello.
2) Vizio di motivazione con riferimento alla valutazione delle prove acquisite che avrebbero dovuto indurre la corte territoriale ad assolvere l’imputata. Deduce il ricorrente che il materiale probatorio acquisito non può considerarsi idoneo a dimostrare la commissione del reato da parte della D.N., non essendovi nessun riscontro probatorio a quanto lamentato dal querelante. In particolare agli atti non vi sarebbe prova che l’Inps abbia provveduto all’invio dei bollettini postali di pagamento dei contributi alla società terza incaricata.
A sostegno del proprio assunto la difesa sottolinea che il 28 marzo 2012 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Como aveva chiesto l’archiviazione del presente procedimento, sostenendo trattarsi di una mera questione civilistica.
3) Vizio di motivazione con riferimento agli artt. 132, 133 e 81 cod. pen. Nonché alla dosimetria della pena inflitta, poiché la corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado, negando il riconoscimento delle concesse attenuanti generiche come prevalenti sulla contestata aggravante, con una motivazione retorica e priva di adeguati contenuti. Allo stesso modo la corte non avrebbe fornito alcuna motivazione sulla dosimetria della pena, limitandosi a ritenerla congrua, mentre avrebbe dovuto giustificare la propria decisione con l’indicazione delle ragioni e dei motivi specifici a supporto della stessa.
Considerato in diritto
1. E’ opportuno esaminare dapprima le censure relative all’affermazione di responsabilità e al trattamento sanzionatorio, per poi valutare quelle relative alla supposta estinzione del reato.
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato poiché è generico e tende ad ottenere da parte di questa Corte una rivalutazione delle emergenze processuali che sono state adeguatamente ed esaustivamente esaminate dal Tribunale prima e dalla Corte di appello in seguito.
Il ricorso introduce argomenti di puro merito, che non si confrontano adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata e con le ragioni di quella del Tribunale, i cui contenuti si integrano.
Inoltre le scarne argomentazioni difensive, e in particolare le censure in merito ai presunti mancati riscontri alle dichiarazioni del querelante, sulla cui attendibilità la ricorrente non avanza censure, risultano palesemente infondate e smentite dai documenti acquisiti, ed in particolare dalle ricevute rilasciate dalla stessa imputata, che attestano il versamento mensile da parte dell’A. alla società di cui l’imputata era amministratrice, delle somme destinate a pagare i contributi INPS della domestica, somme che venivano dall’imputata indebitamente trattenute e mai corrisposte all’ente previdenziale.
Non va poi trascurato che le dichiarazioni della persona offesa, se ritenuta credibile, sono idonee a fondare il giudizio di responsabilità anche in assenza di eventuali riscontri e la stessa imputata non ha censurato la attendibilità del querelante.
Alla luce del robusto compendio probatorio raccolto la lamentata carenza di prova in merito all’invio da parte dell’INPS alla società della D.N. dei bollettini di pagamento dei contributi risulta inconducente.
3. Parimenti inammissibili si palesano le censure relative alla dosimetria della pena e al diniego del riconoscimento delle concesse attenuanti generiche come prevalenti sulla ritenuta aggravante, in quanto la corte ha fornito adeguata ed esaustiva motivazione su entrambe le doglianze difensive rilevando che il tribunale aveva riconosciuto le dette attenuanti specifiche sulla base di un mero tentativo di accordo risarcitorio, che non aveva avuto seguito, e che sarebbe stato, pertanto, arbitrario, sulla base di questi soli elementi ritenere la prevalenza delle concesse attenuanti.
La difesa non si confronta con tali argomentazioni e si limita a ribadire le doglianze già esposte nell’atto di appello.
La corte ha poi confermato la congruità della pena inflitta dal tribunale, facendo esplicito riferimento alla gravità del reato, desunta dall’intensità del dolo protratto per anni, e dal rilevante danno patrimoniale cagionato al querelante, e alla personalità dell’imputata gravata da precedenti penali per violazione delle norme in materia di occupazione. Si tratta in sostanza di motivazione effettiva, logica, coerente con le emergenze processuali e immune dal vizio dedotto.
4. Anche il primo motivo di ricorso, con cui si deduce la sopravvenuta estinzione del reato contestato al capo A della imputazione – l’appropriazione indebita contestata come commessa dal maggio 2006 al dicembre 2008 – per prescrizione intervenuta nelle more della stesura della motivazione della sentenza di appello, è infondato poiché, la conclusione del giudizio di secondo grado interviene nel momento della lettura del dispositivo.
La prescrizione maturata successivamente alla lettura del dispositivo ed anche nelle more del termine di deposito della motivazione non rileva in questa sede, poiché secondo costante giurisprudenza della Corte di cassazione, l’inammissibilità del ricorso conseguente alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., ivi compreso l’eventuale decorso del termine di prescrizione nelle more del procedimento di legittimità (sez.2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni; sez.4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricorni; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca).
A questa fondamentale argomentazione, si aggiunge la costatazione che secondo il tribunale le plurime appropriazioni sono singoli atti di un’unica azione criminosa a consumazione prolungata e di conseguenza il trattamento sanzionatorio è stato determinato in misura unitaria, quale aumento in continuazione rispetto a fatti per i quali l’imputata aveva già riportato condanna definitiva.
Sicché l’eventuale estinzione di solo alcune delle condotte appropriative non avrebbe concreta influenza sulla determinazione della pena calcolata come aumento unitario.
3. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000 in favore della Cassa delle ammende.
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